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Il presente articolo è stato realizzato sulla base delle interviste realizzate nell’ambito di MINPLUS, il progetto di ricerca Interreg Italia-Svizzera da cui, tra le altre cose, è nato il nostro focus tematico "Immigrazione e accoglienza".


L’Italia è al 39° posto per la tutela dei diritti delle persone LGBT in Europa.
Non certo un dato incoraggiante. Tuttavia molto si sta facendo, soprattutto sulla spinta dell’associazionismo LGBT, per accogliere e integrare nella nostra società coloro che fuggono dal loro paese perché perseguitati o discriminati per il loro orientamento sessuale. Come evidenzia un interessante articolo di Open Migration, l’Italia si è distinta per alcune buone pratiche in tema di protezione per persone LGBT: “il nostro paese ha infatti adottato la buona pratica secondo cui l’esistenza di leggi che condannano l’omosessualità è considerata di per sé persecutoria. Una posizione, questa, confermata nel 2012 dalla Corte di Cassazione”.

Non è così in altri paesi come Austria, Irlanda, UK ed esistono addirittura paesi dove sono previsti degradanti esami medici per verificare l’orientamento sessuale (come in Repubblica Ceca e Slovenia). È necessario, secondo Open Migration, fare informazione sui diritti che spettano ai migranti LGBT in Italia, perché la mancanza di informazioni e la percezione distorta che si ha all’estero può avere conseguenze nefaste ad esempio nei confronti dei cosidetti “dublinati”, coloro che sono respinti verso il primo paese di approdo come l’Italia dai paesi del Centro e del Nord Europa. L’Italia, come altri paesi europei, non raccoglie dati sulla motivazione della richiesta di protezione internazionale, ma è certo che tra i paesi di provenienza più rappresentati, diversi hanno leggi che puniscono con il carcere (dai tre anni all’ergastolo) un rapporto sessuale tra persone dello stesso sesso. 

Una delle prime e più importanti realtà in Piemonte sul fronte dell’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati LGBT è costituita dal progetto AfricArcigay operante nel vercellese. Il progetto è nato dall’iniziativa di un gruppo di migranti supportati da Giulia Bodo, una volontaria attivista dell’Associazione Arcigay Rainbow di Vercelli, che si è trovata, inaspettatamente, a diventare il centro di una rete di sostegno per migranti LGBT provenienti dall’Africa.

Il progetto nasce nel 2016, quando alcuni migranti omosessuali chiedono, attraverso i CAS, di essere assistiti nelle loro richieste di protezione internazionale. L’attivista, già insegnante di italiano per stranieri, si adopera per fornire tutta l’assistenza necessaria ad ottenere lo status riconosciuto dalla normativa italiana. La valenza peculiare del progetto AfricArcigay è però quella di andare oltre la mera assistenza e di puntare alla formazione degli ospiti dei CAS sia omosessuali che non, affinché una cultura non discriminante emerga tra gli stessi migranti, spesso responsabili di una diffusa omofobia frutto della cultura di provenienza. Corsi di formazione rivolti agli operatori e agli ospiti dei CAS e creazione di spazi di socialità sono gli strumenti di “doppia integrazione” messi in atto dai volontari dell’associazione.

Attraverso il passaparola tra connazionali o comunque tra centroafricani – racconta Giulia Bodo – sono arrivati a seguire circa 80 migranti che spesso, a loro volta, diventano attivisti e si adoperano presso i loro stessi compatrioti affinché trasformino il senso di vergogna e di isolamento che li opprime in conoscenza dei propri diritti.

Frequentemente, infatti, non consapevoli dei diritti riconosciuti in Italia alle persone LGBT provenienti da Paesi che li discriminano, questi migranti tendono a negare la loro condizione anche quando si presentano alle Commissioni territoriali che decidono se attribuire lo Status di rifugiato o meno. Inoltre, le persone supportate da AfricArcigay, anche una volta ottenuti i documenti, rimangono legati all’associazione che diventa una sorta di comunità ideale di appartenenza. L’ ambiente associativo significa anche condivisione e decisioni collettive democratiche a cui persone provenienti da paesi non democratici non sono abituati. Una forma di integrazione dunque che passa attraverso la consapevolezza identitaria, il rifiuto dello stigma e una coscienza democratica, costruito attraverso un paziente lavoro di formazione culturale capace di avvicinare a queste tematiche anche gli eterosessuali presenti nei centri di accoglienza.   

