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Iris Network, rete nazionale degli istituti di ricerca sull’impresa sociale, ha recentemente pubblicato il rapporto “L’impresa sociale in Italia. Pluralità dei modelli e contributo alla ripresa”, a cura di Paolo Venturi e Flaviano Zandonai.
L’importanza del tema è efficacemente argomentata da Claudio Gagliardi, Segretario Generale Unioncamere, che nella presentazione del volume sottolinea come: «Configurandosi come il più evidente punto di incontro tra profitto ed equità sociale, se vogliamo, l’impresa sociale può rappresentare una valida risposta alla crisi, un fenomeno in grado di coinvolgere tutti, i più disagiati, gli esclusi, secondo una logica imprenditoriale fondata sulla cooperazione, sulla passione nei confronti del lavoro, sugli ideali comuni, sulla relazionalità e l’inclusione sociale. Virtù che meritano tutto il sostegno per permettere a questa tipologia imprenditoriale di affermarsi trasversalmente lungo l’intera economia, valorizzando territori, identità locali, cultura qualità e produzione, tutti pilastri sui quali non a caso poggia il successo del nostro made in Italy» (p. 9). Per Gagliardi l’uscita dalla crisi attuale implica quindi che nella sfera economica venga superata una visione eccessivamente orientata alla massimizzazione del profitto, affinché i due binomi “libertà-competizione” e “solidarietà-uguaglianza” possano trovare un nuovo equilibrio (su questi temi è oggi attivo il progetto “Social Business Earth” del premio Nobel Muhammad Yunus, nei riferimenti). Tuttavia, l’affermazione di un nuovo modello di sviluppo economico impone una accurata analisi di ciò che l’impresa sociale è oggi e, conseguentemente, delle sue prospettive di diffusione in futuro.
Il rapporto di Iris Network si propone quindi, come sottolineano Marco Morganti (Amministratore Delegato Banca Prossima) e Marco Ratti (Laboratorio Banca e Società, Intesa San Paolo) nell’introduzione, “una fotografia del mondo delle imprese sociali” arricchita da elementi dinamici che mettono in luce le tante potenzialità del settore. Potenzialità che, secondo Morganti e Ratti, la leadership delle singole imprese potrà cogliere solo agendo su tre fronti collegati: «[…] migliorare il fundraising, trovando risorse a costo basso o nullo; fare investimenti, anche per raggiungere economie di scala, con il supporto del credito “intelligente”, che tiene conto delle peculiarità del mondo non profit; abbattere la base di costo, razionalizzando gli acquisti» (p. 13).
Nella premessa al volume, Carlo Borzaga sottolinea come l’esperienza ormai trentennale delle imprese sociali in Italia e in Europa (nella forma prevalente delle cooperative) abbia condotto all’accumulo di una consistente messe di dati e di informazioni su questo variegato universo, consentendo agli studiosi di definire con sempre maggiore efficacia le caratteristiche più rilevanti del fenomeno. La definizione di impresa sociale che Borzaga accoglie, sulla base della cornice teorica ed empirica di cui sopra, appare particolarmente efficace, per cui la riportiamo integralmente: «[…] tutte quelle organizzazioni private svolgenti attività produttive secondo criteri imprenditoriali, ma che perseguono, a differenza delle imprese convenzionali, una esplicita finalità sociale che si traduce nella produzione di benefici diretti a favore di una intera comunità o di soggetti svantaggiati. L’impresa sociale non massimizza il profitto di coloro che apportano il capitale di rischio ed è piuttosto tesa alla ricerca dell’equilibrio tra una giusta remunerazione di almeno una parte dei fattori produttivi e le possibili ricadute a vantaggio di coloro che utilizzano i beni o i servizi prodotti. Un’impresa quindi che può coinvolgere nella proprietà e nella gestione più tipologie di stakeholder (dai volontari ai finanziatori), che mantiene forti legami con la comunità territoriale in cui opera e che trae le risorse di cui ha bisogno da soggetti pubblici e privati attraverso transazioni di mercato e apporti di carattere donativo» (p. 16). Ovviamente, sottolinea Borzaga, questa definizione non deve impedire di cogliere gli aspetti più dinamici che caratterizzano quello che in questi anni si va delineando come un vero e proprio fenomeno di “institution building” per l’impresa sociale; fenomeno che necessità di una lettura flessibile dei processi evolutivi in questo settore.

