Sono ormai numerose le organizzazioni che sottolineano come il tempo che i bambini trascorrono a mensa abbia un valore educativo e formativo. Il PNRR ha destinato 400 milioni di euro alla costruzione di mille nuove mense scolastiche e ulteriori fondi arriveranno poi dalla misura europea del Child Guarantee (ve ne abbiamo parlato qui). Modulare strategie di integrazione di tali risorse è fondamentale affinché tutti gli attori, nei diversi ambiti di riferimento (l’area educativa, sociale e sanitaria), remino nella stessa direzione. Ne abbiamo parlato con Adriana Bizzarri, coordinatrice della Scuola di CittadinanzAttiva e esperta  in progettazione, formazione e metodologie in ambito didattico.

Secondo il suo osservatorio, quali sono le maggiori criticità riguardo il servizio di mensa scolastica?

In primo luogo, la scarsità e l’inadeguatezza dei luoghi fisici adibiti al consumo del pasto. In Italia, solo in una scuola su quattro è presente un ambiente (refettorio) preposto alla ristorazione scolastica. Sebbene il dato sul numero degli edifici dotato di spazi per la refezione scolastica non sia significativo rispetto alla fruizione del servizio mensa da parte dei bambini e  delle bambine – poiché in molti casi il pasto viene consumato direttamente in aula – il tipo di ambiente in cui si svolge il momento del pasto è fondamentale. A dircelo sono le numerose ricerche condotte sul campo, direttamente nelle scuole. L’insalubrità del luogo (ad esempio, gli ambienti spogli, rumorosi…) influisce negativamente sulla salute psicofisica del bambino e il periodo da Covid-19 ha peggiorato tali situazioni: si è spesso ricorso a menu semplificati e consumati direttamente nelle classi.

Una seconda criticità riguarda i costi e le tariffe, ancora troppo elevati per un numero significativo di famiglie (ndr, le tariffe, i costi e le fasce di reddito a cui si applicano sono decisi dall’amministrazione locale di riferimento). La percentuale dei costi che grava sulle famiglie è considerevole e, inoltre, alcune di esse – come quelle immigrate – non dispongono della possibilità di richiedere il modello ISEE e sono per questo escluse dall’accesso al servizio.  Persistono poi casi di morosità, a causa dell’insostenibilità dei costi, tra le famiglie beneficiarie del servizio. In alcuni casi il minore è stato escluso dalla fruizione del servizio e questo è inaccettabile in quanto non si può in nessun caso penalizzare un minore.

I servizi sociali riescono a mappare queste situazioni ex ante?

I servizi sociali fanno molta fatica a individuare queste situazioni e a monitorarle. Tuttavia è nelle loro facoltà e possibilità la predisposizione di una mappatura aggiornata riguardo la situazione economica delle famiglie che accedono al servizio e, sulla base di questo, potrebbero prevedere l’estensione (o un’eventuale rimodulazione) delle fasce di reddito che accedono gratuitamente alla mensa e i criteri di progressività dei costi.

Quali sono le criticità legate al consumo del pasto in aula?

Ci sono dei casi in cui le aule non sono a norma e non permettono ai bambini di vivere con serenità il momento del pasto. L’idea di utilizzare lo stesso spazio che si utilizza per le lezioni, senza permettere il ricambio dell’aria, è un fattore penalizzante e insalubre. Nelle nostre indagini, precedenti al Covid, riuscivamo a interloquire direttamente con i minori: erano proprio loro a dirci che il momento più bello della giornata per chi faceva il tempo pieno era quello della mensa, per stare con gli altri compagni, condividere momenti di socialità. Riteniamo sia centrale che le mense rispettino criteri di vivibilità, salubrità, sicurezza e comfort, ancor di più in epoca Covid.

Il PNRR e il Child Guarantee potranno in parte colmare queste criticità…

Il timore è che il PNRR finanzi la mera costruzione e/o ristrutturazione di mense scolastiche senza che queste siano legate ad un’effettiva estensione del tempo pieno. L’optimum sarebbe la trasformazione del servizio da domanda individuale a universale ma ci vorrà ancora tempo. Riguardo ai fondi previsti non basta prevedere la costruzione o la ristrutturazione delle mense scolastiche, intesi come luogo fisico, occorre anche sostenere la spesa per la gestione ordinaria (personale) di tale servizio e le attività di accompagnamento verso le famiglie per far comprendere l’importanza di tale servizio per la crescita dei propri bambini.

