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La premessa è d’obbligo: guardare al mercato del lavoro italiano sperando che da un giorno all’altro arrivi una notizia-bomba è un errore da evitare. Occorre invece decrittare con pazienza i segnali che maturano, come quello fornito ieri dall’Istat che ci racconta come in un anno nel Sud gli occupati siano saliti di 120 mila unità e soprattutto come sia diminuito di 114 mila unità — sempre nello stesso arco di tempo — il numero degli scoraggiati, coloro che neppure cercavano lavoro. È sicuramente un dato positivo e in qualche modo segnala se non un recupero di fiducia almeno una voglia di ingaggiarsi, di non restare a guardare, che l’Istat ha individuato come più consistente nel Mezzogiorno e nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni. È un effetto del programma Garanzia giovani? È plausibile così come il battage sul Jobs act e sulla decontribuzione dei nuovi assunti in qualche maniera può aver funzionato.

È chiaro però che da Garanzia giovani ci si poteva aspettare molto di più e senza voler rinfocolare polemiche degli scorsi mesi è evidente che il programma è uscito dai radar e non ne parla più nessuno, compreso il ministro competente. Secondo il monitoraggio condotto da Adapt si sono registrati 667 mila giovani di cui però solo 158 mila hanno ricevuto una proposta (che può consistere anche solamente in uno stage). Il dato che però indica la fase di stanca di Garanzia giovani è quello degli annunci di ricerca pubblicati sul portale: appena 1.500.

Per non contrapporre il meglio al bene prendiamo atto delle 114 mila persone che sono entrate nel mercato del lavoro e cerchiamo caso mai di supportarne le strategie di ricerca. Partiamo, infatti, da dati non incoraggianti: solo il 27,9% di chi cerca lavoro si rivolge ai Centri per l’impiego mentre al Nord il 35% bussa a un’agenzia privata. E in termini di efficacia i numeri sono drammaticamente più bassi: ha trovato lavoro tramite i Centri solo l’1,4% degli occupati e tramite agenzie private il 4,2%. Detto degli scoraggiati una menzione la meritano però i coraggiosi, quei giovani che viste le difficoltà di trovare un lavoro dipendente ricorrono all’auto-impiego. Non ci sono stime precise e in passato era stata azzardata la proporzione di 1 giovane su 4. Una traccia la troviamo però nel numero di partite Iva che si continuano ad aprire: nel mese di luglio 40 mila. È vero che in confronto allo stesso mese del 2014 c’è stato un calo del 7% ma comunque il ritmo resta elevato. E colpisce l’analisi dei settori di sbocco. Oltre al commercio e alla ristorazione che rimangono le strade principali si va per ondate: nei mesi scorsi abbiamo visto un piccolo boom dell’agricoltura alternarsi all’apertura di centri benessere.

Sempre a proposito delle strategie di ricerca del lavoro l’Istat ieri ci ha fornito un altro dato: l’88,9% di chi cerca lavoro si rivolge ad amici, conoscenti e parenti. La percentuale è cresciuta di 6 punti dal 2008 ad oggi ma tutto sommato non stupisce e non deve far gridare all’eterno familismo della società italiana. Nei momenti di grande incertezza si cerca innanzitutto un aiuto di prossimità che appare più personalizzato rispetto ad altri canali che restano freddi, anonimi e soprattutto non danno risposta (anche negativa).

Ma l’invio del curriculum è ancora la strategia scelta dal 73% mentre avanza la consultazione di Internet (61,6%). Secondo i dati forniti dal presidente dell’Istat Piergiorgio Alleva in una recente audizione parlamentare questo dato dal 2008 ad oggi è salito del 29%. Da due anni poi il 1° settembre, il giorno del rientro in ufficio, si registra un picco di accessi a LinkedIn di oltre il 60%. Una ricerca dell’Adecco aggiunge che non è solo LinkedIn il veicolo di questa ricerca ma anche Facebook. A dimostrazione che le relazioni restano decisive e via via a quelle parentali subentrano le amicizie digitali.  

*Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della Sera del 16 settembre 2015

 

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