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Migliorare la qualità del lavoro per aumentare il fatturato. Spesso è questa la ragione che spinge molte organizzazioni a investire nel welfare aziendale per il benessere dei propri collaboratori. C’è infatti una relazione stretta tra un clima aziendale positivo e un’organizzazione che funziona e che, dunque, è in grado di operare di più e meglio sul mercato. E, anche per questo, molti osservatori hanno iniziato a parlare di una nuova “centralità della persona” all’interno delle aziende.

A metterlo in luce ci sono le evidenze di molte indagini, nazionali e internazionali. Secondo Disconnect to Reconnect, una ricerca di Adecco che ha coinvolto un campione di aziende di tutto il mondo, tra cui oltre 100 attive in Italia, circa 3 organizzazioni su 4 (73%) affermano che offrire un sostegno ai propri dipendenti sia importante per migliorarne il coinvolgimento (39%) e la soddisfazione (24%). Allo stato attuale però in Italia solo 1 azienda su 3 propone iniziative mirate alla tutela del benessere di lavoratori e lavoratrici.

Le ragioni sono probabilmente da ricercare nella disponibilità delle organizzazioni, ancora non pienamente consapevoli dei vantaggi legati al welfare aziendale e, forse, spaventate dal lavoro necessario affinché i piani di welfare portino benefici tangibili.

Capire i bisogni delle persone

Il welfare aziendale così concepito, infatti, va inserito all’interno di un processo di innovazione più ampio e articolato del semplice “piano” e richiede molti passaggi. Non sempre scontati.

Il primo, e forse più importante, è quello dell’analisi dei bisogni delle persone che lavorano in azienda. Un requisito essenziale per costruire un piano in grado di soddisfare lavoratori e lavoratrici è quello di conoscere in maniera dettagliata le loro necessità ed esigenze, dal punto di vista familiare, personale e professionale. I beni e servizi funzionano, generando un impatto sul benessere, se rispondono efficacemente a bisogni reali. A dimostrarlo ci sono anche molte esperienze concrete, come quella di COLSER-Auroradomus che vi abbiamo raccontato di recente.

Eppure, ad oggi, sembra che l’analisi dei bisogni non sia molto diffusa tra le realtà che fanno welfare. Secondo Welfare Index PMI 2022, questa pratica è ricorrente tra le organizzazioni medie (25,4%) e grandi (27,5%) e che hanno più esperienza nel welfare poiché realizzano piani complessi di livello “alto” (15%) o “molto alto” (34,7%)1. La percentuale delle aziende con meno di 100 dipendenti che valuta i bisogni in modo strutturato e formalizzato – cioè con strumenti metodologici validi, come i questionari o le interviste – è invece molto più bassa (16,3% per imprese tra 51 e 100 dipendenti, 9,3% per chi ne ha tra 11 e 50 e scende al 9,3% per chi ne ha meno di 10) (Figura 1).

Figura 1. L’analisi dei bisogni nelle imprese che fanno welfare (Fonte: Welfare Index PMI 2022).

Sono dati che fanno pensare, perché significa che chi è più piccolo e/o ha meno esperienza nel welfare non è in grado di svolgere efficacemente un’attività fondamentale. Danno da pensare anche alla luce del fatto che, soprattutto a seguito della pandemia, i bisogni sociali delle persone sono molto cambiati negli ultimi anni.

E, come dimostra la crescente mobilità del mercato del lavoro, nell’ultimo periodo spesso indicata anche con il termine “grandi dimissioni”, sembra essere cambiato il rapporto che le persone hanno con il lavoro. Basta vedere i dati recentemente pubblicati dal Ministero del Lavoro, secondo cui nei primi 9 mesi del 2022 sono state oltre 1,6 milioni le dimissioni volontarie: il 22% in più rispetto allo stesso periodo del 2021.

Come conoscere davvero i bisogni di lavoratori e lavoratrici?

