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Nell’era di “Industry 4.0”, la digitalizzazione della produzione e dei processi organizzativi riguarda anche uno degli asset della grande trasformazione in atto: il Welfare Aziendale. L’outsourcing delle piattaforme web per gestire i programmi di welfare è la soluzione più gettonata, ma le imprese potrebbero passare a piattaforme progettate “in house”, includendo nella loro complessiva architettura informatica anche la gestione del benessere dei collaboratori. Le competenze per realizzare questo passaggio si stanno formando. A tracciare il percorso, però, non è il settore profit, ma quello della cooperazione sociale.

Uno degli aspetti più evidenti della continua diffusione delle prassi di Welfare Aziendale (WA) è rappresentato dalla nascita di numerose realtà dedicate alla progettazione ed alla fornitura dei relativi servizi di supporto: il numero delle imprese attive in questo campo è ormai tale che questa area di business è considerabile come l’espressione di un vero e proprio settore (tant’è che una parte di questi operatori si sono raccolti in una loro associazione di “categoria”: AIWA).

Quando non sono le imprese specializzate ad ampliare il numero dei player presenti sul mercato, ad allargare i confini del settore provvedono le numerose partnership commerciali che si sono andate strutturando negli ultimi anni e grazie alle quali soggetti privi della principale soluzione per la gestione dei Piani di Welfare Aziendale (PWA) – la piattaforma web – hanno trovato, in chi gliel’ha “noleggiata”, l’alleato per inserirsi ugualmente nell’arena competitiva.

Provider "puri" e Provider "reseller"

Complessivamente, ad oggi, si contano quasi un centinaio di operatori a vario titolo specializzati nella gestione dei PWA, ossia nella fornitura di almeno una tipologia di servizio di supporto al Welfare Aziendale (SSWA). Una buona parte di questi operatori (i “Provider puri”) sono quelli che dispongono, in modalità proprietaria, dei cd. “portali”, ossia di quelle specifiche piattaforme web alle quali si collegano i lavoratori beneficiari dei servizi di WA, generando o rendicontando le transazioni economiche da essi effettuate utilizzando gli importi stanziati nel proprio budget individuale (il cd. “Conto Welfare”).

Un’altra categoria di operatori (i “Provider reseller”) – privi (spesso per scelta) di un proprio “portale” e di una struttura di back-office dedicata alla sua gestione – grazie alle partnership poc’anzi citate opera sul mercato rivendendo le piattaforme dei Provider “puri” ed offrendole, in primo luogo, alla propria clientela corporate nella logica del completamento di un core-business del tutto differente da quello del vero e proprio Provider, ma pur sempre sinergico con l’offerta di soluzioni che hanno come target di riferimento le aziende e i lavoratori dipendenti (è il caso, ad esempio, delle società che si occupano di servizi di payroll e di alcune Agenzie per il Lavoro, ma anche, come stiamo per dire, di altre e spesso ben più strutturate realtà).

Tra i “Provider reseller” si potrebbe genericamente pensare di rintracciare realtà di piccole dimensioni o il cui raggio d’azione sia solo locale: era così fino ad uno o due anni fa, ma oggi è sostanzialmente vero l’esatto contrario. I principali “reseller”, infatti, sono operatori di rilievo nazionale come le grandi Banche e le principali Compagnie di Assicurazione che, soprattutto nel corso del 2017, si sono affacciate sul mercato con una notevole capacità operativa e comunicazionale. Per fare qualche esempio basterà citare il caso di UbiBanca con la sua offerta griffata “UbiWelfare” e quello di “WelfareHub”, brand che identifica i servizi di WA offerti dal Gruppo Intesa-San Paolo. Quanto alle Compagnie di Assicurazione si può citare Allianz e come ultimo caso, in ordine di tempo, quello di Generali Italia. Quest’ultima ha deciso di entrare sul mercato attraverso una nuova società (“Welion”) che dal 2018 sarà esclusivamente dedicata all’offerta di SSWA.

