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Per Garanzia giovani si apre la stagione del bilanci, ma nel tirare le somme scontiamo l’assenza di una cultura della valutazione: schemi mentali manichei hanno infatti accolto Garanzia giovani prima ancora del varo del programma. Come abbiamo più volte sottolineato all’interno dei nostri approfondimenti, (si veda ad esempio La Garanzia giovani è senza prospettive?, di Patrik Vesan, e, Garanzia Giovani: eppure funziona, di Renata Lizzi) abbiamo quindi bisogno di un nuovo punto di vista che sappia valutare oggettivamente i risultati della misura, per ripartire dai successi e trarre lezione dagli errori, senza cadere nel disfattismo facile e veloce.

 

La stagione dei bilanci

Per Garanzia giovani si apre la stagione del bilanci: si avvicina infatti la scadenza dei due anni di vita del programma e si discute di un possibile rifinanziamento; prende avvio l’Anpal, la nuova agenzia per le politiche attive che ne ricalca alcuni meccanismi di “governance”, in particolare per quanto riguarda il rapporto Stato-Regioni. Sta per uscire un rapporto di monitoraggio e valutazione dell’Isfol. Garanzia giovani è un programma europeo che ha ottenuto uno stanziamento straordinario di 6 miliardi di euro nel bilancio 2014-2020. All’Italia sono arrivati 1,3 miliardi grazie al piano predisposto dal ministro Giovannini e attuato dal ministro Poletti per il gruppo-target dei Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. È un programma di occupabilità prima ancora che di occupazione. Prevede che i soldi vadano esclusivamente ai giovani beneficiari, per finanziare il ritorno allo studio, tirocini, un posto di lavoro o l’autoimprenditorialià.

Nel piano italiano grande risalto è stato dato alla predisposizione di un meccanismo nazionale di monitoraggio. Ora, nel tirare le somme, scontiamo proprio l’assenza di una cultura della valutazione. Schemi mentali manichei hanno infatti accolto Garanzia giovani prima ancora del varo del programma.

 

Dalle previsioni ai fatti

L’elenco delle critiche preventive al programma è lungo.

“La piattaforma sarà un flop” dicevano i primi critici nel 2013. Oggi, la piattaforma nazionale, una innovazione importante che ha permesso di superare la balcanizzazione provinciale/regionale dei servizi del lavoro, ha accolto senza intoppi le iscrizioni provenienti da tutta Italia. Non solo: ha reso possibile la selezione delle domande sulla base dello status effettivo di Neet (escludendo, per esempio chi, pur avendo fatto domanda, in effetti risultava studente o occupato) e la successiva analisi, attraverso questionario, della situazione individuale e delle possibili misure di avvicinamento all’occupabilità.

“I numeri sono insufficienti” si scriveva quando le adesioni erano già 150mila, ora si avviano al milione (precisamente 988.368 al 3 marzo 2016, con un tasso di crescita dell’8,1 per cento dall’inizio dell’anno. Numeri che nessun programma di politiche del lavoro in Italia ha mai realizzato finora.

“I servizi dell’impiego non riusciranno a realizzare la presa in carico”, che è la procedura sulla base della quale un servizio per l’impiego supporta un disoccupato nella ricerca del percorso più adatto verso l’occupabilità. Il 3 marzo 2016, le prese in carico erano 630.455 con un tasso di crescita del 9,1 per cento rispetto all’inizio dell’anno.

“Non ci sarà capacità di attivazione”, ovvero non ci sarà la capacità di realizzare percorsi effettivi di studio, lavoro o alternanza studio/lavoro. Sempre il 3 marzo le attivazioni erano 291.883 con un tasso di crescita del 14,8 per cento dall’inizio dell’anno (tasso superiore a quello delle adesioni, che tuttora proseguono, e alle prese in carico). Ai primi di febbraio 2016, i tirocini attivati sfioravano i 124 mila individui, a cui si aggiungono circa 49 mila e 700 misure a titolarità regionale che andranno attentamente valutati per il loro potenziale impatto positivo.

“I servizi dell’impiego e le istituzioni non sono all’altezza del programma”. Questo naturalmente è il punto più critico. Alcune regioni del Sud hanno bellamente ignorato i requisiti della raccomandazione europea, che impongono che i soldi vadano solo ai giovani. Ma Garanzia giovani ha anche dato l’opportunità di lanciare programmi innovativi di portata nazionale come Crescere in digitale e di migliorare la qualità dei servizi per l’impiego a livello regionale (per esempio in Lazio).

È soprattutto sull’effettivo contenuto delle attività realizzate che occorre ora concentrarsi. Per esempio, nel caso dei tirocini c’è evidenza di successi con successiva trasformazione in posto di lavoro, come di insuccessi a causa di una frustrante discrepanza di aspettative tra giovani e datori di lavoro. Qual è il peso delle prime rispetto alle seconde? Dal ministero del Lavoro e dall’Isfol dovranno arrivare risposte sulla base di dati dettagliati e analisi rigorose. Il metro di valutazione, poi, non dovrebbe essere un presunto risultato ideale, “alla scandinava”, ma si dovrebbe vedere se e quali progressi siano stati fatti rispetto al punto di partenza, arretratissimo in Italia a giudizio di tutti. Forse c’era da attendersi l’opposizione a un programma che introduce nuove regole a favore di nuovi soggetti. E Garanzia giovani ha preso in contropiede numerosi osservatori – dai quali tuttavia non è arrivata nessuna proposta alternativa , ha visto la resistenza di alcune regioni e la sostanziale passività delle parti sociali. C’è però anche chi indica la necessità di un nuovo punto di vista. In realtà, “il programma è un concentrato di risposte alla crisi”. Il primo passo è stato fatto. Un riformismo paziente richiede di ripartire dai successi e di trarre lezioni dagli errori



*Questo articolo è stato pubbblicato su Lavoce.info il 18 marzo 2016.