 

La prima parte del rapporto: dimensioni strutturali e contributo allo sviluppo

Il rapporto di Iris Network si articola in due parti, la prima delle quali è dedicata alle dimensioni strutturali del fenomeno “impresa sociale”.
Il primo contributo è quello di Domenico Mauriello e Chiara Carini, e mira a fornire un quadro d’insieme dell’evoluzione recente di queste organizzazioni, che si confermano un fenomeno economico rilevante, occupando circa il 3% dei dipendenti dell’economia privata extra agricola del paese. Un altro dato particolarmente interessante è rappresentato dalla netta prevalenza, nel settore, delle cooperative sociali: l’83% delle imprese sociali esistenti in Italia nel 2008 era costituita da cooperative (organizzazioni particolarmente adatte a rispondere alle trasformazioni recenti del welfare italiano, con riferimento ai servizi alla persona, e favorite anche dalla normativa fiscale e previdenziale di settore). Il bilancio tracciato da Mauriello e Carini è quello di un settore in continuo sviluppo fino al 2008, quando si sono cominciate a registrare le prime difficoltà espansive. Sempre in termini di tendenze generali, sono confermati i settori di attività prevalenti dell’impresa sociale: la sanità, l’assistenza e l’educazione. Questo quadro dipende sia dalla natura dei bisogni espressi dalla popolazione, che dal forte coinvolgimento delle cooperative da parte della Pubblica Amministrazione nell’erogazione di servizi esternalizzati. I dati presentati in questo primo capitolo (che riguardano ambiti di attività e beneficiari dei servizi, ruolo dei volontari e risultati economici) sono stati raccolti attraverso un’indagine promossa da Iris Network e Unioncamere all’inizio del 2011 “sulle imprese che operano in ambito non profit e che, sebbene non abbiano acquisito la qualifica legale di impresa sociale ai sensi del D.lgs. 155/06, presentano le caratteristiche sostanziali per essere considerate a tutti gli effetti imprese sociali”. A tale fine si è fatto uso del Sistema Informativo Excelsior, aggiornato all’anno 2010.

Nel capitolo successivo, di Paolo Venturi e Flaviano Zandonai, l’attenzione si sposta sul consolidamento e sulle trasformazioni del modello imprenditoriale: «L’obiettivo delle imprese che assumono un’esplicita qualifica “sociale”, sia in termini formali che sostanziali, è di innovare l’offerta di prodotti e servizi attraverso modalità di gestione e di governance che prevedono il coinvolgimento attivo di una pluralità di portatori di interessi, allargando così la ragione economica alla dimensione sociale e ricongiungendo l’efficienza con l’efficacia» (p. 55). Il contributo si snoda attraverso la presa in esame di alcuni fattori considerati decisivi per delineare la fisionomia delle imprese sociali oggi attive in Italia: la natura dei promotori (imprenditori singoli o soggetti collettivi), le forme giuridiche assunte (vengono in particolare analizzate le cause della mancata adozione, in un numero consistente di casi, della forma di “impresa sociale” prevista dal D.lgs. 155/06), l’incidenza di risorse derivanti da transazioni di mercato con clienti pubblici e privati, il grado e le modalità di coinvolgimento dei più rilevanti stakeholders ed infine il grado di propensione all’innovazione.

Il capitolo seguente, di Domenico Mauriello, focalizza il contributo delle imprese sociali alla crescita dell’occupazione in Italia e allo sviluppo del capitale umano. Tra i temi trattati emerge come particolarmente rilevante quello relativo alle tipologie di lavoratori richiesti dalle imprese sociali. Infatti, queste ultime mostrano una tendenza molto più marcata, rispetto al panorama imprenditoriale italiano, all’assunzione di figure in possesso di istruzione di livello terziario: «Dal 2006 al 2011, emerge una significativa crescita nel tempo della domanda di figure tecniche, la cui quota sul totale delle assunzioni passa dal 24% al 31% guadagnando così oltre 7 punti percentuali. Si tratta, nello specifico, di insegnanti di sostegno e altri insegnanti in scuole speciali, di insegnanti in scuole materne ed elementari, di infermieri, chinesiterapisti, fisioterapisti, riabilitatori, di assistenti sociali e, sempre più, di figure tecniche addette alle fasi gestionali e commerciali (contabili, informatici, tecnici della distribuzione, ecc.)» (pp. 86-87). Trovano inoltre conferma, anche nel settore delle imprese sociali, le difficoltà economiche del Meridione, in cui “il mondo del non profit appare più frammentato dal punto di vista organizzativo, meno specializzato in attività a maggior valore aggiunto e, al contempo, più vincolato alle necessità di contenimento della spesa pubblica” (p. 93).