Anche il Circolo Maurice, importante realtà associativa LGBT della città di Torino, si è da sempre occupata di migranti e intersezionalità (ovvero del sovrapporsi di diverse identità oggetto di discriminazione e/o emarginazione). Nell’Aprile del 2018 sulla spinta di alcuni migranti LGBT si è costituito il Maurice Refugees, un gruppo che ha creato spazi di aggregazione e socialità, ha favorito lo scambio di informazioni, ha promosso percorsi di formazione per operatori, volontari e richiedenti asilo, rifugiati e migranti LGBT. Come racconta Antonio Soggia, Presidente del Circolo Maurice, i volontari dell’associazione hanno seguito un percorso di formazione sul tema dell’accoglienza e supporto ai richiedenti asilo e rifugiati LGBT affrontando le questioni giuridiche, culturali, incontrando le migliori esperienze realizzate sul territorio (come Pink Refugees di Verona e Africarcigay del vercellese).

Nell’area della provincia di Torino il Circolo Maurice, Quore e Arcigay, sono diventati importanti interlocutori della Prefettura, hanno proposto e gestito corsi di formazione rivolti ai commissari che hanno il compito di valutare le richieste di protezione, e hanno offerto un servizio di accoglienza e supporto ai richiedenti asilo LGBT indirizzandoli verso legali e, a  seconda dei bisogni, verso gli altri attori della rete di supporto che si è venuta a creare negli anni a livello locale.

I migranti LGBT presentano infatti una doppia vulnerabilità e necessitano di una specifica assistenza
, lo spiega bene Piero Pirotto, volontario e orientatore professionale dell’associazione Quore di Torino, che con il Progetto RARO offre assistenza psicologica e legale ai richiedenti asilo LGBT: spesso nelle audizioni nelle commissioni territoriali preposte a valutare le richieste di protezione i migranti LGBT non riescono a raccontare la loro storia, a parlare con i nostri codici culturali del loro orientamento sessuale, a fidarsi degli interpreti per paura di discriminazioni nelle loro comunità etniche.

La discriminazione e l’omofobia presente anche nelle comunità di immigrati oltre che nella nostra società può accentuare il senso di solitudine che caratterizza spesso i percorsi di richiedenti asilo e rifugiati. Per questa ragione le iniziative partite dal basso sulla spinta dell’associazionismo LGBT svolgono un ruolo molto significativo per rispondere a questa vulnerabilità e nel supportare percorsi di integrazione linguistica, lavorativa, abitativa e sociale.

Sempre su iniziativa di Quore, a Torino è nato anche il primo progetto di co-Housing per persone LGBT in Italia: TO Housing
(progetto di cui avevamo già parlato qui). Il progetto può accogliere fino a 24 ospiti in 5 appartamenti di proprietà ATC non destinati alle graduatorie per le case popolari. Il progetto nasce per rispondere all’emergenza abitativa delle persone LGBT italiane e straniere ma anche per attivare, proprio a partire da un bisogno primario e fondamentale come la casa, percorsi di reinserimento sociale.

To-Housing si rivolge a giovani tra i 18 e 26 anni allontanati dalle famiglie di origine a causa dell’orientamento sessuale; migranti e rifugiati omosessuali, per i quali emerge da riscontri di operatori e istituzioni, la necessità di essere ospitati in spazi sicuri e protetti; anziani LGBT e persone transessuali e transgender
. Il progetto riceve il supporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, della Regione Piemonte, del Consiglio Regionale del Piemonte, della Città di Torino, di ATC – Agenzia Territoriale per la Casa del Piemonte Centrale e ha come sponsor IKEA, Iren, Bentley SOA, Philips, Cooperativa Di Vittorio, La Banca delle Visite e Medi.ca.

È “rete” una delle parole che ricorre più spesso nei discorsi degli attivisti dell’associazionismo LGBT
con cui abbiamo parlato: rete nella gestione dell’accoglienza, rete tra attori pubblici e privati per la segnalazione di casi, per la soluzione di problemi complessi che chiamano in causa diverse competenze, per favorire la tessitura di nuove relazioni sociali, rete con la società civile e mondo delle imprese per favorire l’inclusione lavorativa. Nel percorso dei migranti LGBT non di rado la conoscenza e la creazione ex novo di luoghi di aggregazione LGBT e LGBT friendly rappresenta un passaggio importante per uscire dalla solitudine che caratterizza talvolta in modo drammatico il primo periodo in Italia.

Nel quotidiano dell’accoglienza attori anche con riferimenti culturali diversi, dal mondo cattolico alle realtà legate alla comunità LGBT, lontani dagli scontri ideologici e mediatici, si ritrovano non di rado, insieme ai servizi pubblici, agli enti locali, alle cooperative ed altri attori privati, a fare un lavoro di squadra per salvaguardare le persone.
  E ciò pur muovendosi dentro vincoli sempre più stretti, quelli determinati dai tagli economici al sistema CAS e dalla stretta sui permessi inserita nel Decreto Sicurezza.