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L’evoluzione storica del mondo del volontariato nel Regno Unito: la propensione al cambiamento in prospettiva Big Society

Da maggio 2010 il Regno Unito è guidato da un governo di coalizione sostenuto dal Partito Conservatore del premier David Cameron e dal Partito Liberaldemocratico del Deputy Prime Minister Nick Clegg. Uno dei punti fondamentali contenuti nel manifesto elettorale dei tories, poi inserito nel programma di governo della Coalition, è rappresentato dal progetto di Big Society, un amplissimo programma di riforme sociali che mira a spostare numerose competenze dal Governo centrale verso gli enti locali e i singoli cittadini. La proposta, data la sua prospettiva sussidiaria sia in senso verticale che orizzontale, tiene in grande considerazione il mondo dell’associazionismo e del volontariato che, nell’idea di tories e libdems, potrebbe rappresentare una valida alternativa allo Stato nella fornitura di servizi in importanti settori come educazione, trasporti pubblici, servizi sociali e sanità.

Un interessante volume intitolato “The Ages of Voluntarism. How we got to the Big Society”, pubblicato a fine 2011 dall’Oxford University Press per conto della British Academy, mira a comprendere come il mondo del volontariato britannico sia cambiato negli ultimi cento anni e, in ultima analisi, cerca di fornire gli strumenti per capire se questa evoluzione abbia raggiunto un grado tale da permettere l’implementazione positiva della cosiddetta Big Society. Il libro, curato da Matthew Hilton e da James McKay dell’Università di Birmingham, raccoglie saggi di accademici ed esperti del terzo settore britannico che hanno analizzato il mondo del volontariato partendo dal presupposto che questo, a seconda delle condizioni storiche in cui si trovi ad agire, possieda una forte propensione al cambiamento che gli ha sempre permesso di adattarsi, crescere ed evolversi, dimostrando di poter rispondere coerentemente alle aspettative provenienti dalla società civile.

Prima di analizzare le modalità con cui si è svolta la ricerca, nonché la struttura del volume, occorre capire meglio cosa si intenda con la parola “volontariato” nel contesto britannico. Questo termine, così come il mondo che tramite esso si vorrebbe rappresentare, possiede confini molto sfocati e moltissime sono le sue declinazioni a seconda del periodo storico e del contesto in cui è stato studiato e sottoposto a valutazione. Si può definire il volontariato come l’azione svolta senza fini di lucro, il comportamento assunto per fini caritatevoli nonostante possa essere connotato dall’ottenimento di profitti economici o un gesto non-istituzionalizzato comunque in grado di generare lo sviluppo della collettività. Gli autori, vista la vastità dell’argomento trattato, i continui mutamenti a cui questo è stato sottoposto nel corso dell’ultimo secolo, nonché le molteplici denominazioni, e contestuali definizioni, presenti nella letteratura accademica – come terzo settore, civil society, voluntary and community sector – hanno scelto di utilizzare un’indicazione molto ampia, in cui possano essere collocabili tutte le azioni riconducibili al fenomeno dell’associazionismo: dai partiti politici alle squadre sportive, dai sindacati alle charities, ogni aggregazione spontanea, libera ed indipendente dallo Stato è da considerarsi come “volontaria”. Hilton e McKay hanno tuttavia scelto di restringere il campo della loro ricerca fornendo due indicazioni di metodo. In primo luogo hanno scelto di non indagare quelle forme di associazionismo che sono state già oggetto, come nel caso di sindacati e partiti politici, di numerose ricerche: si è optato dunque per lo studio di realtà meno note a discapito di altre maggiormente conosciute. In secondo luogo, non vi è stato interesse a intraprendere uno studio né di tipo concettuale, basato su teorie sistemiche e generali relative al mondo del volontariato, né di tipo onnicomprensivo, volto cioè all’analisi minuziosa di tutte le realtà associazionistiche conosciute.