Il contributo di Pierpaolo Marano si sostanzia in un’analisi degli statuti sociali di un campione significativo di imprese, costituite ex-D.lgs 24 marzo 2006 n. 155, per verificare la rispondenza degli stessi alle previsioni di legge. Il quadro che emerge dall’analisi non è incoraggiante sotto il profilo della piena consapevolezza, da parte dei responsabili delle imprese sociali, dell’importanza non solo formale dell’adozione di regole costitutive coerenti con il dettato normativo. Si profila quindi, secondo Marano, la necessità che il legislatore intervenga nuovamente sulla materia per rendere più intellegibile il modello statutario che caratterizza l’azione dell’impresa sociale, anche al fine di evitare fenomeni diffusamente riscontrati di statuti in cui “le regole del decreto sono molto spesso riprodotte meccanicamente, senza che l’autonomia negoziale si sforzi di adattarle alla concreta attività esercitata o alla particolare composizione di quella compagine sociale; laddove le forme e il coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari dell’attività paiono relegate – quando previste – a vuote formulazioni”.

Il capitolo successivo, di Giulia Galera e Flaviano Zandonai, apre una finestra sull’evoluzione dell’impresa sociale in ambito internazionale. Molta attenzione è dedicata ai paesi dell’ex-blocco sovietico, le cui caratteristiche istituzionali hanno determinato uno sviluppo del tutto peculiare delle organizzazioni del Terzo settore, rispetto al resto dell’Europa. L’analisi comparata viene svolta mediante l’individuazione dei fattori che contribuiscono all’istituzionalizzazione dell’impresa sociale: fattori sociali, fattori storici, culturali e antropologici, condizioni economiche, aspetti politici, incentivi normativo-fiscali e accesso ai finanziamenti.

 

La seconda parte del rapporto: pluralità dei modelli e diversificazione dei settori

La seconda parte del rapporto di Iris Network si apre con il contributo di Ericka Costa e Chiara Carini sulla cooperazione sociale in Italia. Ai dati relativi alla consistenza numerica del fenomeno e alla sua distribuzione geografica, si affiancano quelli riguardanti i settori di attività prevalenti e i profili occupazionali, Segue un’analisi delle principali grandezze economiche della cooperazione (valore della produzione e capitale investito). I risultati confermano un quadro molto dinamico della cooperazione in Italia, con dati positivi in particolare per le cooperative di tipo A e nei territori del Nord Italia, per quanto riguarda sia l’occupazione che i risultati economico finanziari.

Il successivo contributo di Luca Fazzi analizza la capacità di innovazione delle cooperative sociali e prende le mosse dalla constatazione che la visione diffusa per cui Terzo settore sia sinonimo di innovazione nel welfare, non si basi su solide basi empiriche e, quindi, richieda maggiori studi per poter essere confermata. Il rischio, come sottolinea opportunamente Fazzi, è che il tema, avvertito come pacifico, non venga considerato in tutta la sua problematicità e che, in particolare, sfuggano all’analisi gli ostacoli istituzionali di contesto e quelli organizzativi interni alle imprese sociali che di fatto riducono il potenziale di innovazione del settore. L’analisi di Fazzi si basa su un campione di 400 cooperative sociali attive sul territorio e impiega la tipizzazione delle forme di innovazione elaborate da Stephen Osborne (2008, nei riferimenti) in occasione di uno studio condotto su 250 organizzazioni di volontariato inglesi nei primi anni 2000. La capacità di innovazione delle cooperative italiane viene quindi classificata in innovazione incrementale (miglioramento di prassi e modelli consolidati), espansiva (estensione del servizio a nuovi territori o soggetti), evolutiva (presenza di novità nel prodotto o nell’organizzazione dei servizi) e totale (nuovi modi di lavorare che rispondono a bisogni precedentemente non intercettati). Nelle conclusioni di Fazzi troviamo alcuni passaggi particolarmente interessanti, che chiamano in causa, nello sviluppo di strategie innovative nell’impresa sociale, il ruolo fattivo e imprescindibile degli attori pubblici: «La sfida centrale per promuovere e sostenere la spinta riformatrice delle nuove cooperative sociali è da collocarsi in pieno all’interno delle politiche pubbliche. Le politiche pubbliche di sostegno all’innovazione non vanno intese secondo un’abitudine, purtroppo molto italiana, come semplice trasferimento di risorse economiche alle cooperative per l’erogazione di specifici servizi, bensì soprattutto come costruzione di condizioni di contesto tali da favorire lo sviluppo e la diffusione dell’innovazione» (p. 178).