Alla luce di quanto detto si può affermare che per fare welfare aziendale è necessario valorizzare a pieno il percorso di emersione e analisi dei bisogni dei dipendenti. A tale scopo negli anni sono nati vari strumenti, che cercano di aiutare le imprese in questo passaggio. Tra questi c’è WIN – What I Need, uno strumento digitale di rilevazione dei bisogni reali dei lavoratori e delle lavoratrici ideato dalla Società Benefit Walà, con il supporto scientifico del Laboratorio Percorsi di secondo welfare.

Come ci ha detto Martina Tombari, founder e CEO di Walà, “WIN è un applicativo attraverso cui le aziende possono conoscere in maniera precisa e dettagliata i bisogni dei loro collaboratori. Si tratta di un questionario “adattivo”, cioè in grado di cambiare in base ai bisogni che una persona esprime e, di conseguenza, di approfondire quelle aree di necessità in cui si hanno carichi più evidenti. In questo modo, grazie a una compilazione che richiede 5 minuti, sarà possibile far emergere i reali bisogni – personali, familiari e lavorativi – all’interno dell’organizzazione”.

Figura 2. La dashboard di WIN.

Tutti i dati raccolti, che sono trattati in base alle regole definite dalla vigente normativa sulla privacy, saranno poi accessibili in forma aggregata e anonima all’azienda. L’ufficio delle Risorse Umane o il Management dell’impresa può consultare una dashboard che permette di analizzare i grafici con la distribuzione della popolazione, conoscere le aree di bisogno più presenti tra la popolazione aziendale e osservare nel dettaglio le principali necessità che emergono dalla rilevazione”.

Le peculiarità di WIN

Fin qui tutto chiaro. Ma cosa distingue WIN da altri strumenti simili presenti sul mercato? È la metodologia alla base dello strumento, elaborata da Percorsi di secondo welfare sulla base dell’esperienza maturata, della conoscenza della letteratura accademica sull’individuazione dei rischi e dei bisogni sociali, ma anche delle competenze sviluppate “sul campo” dal suo gruppo di ricerca.

A questo riguardo, la direttrice di Secondo Welfare Franca Maino ci ha spiegato che “le domande di WIN vogliono rilevare i bisogni di lavoratori e lavoratrici tenendo conto sia della dimensione oggettiva sia di quella soggettiva. L’obiettivo è quello di prevenire potenziali “effetti distraenti” che agiscono sull’attenzione selettiva di chi risponde a questo tipo di rilevazioni. In altre parole, attraverso una corretta impostazione delle domande, WIN si concentra esclusivamente sui bisogni reali delle persone, espressi e inespressi”.

Franca Maino, direttrice di Percorsi di secondo welfare e professoressa dell’Università degli Studi di Milano.

Essendo basato sulle opportunità definite dalla normativa sul welfare aziendale, ma anche sui più recenti studi dedicati al tema delle politiche sociali, WIN tiene conto di sei specifiche aree di bisogno: i carichi di cura familiari, la vulnerabilità economico-finanziaria, la salute e benessere psicologico, le necessità legate alla formazione, la mobilità e il tempo libero.

Proviamo a capire meglio cosa significa distinguere tra bisogni soggettivi e oggettivi. “Lo strumento non si limita a identificare il numero di figli di chi risponde al questionario, oppure la presenza di un familiare non autosufficiente, che quindi richiede un’assistenza continuativa. Queste sono tutte informazioni determinanti, che ovviamente sono rilevate, ma abbiamo scelto di andare oltre. Le domande sono poste in modo tale da tenere conto anche dell’intensità percepita rispetto al proprio carico di cura o alle proprie necessità”, spiega Maino. “Inoltre la selezione delle aree di bisogno risulta dall’incrocio tra variabili indipendenti – età, presenza di carichi di cura familiari e problemi di salute – con variabili dipendenti, che concorrono a spiegare alcune contingenze nel percorso di vita individuale e, di conseguenza, l’emersione di bisogni specifici”.