L’obiettivo dichiarato di Generali Italia è quello di diventare rapidamente il leader nazionale anche nel settore dei servizi di WA e per conseguire questo risultato ha annunciato investimenti per qualcosa come 50 milioni di euro oltre a 100 assunzioni già pianificate per i prossimi due anni. Numeri importanti che testimoniano, al di là delle scelte strategiche dei player del settore, come dietro ai servizi di WA si stiano movendo rilevanti interessi e si stiano consolidando posizioni di forza che nei prossimi anni faranno certamente la differenza verosimilmente provocando la fuoriuscita di qualche nome e l’aggregazione tra quegli operatori che, privi della necessaria dimensione, saranno posti davanti a quest’unica alternativa per continuare a competere su scala nazionale.


Il ruolo del Terzo Settore

Il vorticoso sviluppo delle prassi di WA, come noto, è stato recentemente favorito dall’accresciuto rilievo assunto dalla contrattazione di secondo livello (quella aziendale e territoriale) e dal più marcato favor fiscale verso le iniziative di WA contenuto nelle leggi di stabilità del 2016 e del 2017. Questi interventi normativi (cui hanno fatto da corollario successivi decreti ministeriali e una corposa risoluzione dell’Agenzia dell’Entrate), da un lato, hanno riscritto alcune fattispecie disciplinate dal TUIR utilizzate per sostenere i PWA (sul fronte fiscale e previdenziale) e, dall’altro, hanno ridato smalto alla disciplina dei Premi di Risultato introducendo la possibilità di una loro conversione in servizi di welfare con totale esenzione da imposte sui redditi e da contribuzione ai fini INPS. Tutto ciò offrendo evidenti opportunità. E’ quindi sempre più pervia la strada che assegna un’indispensabile funzione integrativa al “Secondo Welfare” del quale quello aziendale è una delle più salienti manifestazioni.

Questa lettura non è sfuggita al Terzo Settore. E non poteva essere diversamente. Anche se con un po’ di ritardo, il mondo della cooperazione e dell’impresa sociale ha compreso che chi “fa welfare” tutti i giorni, servendo milioni di persone (tra le quali anche lavoratori e lavoratrici di imprese private) non poteva non dare una risposta ad una crescente domanda – quella dei servizi di WA – che, nella pratica, si sostanzia nell’erogazione di molti interventi che costituiscono il core-service delle realtà del “sociale” (si pensi ai servizi per l’infanzia, come gli asili nido, alla gestione di campus estivi ed invernali o ai servizi di assistenza domiciliare per gli anziani o per i non-autosufficienti).

Il WA, quindi, per il Terzo Settore è una pista di lavoro “naturale” per capitalizzare appieno il suo know-how e alcuni esempi di traduzione in pratica di questa premessa non sono sin qui mancati. Se inizialmente si è trattato solo di alcune isolate esperienze (che hanno fatto però da “apripista”, come nel caso del consorzio marchigiano COOSS con la sua piattaforma “Welfie” dedicata alla gestione dei PWA) in altri casi, e soprattutto nel corso di quest’anno, nel settore dei SSWA si sono registrati ingressi ben più significativi ed in grado di sfidare i Provider sia per la completezza dell’offerta proposta, sia per la dimensione operativa dei player scesi in campo: su tutti spicca il caso di CGM (Consorzio Gino Mattarelli) che, dopo aver formato i suoi primi 20 Welfare Manager, pronti ad intercettare la domanda di WA espressa nei territori presidiati da questo grande network del “sociale”, ha stretto una partnership operativa destinata a farne uno degli operatori, almeno potenzialmente, più interessanti nel panorama complessivo del settore dei servizi di cui stiamo scrivendo.

Formazione professionale per il "Welfare Aziendale 4.0"

Ma quella del Terzo Settore, oltre ad essere una corretta scelta strategica (non restare escluso dalla progettazione e dall’erogazione di servizi che fanno parte del suo stesso DNA) ha recentemente acquisito anche una dimensione più ampia che porta direttamente nel campo dell’innovazione: è proprio al mondo della cooperazione sociale, infatti, che si deve l’organizzazione del primo corso di formazione professionale destinato a “sfornare” i primi “Digital Welfare Manager”.

