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La cultura può essere un driver di sviluppo capace di garantire maggiore benessere, autonomia ed equità. In questo senso le biblioteche possono essere veri e proprio luoghi di rafforzamento delle comunità dove costruire nuove forme di ‘welfare socio-culturale’. È su questo tema che si basa la nostra ultima inchiesta pubblicata su Corriere Buone Notizie. Di seguito trovate l’articolo di contesto firmato da Paolo Riva e l’infografica con un po’ di dati interessanti; qui invece potete leggere il commento di Alessandro Agustoni, coordinatore del progetto CUBI – culture biblioteche in rete.


A Cavriago la biblioteca non si chiama più biblioteca. Eppure funziona benissimo.
In questo paese della provincia di Reggio Emilia, nel 2011, è stato inaugurato «Il Multiplo»: uno spazio di duemila metri quadri costato circa sette milioni di euro, che svolge con grande successo le funzioni di biblioteca e centro culturale. Lo scorso anno gli ingressi sono stati 108.812, le attività quasi 400 e i prestiti 103.975: significa più di quattrocento al giorno. Una cifra da capogiro per un comune di novemila abitanti. In un paese come l’Italia in cui le biblioteche pubbliche sono numerose, ma frequentate da una fascia ristretta di popolazione, il Multiplo è un caso positivo. Non è il solo. Ne esistono anche tanti altri, tra cui la Biblioteca San Giorgio di Pistoia, San Giovanni di Pesaro o il Pertini di Cinisello. Nati per iniziativa delle amministrazioni comunali, questi spazi cercano di rispondere ai cambiamenti che stanno mettendo in discussione l’identità delle biblioteche. E, per certi versi, ne anticipano il futuro. Nel contesto attuale «la mission delle biblioteche – spiega Cecilia Cognigni, coordinatrice della Commissione nazionale biblioteche pubbliche di Aib – va ridefinita».

Le sfide da affrontare sono molteplici, sia sociali sia tecnologiche: da un lato ci sono effetti della crisi, nuove povertà, immigrazione, minori risorse pubbliche e maggiori difficoltà per i comuni; dall’altro c’è il digitale e c’è internet con tutto quanto ne consegue, dagli e-book a Wikipedia. Non si tratta di un problema italiano: la tendenza è internazionale. I dati relativi ai prestiti dei libri cartacei , per diversi fattori, sono in calo in molti Paesi. La domanda è: date queste nuove condizioni, come far sì che le biblioteche continuino a essere dei luoghi di conoscenza e informazione aperti a tutti? È anche una questione economica. Le biblioteche, come tante altre istituzioni culturali, sempre meno possono far affidamento solo sui fondi pubblici e sempre più devono cercare nuove forme di finanziamento, dai bandi Ue alle sponsorizzazioni fino al fundraising.

Per governare questa trasformazione l’Associazione italiana biblioteche (Aib) ha redatto il documento «Disegnare il futuro della biblioteca. Linee guida per la redazione di piani strategici per le biblioteche pubbliche». A stilarle è stata la commissione guidata da Cognigni, che spiega: «Abbiamo insistito su alcuni aspetti in particolare. Scegliere poche ma efficaci azioni. Lavorare in rete e collaborare. Coinvolgere la cittadinanza: rendere gli utenti partecipi». Il documento verrà presentato a fine ottobre a Bari. Ma ci sono biblioteche e sistemi bibliotecari che già da tempo vanno in quella direzione. È il caso dell’azienda speciale Csbno che riunisce oltre trenta comuni della Città Metropolitana di Milano e ha un’organizzazione all’avanguardia. Oppure del Sistema bibliotecario CUBI che, proprio in questi mesi, sta lavorando al suo piano strategico. Il percorso è seguito da Marco Cau e Graziano Maino, due esperti di sviluppo locale e innovazione organizzativa, per i quali «le biblioteche sono e possono essere un importante spazio di sviluppo del welfare territoriale». Gli esempi non mancano, soprattutto se si guarda all’estero.

A Helsinki in Finlandia, ad Aarhus in Danimarca, nel quartiere londinese di Tower Hamlets o in diverse città della Francia le biblioteche sono state messe al centro di politiche di integrazione e coesione sociale. L’idea di fondo, ben sintetizzata da Anna Galluzzi in un saggio per bibliothecae.it, è che le biblioteche abbiano intercettato un forte bisogno che va al di là dei loro compiti istituzionali: «Quello di uno spazio pubblico, anonimo, attrezzato, non categorizzante e non escludente, dove ci si possa sentire al sicuro e muoversi liberamente». E questo, spiega Cau, è ancora più evidente nelle periferie o nelle aree interne: «Le biblioteche facilitano l’incontro e i legami di comunità». «Spesso non se ne rendono conto, ma le biblioteche sono già cambiate negli ultimi anni», prosegue Maino: «I piani strategici servono a dare forza e durata ad azioni che già vengono compiute, in modo più o meno consapevole, organizzato, efficace».

Ma, quindi, cosa si farà nelle biblioteche del futuro, ammesso che in futuro si chiamino ancora così? Secondo Cognigni «nomi nuovi sono utili a marcare dei cambiamenti, ma le biblioteche sono sempre state e continueranno a essere dei luoghi per promuovere conoscenza e competenze, dei luoghi per le comunità dove i libri sono una componente necessaria tanto quanto i servizi e le persone». Per Maino e Cau, oggi, la lista delle attività possibili è ampia ed eterogenea: dalle lezioni più disparate ai progetti contro il digital divide, dai momenti di incontro intergenerazionali agli spazi per bambini e famiglie, dalla formazione permanente all’accoglienza delle fasce deboli fino al co-working o al lavoro agile. Cosa realmente si farà dipenderà dai bisogni di ciascun territorio. E dalla capacità della sua biblioteca – o del suo Multiplo – di rispondervi.