Accanto alla raccolta di bisogni, Secondo Welfare si è poi occupato anche di impostare i criteri per l’elaborazione dei dati raccolti attraverso WIN, “per valorizzare le specificità dei percorsi e restituire un’analisi efficace che tenga conto delle caratteristiche individuali della popolazione aziendale”.

Il lavoro fatto”, conclude Maino, “è stato validato tramite un percorso che ha visto la partecipazione di esperti e professionisti. Abbiamo realizzato un Focus Group che ha coinvolto responsabili delle Risorse Umane, Welfare Manager e componenti del sindacato per conoscere il loro punto di vista su WIN, sulla sua metodologia e il suo funzionamento. Inoltre abbiamo condotto una sperimentazione con cinque imprese iscritte all’Unione Industriale di Torino, coinvolgendo circa 500 dipendenti. Queste attività ci hanno permesso di perfezionare l’impianto e i dettagli dello strumento”.

Perché investire nella rilevazione dei bisogni

Il percorso di WIN è quindi funzionale alla realizzazione di un piano di welfare efficace e attento alle persone. E, come detto in apertura, questo oggi è strategico per le imprese che vogliono incentivare nuovi modelli organizzativi in grado di migliorare il benessere in azienda e, di conseguenza, incrementare l’attrattività e l’engagement.

Anche grazie al supporto di Walà e Secondo Welfare, è possibile procedere con la realizzazione di un piano di welfare aziendale o con la revisione delle misure già in essere, allo scopo di renderle coerenti con le necessità evidenziate dalle persone. Solo in questo modo l’investimento di un’organizzazione in materia di welfare aziendale potrà essere ottimizzato e dare i suoi frutti in termini di clima aziendale e fidelizzazione dei collaboratori”, ci dice ancora Tombari.

E questo oggi è cruciale perché molte organizzazioni hanno un problema con le dimissioni volontarie dei propri dipendenti. Sempre di più si parla di grandi dimissioni e di quiet quitting. Tra le ragioni della diffusione di questi fenomeni c’è una generale insoddisfazione delle persone verso la loro azienda, dovuta anche alla mancanza di possibilità di incentivare la conciliazione vita-lavoro. Per questo adottare soluzioni di welfare aziendale è sempre più rilevante”.

Martina Tombari, founder e CEO della società benefit Walà.

C’è poi la sempre maggiore attenzione alla questione della sostenibilità, anch’essa dirimente per le imprese. “Spesso le organizzazioni pensano che basti parlare di sostenibilità economica e ambientale per essere ESG compliant”, conclude. “Eppure la crisi pandemica, le conseguenze della guerra e, più in generale, la crisi climatica stanno portando a riflettere tutta la società sul ruolo della sostenibilità sociale. E a questo si devono aggiungere anche tutti i problemi sul fronte delle politiche sociali, a livello nazionale ed europeo, come la denatalità, i cambiamenti socio-demografici e la riduzione delle risorse disponibili per il welfare. Anche le aziende devono riflettere su queste sfide e valorizzare il loro apporto in ambito sociale: quindi su tutto ciò che riguarda quella lettera S che è parte integrante dell’acronimo ESG, Environmental, Social e Governance”.

Prestare attenzione alle necessità delle proprie persone è dunque un’esigenza per un’organizzazione che vuole definirsi sostenibile. WIN può essere lo strumento giusto per supportarle in questo percorso, che richiede competenze specifiche e professionalità esperte nel campo del welfare.

 

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Note

  1. L’indagine Welfare Index PMI, promossa da Generali, utilizza tre tipologie di indicatori (di attività, di capacità gestionale e di impatto sociale) sulla base dei quali viene definito il livello di sviluppo del piano di welfare di una azienda. Per saperne di più si rimanda al sito Welfare Index PMI.
Foto di copertina: expressdigital, Pixabay