Ci si sarebbe attesi che un programma di formazione specialistica, chiaramente orientato a creare competenze allineate alle richieste della trasformazione in corso che va sotto il nome di “Industry 4.0”, provenisse dal settore profit e dalle sue articolazioni che organizzano questi percorsi. Invece l’offerta formativa in questione ha visto la luce a Bologna grazie a IRECOOP Emilia Romagna (l’ente di formazione regionale di Confcooperative) il cui progetto formativo ha avuto accesso ad un cofinanziamento realizzato con risorse del Fondo Sociale Europeo e della Regione Emilia Romagna.

Saranno 300 le ore di formazione, di cui ben 112 in stage. Durante il corso, dopo aver affrontato gli aspetti fiscali, giuslavoristici e di progettazione dei PWA, saranno approfonditi temi specialistici come la progettazione e la gestione di sistemi digitali a supporto dei servizi di welfare (ossia i “portali”), il marketing e la customisation delle piattaforme web e dei servizi ad esse connessi, la configurazione e il budgeting dei PWA e le modalità di adattamento delle soluzioni tecnologiche alle singole peculiarità espresse dalle policy di welfare d’impresa, nonché le metodiche di monitoraggio e di valutazione degli interventi di WA.

Le iscrizioni resteranno aperte sino al 18 gennaio 2018 – precisa la responsabile del corso di formazione, Angela De Tursi – e gli stage potranno svolgersi sia presso cooperative sociali sia presso aziende profit che, in entrambi i casi, abbiano già implementato al loro interno programmi di Welfare Aziendale e alla condizione, altresì, che abbiano sede in Emilia Romagna, come previsto dal bando di finanziamento del progetto. Gli stage potranno essere svolti, con il medesimo limite territoriale, anche presso Provider di servizi di supporto al Welfare Aziendale” (in Emilia Romagna ne esistono almeno due che sono proprietari delle relative piattaforme: Day Groupe Up di Bologna e WelfareGratis di Cesena, mentre un terzo, CIRfood di Reggio Emilia, è un “reseller” – NdR).

Come nasce questo progetto e perché l’ha ideato una realtà come Confcooperative? Lo chiarisce con orgoglio Oreste De Pietro, Responsabile Area Welfare di Confcooperative Bologna: “l’idea nasce da un percorso avviato anni fa a livello nazionale e che adesso si sta sviluppando sul territorio affrontando vari aspetti del Welfare Aziendale: questo di Bologna rappresenta una tappa del processo di specializzazione dell’azione formativa che ci auguriamo possa avere utili ricadute sui progetti di Welfare Aziendale non solo delle cooperative, ma anche di altre realtà d’impresa. Il nostro intento complessivo è quello di offrire, a chi frequenterà il corso, una visione a tutto tondo sulla tematica per poi concentrarci sugli aspetti connessi alla digitalizzazione dei processi gestionali”.

Il futuro di un nuovo lavoro

Dove troveranno sbocco i “Digital Welfare Manager”? “L’auspicio” – precisa Oreste De Pietro – “è che i corsisti possano avere l’opportunità di mettere a frutto le competenze maturate ponendole a servizio delle realtà aderenti al mondo della cooperazione”. Del resto, cooperative e imprese sociali si mostrano sempre più interessate a trasferire al loro interno i benefici che i PWA apportano ai contesti organizzativi, in questo agendo sulla base di approcci del tutto simili a quelli delle aziende profit, anche se forse con più attenzione alle dinamiche sottostanti ai bisogni espressi dai collaboratori grazie a quella maggiore sensibilità relazionale che è certamente una delle cifre distintive di chi “fa welfare” quotidianamente. 

Il corso, quindi, intende rafforzare il know-how delle organizzazioni cooperative, professionalizzando le figure che dovranno progettare e gestire i supporti tecnologici necessari ad ottimizzare i flussi di fruizione e di rendicontazione dei PWA dei quali beneficeranno i lavoratori.