Le risorse dovranno confluire nella logica dei Patti di Comunità e delle Comunità Educanti (ndr, di cui vi abbiamo parlato qui e qui). Si dovrà garantire il pieno raccordo delle politiche educative con quelle sociali, attraverso un piano inclusivo che tenga insieme bambini e famiglie. Solo in questo modo è possibile intercettare anche le situazioni più fragili ed evitare che si ripetano casi di dispersione scolastica. I piani educativi e sociali dovranno poi combinarsi all’ambito sanitario: la sintesi tra i tre livelli va fatta sin da subito, mediante la combinazione sinergica di policy, strumenti e risorse. La scuola gioca il ruolo di “perno” e tiene insieme i tre ambiti appena citati. Per questo, quando i fondi arriveranno ai Comuni è indispensabile imporre delle linee guida vincolanti per orientare le amministrazioni locali verso l’approccio integrato.

Persiste un problema culturale nella fruizione del tempo pieno?

Si, questo è sicuramente un fattore influente. Il numero maggiore di bambini e bambine che non frequentano il tempo pieno risiedono al Sud. Ritengo tuttavia che non si possa imputare la mancata o scarsa fruizione del servizio alla sola ritrosia culturale. Si tratta di un “cane che si morde la coda”: se i costi fossero minori – o addirittura assenti – ci sarebbe certamente una maggiore domanda del servizio. Giusto per fare un esempio, nel Mezzogiorno sono esplose le iscrizioni dei bambini alle sezioni primavera. Questo per supplire sia alle carenze di asili nido che ai costi eccessivi di questi servizi.

Quanto conta l’educazione alimentare?

Molto, l’educazione è il punto di partenza su cui investire nel medio-lungo periodo. Da anni ci occupiamo di Educazione Alimentare e, purtroppo, questa tematica è ancora poco presente nel percorso curricolare dei bambini. A seguito della pandemia da Covid-19 sono esplose le problematiche legate ai disturbi alimentari, a causa di situazioni più ricorrenti di sedentarietà e cattive abitudini alimentari. In una recente survey, in cui abbiamo coinvolto 5.713 ragazzi e ragazze dai 14 ai 19 anni, abbiamo rilevato come quello dei disturbi alimentari sia uno degli ambiti maggiormente segnalati come problematici dai ragazzi e dalle ragazze. Stiamo attualmente predisponendo un nuovo kit formativo rivolto a studenti e studentesse, ma anche ai docenti e agli educatori, affinchè possano supportare i ragazzi in percorsi di educazione alla salute che tocchino la sfera emotiva, relazionale, sociale, cognitiva.

Veniamo alle Commissioni Mensa: quanto è importante il loro ruolo?

Le Commissioni Mensa costituiscono un importante tramite tra la scuola, l’azienda fornitrice, il Comune e le famiglie. Grazie alle Commissioni è possibile vigilare sulla qualità del pasto, sul rispetto dei menù e sul servizio in generale oltre che proporre attività informative e formative che tengano conto delle necessità e dei pareri di tutti i soggetti coinvolti per migliorare sempre di più la ristorazione scolastica. Sono ormai quattro anni che, CittadinanzAttiva, si occupa, con altri soggetti del III settore nell’ambito di un progetto finanziato dalla Fondazione “Con i Bambini” anche di promuovere l’educazione alimentare (Il progetto è denominato Open Space) coinvolgendo i genitori con attività informative in zone periferiche del nostro Paese. L’intento è cercare di coinvolgere l’intero nucleo familiare e, per farlo, riteniamo siano indispensabili tutti gli attori della comunità scolastica e non solo: presidi, insegnanti, personale mensa. Asl, ecc.

Di cosa dovranno tener conto i decisori politici in futuro?

Il servizio di ristorazione scolastica dovrà diventare un diritto pubblico, universale e gratuito. Secondo noi è arrivato il momento di predisporre una Legge Nazionale sulla ristorazione collettiva in cui rientri anche quella scolastica. Rispetto alla scuola, questo consentirebbe di ridurre la frammentarietà nelle tariffe a livello comunale, da un lato, e di avviare un lavoro sulla qualità degli appalti dei menù, attraverso linee guida e norme vincolanti, dall’altro. I soggetti che devono essere coinvolti sono, a livello ministeriale, il Ministero dell’Istruzione, della Salute e delle Politiche Sociali. Questi processi di innovazione richiedono però un coinvolgimento attivo anche dei bambini, dei genitori e degli enti locali. Per questo, non si può fare a meno di coinvolgere le Commissioni Mensa. Rispetto alle Commissioni, ci stiamo battendo affinché si consenta ai loro membri di poter riprendere a svolgere il loro ruolo, nel rispetto delle norme sanitarie vigenti, attualmente quasi annullato a causa della pandemia.