The Ages of Voluntarism si propone di analizzare, seguendo un approccio cronologico, alcuni casi e momenti storici ritenuti rappresentativi delle capacità di adattamento e cambiamento proprie del mondo del volontariato. Nonostante negli ultimi cento anni questo particolare ambito si sia trovato più volte di fronte a congiunture storiche apparentemente nefaste e dannose per la sua esistenza, queste non lo hanno compromesso ma lo hanno invece visto adattarsi alle rinnovate condizioni, modificarsi, crescere e rafforzarsi. E’ proprio il tema del cambiamento, studiato in particolare attraverso l’analisi delle relazioni intercorrenti tra Stato e Società civile, che costituisce il fil rouge del volume e che ne determina pertanto l’originalità rispetto ad altre pubblicazioni. Il testo si articola in otto capitoli – il primo dei quali risulta essere un’introduzione i cui contenuti sono già stati parzialmente illustrati sopra – che saranno brevemente analizzati di seguito.

Peter Grant, esperto del terzo settore e autore del secondo capitolo, ha analizzato l’impatto che la prima guerra mondiale ha avuto sul mondo del volontariato britannico. Tale periodo storico è stato spesso descritto come il momento in cui lo Stato per garantire le attività belliche ha assunto un ruolo molto interventista, comprimendo quindi lo spazio d’azione precedentemente occupato dal mondo del volontariato. Grant ha negato questa tesi, giudicata riduttiva e semplicistica, affermando invece come proprio in questo contesto l’azione volontaria abbia giocato un ruolo molto importante per le sorti del Paese. La prima guerra mondiale secondo Grant è stata connotata da un rinnovato impegno del volontariato – tesi dimostrata attraverso la descrizione di alcuni provvedimenti assunti in tempo di guerra, come il National Relief Fund e il War Charities Act 1916 – e ha segnato l’importante passaggio da un’azione volontaria prettamente filantropica e paternalistica a una forma maggiormente professionalizzata e inclusiva.

Nel terzo capitolo, curato da Helen McCarthy, docente di Storia Moderna Britannica alla Queen Mary University di Londra, è stato analizzato il periodo tra le due guerre mondiali nel tentativo di comprendere come i cambiamenti emersi tra il 1914 e il 1918 si siano via via strutturati e abbiano determinando una progressiva democratizzazione dell’associazionismo inglese. Con l’affermarsi del suffragio universale, e la nascita dei grandi partiti di massa, il mondo del volontariato ha svolto sempre di più un ruolo di "educatore civico", in grado di coinvolgere nuovi strati della popolazione in attività di pubblico interesse. Secondo McCarthy in quegli anni il mondo del volontariato è divenuto meno classista, come dimostra anche la nascita di migliaia di associazioni e club riconducibili sia alla classe media che alla classe operaia – e non soltanto all’alta borghesia o alla nobiltà inglese come a fine ‘800-, ed è ha contribuito attivamente alla formazione democratica della popolazione britannica.

Nel quarto capitolo Nicholas Deakin e Justin D. Smith attraverso il saggio “Labour, charity and voluntary action” hanno analizzato il cosiddetto “mito dell’ostilità” dei laburisti nei confronti del mondo del volontariato. Il capitolo si è occupato delle differenti posizioni presenti all’interno del partito laburista sia a livello nazionale sia a livello locale nel periodo compreso tra la seconda guerra mondiale e la nascita dei New Labour (1994), cercando di sfatare un luogo comune che vuole tale formazione politica, normalmente considerata statalista e centralizzatrice, tendenzialmente ostile al mondo del volontariato. Attraverso l’analisi di diversi episodi che hanno coinvolto i labours (sia nelle legislature passate al governo che in quelle all’opposizione) gli autori hanno cercato di dimostrare l’infondatezza di questo "mito" sottolineando come, nonostante ci siano stati alcuni esponenti laburisti apertamente ostili al mondo del volontariato, quasi tutti collocabili prima degli anni ’90, parimenti ve ne sono stati moltissimi altri positivamente predisposti al suo operato. Secondo Deakin e Smith il perdurare del pregiudizio fino ad oggi è in gran parte attribuibile alla volontà di Blair e dei nuovi leaders del partito di dare un forte segnale di rottura rispetto al passato. Addossando le responsabilità negative al cosiddetto Old Labour e mostrandosi disponibile e aperto al mondo del volontariato, il New Labour sperava così di presentare un volto nuovo ai britannici anche da questo punto di vista.