Guardando in prospettiva ed immaginando che iniziative simili potranno essere attivate anche altrove, lo scenario che si apre è di più ampia portata. I “Digital Welfare Manager”, infatti, potranno essere gli artefici della costruzione di piattaforme proprietarie allestite dalle cooperative e dalle imprese sociali sia per gestire i PWA interni, sia perché quei “portali” possano poi essere offerti sul mercato ad altre realtà della cooperazione sociale, come anche ad impese profit, ovviamente. Ciò renderebbe possibile immaginare che si possa assistere in futuro, e con maggiore facilità, alla nascita di “Provider puri” espressione di realtà del Terzo Settore. Non solo: queste figure professionali potranno anche diventare gli interlocutori ideali per dialogare con gli IT manager dei Provider “puri” (quelli, per così dire, tradizionali) laddove le realtà del Terzo Settore intendano operare come “reseller” sul loro territorio.

Si comprende agevolmente come questi nuovi tecnici specializzati potranno far gola anche agli stessi (tradizionali) Provider (ovviamente “puri”) che sono sempre alla ricerca d’innovazioni e di upgrade delle soluzioni che offrono (anche perché questi player, con l’affollamento che si sta creando nel settore, intravedono già il rischio di una certa equiparazione operativa e commerciale, con quel che ne consegue sul piano della "commodification" delle soluzioni offerte e sulla redditività del business complessivo).

Queste nuove figure professionali potranno poi interessare anche le aziende – soprattutto quelle di grandi dimensioni – nelle quali spesso è già presente un “Welfare Manager”. Ove così fosse ciò non comporterebbe una duplicazione (neppure parziale) della medesima funzione perché si tratta di due figure ben distinte, ancorché strettamente complementari: il Welfare Manager è normalmente espressione di competenze maturate all’interno dello staff della direzione del Personale o in quello delle Relazioni Industriali e si occupa di people management, non della progettazione e della gestione degli strumenti tecnologici necessari per il buon funzionamento del PWA.

Proprio qui potrà entrare in gioco il “Digital Welfare Manager” le cui competenze, sapendo tradurre in tecnologia “4.0” le necessità organizzative espresse dalle policy di welfare dell’azienda, potranno affiancare il Welfare Manager (e quindi la direzione del Personale) nella progettazione di soluzioni customizzate al massimo livello o, in alternativa, indirizzando le procedure di acquisto verso soluzioni coerenti, per contenuti e tecnologia, agli obiettivi d’innovazione, di sicurezza e di privacy perseguiti dell’azienda. Un ruolo a due facce perché il “Digital Welfare Manager”, pur operando a stretto contatto con l’area del Personale, sarà verosimilmente collocato in staff nell’area IT dell’azienda nella quale però, complice magari l’intervenuta attivazione di programmi di Smart Working (che presuppongono, di per sé, un investimento in tecnologia informatica), le tematiche del WA avranno già fatto breccia ampliando il background degli informatici.


"Welfare Aziendale 4.0": insourcing?

Tutto ciò, però, potrebbe avere anche un risvolto non molto gradito ai Provider (“puri” o “reseller” che siano): le aziende nelle cui strutture opereranno i “Digital Welfare Manager” saranno, infatti, quelle che potranno più facilmente riportare “in casa” la piattaforma di gestione del PWA (limitando l’outsourcing alle sole funzioni di back-office e di call-center). Ciò è tanto più immaginabile quanto più si pensi che la digitalizzazione dei processi produttivi ed organizzativi imposti dalla trasformazione che avanza con “Industry 4.0”, riguardando anche il rapporto con i lavoratori non potrà omettere di considerarli anche nella loro posizione di beneficiari delle politiche di welfare adottate dalle aziende che nella complessiva organizzazione d’impresa sono sempre più considerate come una leva gestionale strategica. E ciò che è strategico, si sa, normalmente sta in azienda e non è affidato a terzi.

Ecco allora profilarsi un’altra sfida per gli operatori dei SSWA: alla pressione concorrenziale provocata dal crescente numero dei player attivi ed al diffondersi di procedure di acquisto (gare) che, in combinato disposto con il primo fenomeno, cominciano a comprimere la marginalità del business, il futuro riserva forse anche una possibile nuova forma di “competizione”, frutto di un tradizionale dilemma manageriale (“make or buy”) che si potrebbe tradurre, in una prossima fase, nell’insourcing della piattaforma dedicata alla gestione dei PWA, trasformando l’azienda datrice di lavoro che (oggi) è un cliente del Provider in un suo possibile ed inaspettato “concorrente” (domani).