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Ad aprile 2019 gli accordi che prevedono forme premiali depositati presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ed attualmente ancora attivi sono 11.023: di questi il 52% ha introdotto la possibilità di convertire (in tutto o in parte) il premio in un budget da spendere in misure di welfare aziendale. Pur trattandosi di un indicatore solo parziale di misurazione della diffusione del welfare, si tratta di un chiaro segnale che il fenomeno si sta ulteriormente sviluppando nel nostro Paese. Anche per questa ragione, Assolombarda, l’unione delle imprese che operano delle aree di Milano, Lodi, Monza e Brianza, ha recentemente pubblicato un rapporto (disponibile qui) in cui sono indicate le principali scelte fatte dalle imprese associate che adottano tali prestazioni.

Il welfare aziendale e contrattuale in Lombardia

Secondo i dati raccolti dall’Osservatorio sul welfare di Assolombarda, circa il 55% degli accordi del campione analizzato e in corso di validità nel 2018 prevedono forme di welfare aziendale. Tale percentuale si riferisce comunque ad un base dati non molto ampia: gli accordi considerati – cioè quelli stipulati in Assolombardia – sono infatti 110. Ad ogni modo, tra i settori produttivi in cui è registrata una maggiore presenza del welfare si trova il comparto chimico-farmaceutico, quello metalmeccanico e quello alimentare.

Ma come sono finanziate queste prestazioni? Secondo i dati diffusi, tra il 2016 e il 2018 è andata diminuendo la prassi di erogare solo un importo fisso destinato al welfare, mentre si è diffusa quella di affiancarlo alla possibilità di conversione del premio di risultato (figura 1).


Figura 1. Fonti di finanziamento del welfare aziendale, anni 2016-2017-2018

Fonte: Centro Studi Assolombarda

Da un’analisi dei contratti che l’Osservatorio ha a disposizione sono state individuate 14 tipologie di benefit: previdenza, assistenza sanitaria, area assistenziale, mutui e finanziamenti, scuola e istruzione, area culturale/ricreativa, programmi e servizi assicurativi, mutui e finanziamenti, mobilità, fringe benefit, ristorazione, ferie e permessi, maternità servizi di pubblica utilità, orari di lavoro. Queste sono state poi suddivise in tre gruppi, in base a quanto frequentemente siano stati inseriti negli accordi. La figura 2 evidenzia i risultati di questa procedura e la concreta diffusione di ogni singola prestazione.
 

Figura 2. Le prestazioni presenti nei contratti (e la loro diffusione)

Fonte: Centro Studi Assolombarda

Il “punto di vista” degli operatori del welfare aziendale

Il rapporto analizza inoltre alcuni dati alla cui raccolta hanno collaborato diversi provider di welfare aziendale (Edenred, Easy Welfare, Eudaimon, Welfare4You, DoubleYou e Assiteca) e società di consulenza (Valore Welfare, Inaz, Time Swapp e Health Italia).

Per quanto riguarda la fonti di finanziamento del welfare, secondo gli operatori tra il 2016 e il 2018 il CCNL passa dal 29% delle imprese al 55%, divenendo così lo strumento che più spesso introduce tali prestazioni. La possibilità di conversione del premio si riduce invece di molto, passando dal 44% del 2016 al 18% del 2018 (anche nel 2017 c’era stata una riduzione significativa e si era raggiunto il 30%). Una flessione si registra anche per il finanziamento del budget “on top” che passa dal 53% del 2016 al 52% del 2017, fino al 33% del 2018 (le percentuali relative al 2018 eccedono il 100% perché alcune imprese prevedono un mix delle fonti).

In riferimento al budget medio che ogni lavoratore ha speso in welfare aziendale, secondo i provider si è passati dai 558 euro del 2017 ai 600 del 2018, con un incremento su base annua del 7,5%. Considerando che secondo i dati forniti dai provider l’importo speso nel 2018 rappresenta poco più del 66% del budget totale allocato a welfare (in lieve discesa rispetto al 70% registrato nel 2017), il budget totale a disposizione di ogni lavoratore corrisponde a circa 909 euro nel 2018, il 14,1% in più dei 797 euro stimati nel 2017.

In conclusione, gli operatori hanno fornito alcuni riscontri in merito all’utilizzo delle prestazioni da parte dei dipendenti delle società clienti. Per semplicità, in questo caso sono state identificate 9 aree di intervento: previdenza, assistenza sanitaria, area assistenziale, mutui e finanziamenti, scuola e istruzione, area culturale/ricreativa, programmi e servizi assicurativi, mobilità e fringe benefit.

Alla luce di questa categorizzazione, le misure di welfare più richieste si confermano anche nel 2018 quelle che rientrano nella categoria “scuola e istruzione”, ma – come è possibile osservare dalla figura 3 – la quota di acquisti di tale tipologia contabilizzati dai provider si riduce dal 39% al 31%. Seguono poi i cosiddetti fringe benefit (26%, in salita di 6 punti percentuali) e l’area culturale e ricreativa (che conquista il terzo posto incrementando la quota dall’11% al 16%). In lieve regresso risultano – nell’arco di tempo considerato – la previdenza complementare (dal 15% al 13%) e l’assistenza sanitaria (dal 13% all’8%). Rimangono marginali le richieste di mobilità, le misure di assistenza e sostegno per familiari non autosufficienti, mutui e finanziamenti e servizi assicurativi.

Figura 3. Le prestazioni più richieste dai lavoratori secondo i provider

Fonte: Centro Studi Assolombarda

Alcune considerazioni

Pur realizzato attraverso l’analisi di un campione che fa riferimento ad un territorio molto circoscritto, il rapporto di Assolombarda ci consegna alcune evidenze interessanti.

In primo luogo, si registra un incremento di quella che è la diffusione del welfare tra l’imprese e un aumento dell’importo medio che le imprese destinano ad ogni lavoratore; inoltre, sempre più aziende sembrano aver introdotto la possibilità di convertire il Premio di Risultato in welfare: questo, di conseguenza, indica come vi sia un maggiore coinvolgimento del sindacato nella definizione di tale genere di accordi (vi ricordiamo infatti che, nel caso di possibile conversione del PdR in budget welfare è necessario prevedere la firma delle rappresentanze sindacali nell’intesa aziendale).

Più in generale, per quanto riguarda i dati ricavati dai contratti stipulati in Assolombarda, l’associazione evidenzia una maggiore presenza di prestazioni riguardanti l’ambito sociale (come previdenza, sanità, genitorialità e sostegno alle cure di familiari). Allo stesso tempo, secondo i provider, nel 2018 i lavoratori hanno fatto maggiore richiesta di prestazioni come flexible benefit, mobilità e altri interventi riguardanti l’ambito ricreativo, mentre sono diminuite – seppur di poco – le spese per la previdenza complementare, la sanità integrativa e le spese scolastiche e per l’istruzione dei figli.

Questo ultimo aspetto fa riflettere su quello che è l’effettivo uso che i lavoratori fanno del proprio budget welfare. Come spesso vi abbiamo sottolineato (ad esempio qui e qui) ciò è dipeso anche dalla normativa di riferimento, la quale unisce e – a tutti gli effetti – parifica prestazioni dall’impatto molto differente.

Riferimenti

Il rapporto dell’Osservatorio Welfare di Assolombarda (anno 2018)