Nel capitolo seguente Laura Bongiovanni e Paolo Venturi analizzano la capacità relazionale come fattore di crescita delle imprese sociali, mettendo in luce come la recente crisi economica impatti in modo più negativo su quelle organizzazioni che non investono nelle dinamiche relazionali. In particolare, i tagli sensibili alla spesa sociale degli ultimi anni – che stanno rendendo sempre più difficoltoso il finanziamento di parte delle attività delle imprese sociali attraverso i rapporti con gli enti pubblici – producono effetti meno gravi su quelle imprese che scelgono di innovare attraverso la sperimentazione di nuove partnership con il resto del Terzo settore e con le aziende for profit, determinando così un sensibile scostamento dalla pratica consolidata delle cooperative sociali di concentrare la propria azione su di un rapporto privilegiato con i pubblici poteri: «Tanto più lo Stato arretra nel presidio dei bisogni sociali, tanto più la cooperazione sociale mostra vitalità nel ridisegnare e aggiornare le reti di welfare per anziani, bambini, famiglie, persone svantaggiate, costruendo nuove alleanze con il settore privato e con le altre organizzazioni del terzo settore» (p. 192).

Il rapporto di Iris Network contiene inoltre un’analisi di Sara Depredi sulle cooperative di inserimento lavorativo e un interessante contributo di Mauro Baldascino e Michele Mosca sul ruolo che l’impresa sociale è in grado di assumere rispetto al “riutilizzo a fini sociali” dei beni confiscati alle organizzazioni criminali, nella prospettiva dello sviluppo economico e sociale dei territori con forte presenza di criminalità.

Il rapporto si chiude con il contributo di Francesco Maietta, che traccia le possibili linee evolutive dell’economia sociale sotto il profilo della qualità relazionale dei servizi offerti e della flessibilità degli stessi rispetto ai bisogni emergenti (in particolare nell’ambito della non autosufficienza), alla luce delle trasformazioni recenti del sistema di welfare italiano e della grave crisi economica che il paese sta attraversando. In questo capitolo è presente un passaggio che coglie in modo molto efficace la natura delle aspettative che sono riposte nello sviluppo dell’economia sociale. Aspettative che si radicano nell’esigenza di ricostruire reti di solidarietà che sembrano oggi sempre più fragili all’interno della società italiana: «La fiducia sociale, il riconoscimento in e di alcune istituzioni collettive, è un presidio significativo tanto più in questa fase di difficoltà crescenti nel quotidiano, segnata anche dall’emergere di alcuni degli aspetti più regressivi dell’individualismo. E’ su questa dimensione che il ruolo dei soggetti dell’economia sociale è molto importante, perché catalizzando la fiducia della collettività finiscono per svolgere un ruolo di istituzioni di fatto […] la capacità di mobilitarsi in modo flessibile ed efficace rispetto alle nuove e incessanti difficoltà delle famiglie generate dalla crisi ha potenziato il capitale di fiducia di cui beneficiano i soggetti dell’economia sociale, veri interpreti in tempi difficili di una cultura del fare, della prossimità, efficace nel produrre coesione e capitale sociale nelle comunità» (pp. 245-246).

Il rapporto di Iris Network sull’impresa sociale rappresenta un contributo importante nella direzione di una sempre più approfondita conoscenza dei temi dell’economia sociale. La capacità degli autori di mettere in evidenza le potenzialità ma anche i limiti attuali del fenomeno delle imprese sociali in Italia costituisce un apprezzabile sforzo di chiarezza attorno a temi che sono troppo spesso affrontati in modo poco circostanziato e superficiale.

 

Riferimenti

D.lgs. 155 del 24 marzo 2006 "Disciplina dell’impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118"

Yunus «il capitalismo? Serve la fase 2», Sabella Marco, Corriere della Sera, 28 maggio 2012

L’associazione Olinda e le potenzialità dell’impresa sociale

Sito di Iris Network


Sito dell’istituto Euricse

Sito dell’associazione Isnet

Sito dell’associazione Aiccon

 

Osborne, S., Chew, C., McLaughlin, K., The innovative capacity of voluntary organizations and the provision of public services. A longitudinal approach, in «Public Management Review» (Special Issue on Innovation in Public Services), 10, 1, 2008, pp. 51-70.