Il quinto capitolo affronta un tema molto particolare che secondo l’autore, Peter Shapely dell’Università di Bangor (Galles), mostra efficacemente la capacità di cambiamento propria del settore del volontariato nel corso degli anni ’60 e ’70. Il saggio si occupa dei cosiddetti tenant groups (letteralmente “gruppi di affittuari”), ovvero quelle associazioni di cittadini uniti nella richiesta di maggiori diritti sulla casa per le classi meno abbienti. A partire dalle occupazioni abusive degli anni ‘60 l’esperienza dei vari gruppi sparsi per tutto il Paese è stata progressivamente messa a frutto, negli anni ’70, con la creazione di associazioni nazionali rivelatesi in grado non solo di mettere in rete i vari movimenti locali, ma anche di rendere i tenants potenziali interlocutori a cui il governo, in tema di politiche di housing, avrebbe potuto far riferimento. Il movimento dei tenants può essere considerato un ottimo esempio di come le associazioni di volontariato tra gli anni ’60 e ’70 abbiano progressivamente preso consapevolezza della propria forza e conseguentemente assunto una posizione privilegiata nel rapportarsi con l’apparato governativo sia centrale che locale.

Il capitolo sesto, curato da Virgina Berridge e Alex Mold, docenti presso la London School of Hygiene and Tropical Medicine, si è occupato del medesimo periodo analizzato da Shapely ma ha cercato di indagare, più che le modificazioni a livello relazionale tra organizzazioni del settore e governo, alcuni mutamenti intervenuti a livello organizzativo e comunicativo all’interno delle associazioni volontarie nazionali. Analizzando la storia di un’organizzazione, la Action and Smoking Health, e di un programma sostenuto dal governo, il Community Drug Project, Berridge e Mold hanno dimostrato come nel settore sanitario per primo le associazioni abbiano iniziato a giocare un nuovo ruolo grazie alla propria evoluzione dal punto di vista mediatico. Attraverso la professionalizzazione del proprio personale e il coinvolgimento di soggetti indipendenti per la stesura di rapporti sull’uso di sostanze stupefacenti, le organizzazioni operanti nel settore socio-sanitario hanno acquisito autorevolezza sia di fronte all’opinione pubblica che nei confronti degli apparati governativi. Ne è dimostrazione l’impatto positivo che le campagne informative e di prevenzione hanno avuto nel corso degli anni, nonché la scelta del governo di appoggiarsi a queste associazioni indipendenti per promuovere studi e progetti in maniera più forte e credibile di quanto esso fosse in grado di fare.

Eliza Filby, che ha recentemente completato il proprio dottorato di ricerca presso l’Università di Warwick, nel settimo capitolo ha analizzato l’influenza che le realtà religiose, in particolare la Chiesa anglicana di Inghilterra, hanno avuto sul mondo del volontariato tra gli anni ’70 e ’90. In questo periodo, nonostante la crescente secolarizzazione che ha caratterizzato il Regno Unito sin dalla fine della seconda guerra mondiale, le Chiese hanno continuato a ricoprire un ruolo sociale molto importante, in quanto considerate luogo privilegiato per lo svolgimento di azioni di volontariato. Nel corso degli anni ’70 le realtà religiose sono state notevolmente valorizzate dal governo per le loro attività benefiche, e hanno ottenuto cospicui finanziamenti da parte dello Stato per promuovere, in ambiti in cui il settore pubblico trovava difficoltà ad implementarle, specifiche politiche sociali. Filby ha indagato i cambiamenti inerenti le attività associative di matrice religiosa analizzando in particolare la presunta politicizzazione assunta da questo segmento del mondo del volontariato. L’analisi ha dimostrato il crescente interesse delle forze partitiche (in particolare dei conservatori) per queste realtà, oltre che la difficile posizione in cui si sono trovare le Chiese, in bilico tra la volontà di mantenere la propria indipendenza da giochi politici e la necessità di continuare ad ottenere i fondi provenienti dall’apparato governativo.

Pete Alcock, direttore del Third Sector Research Centre di Birmingham, ha curato l’ottavo capitolo in cui ha descritto l’evoluzione del settore del volontariato negli ultimi 15 anni, concentrandosi in particolare sul ruolo svolto dal New Labour dopo essere giunto al governo nel 1997. Alcock ha analizzato l’impatto delle politiche di cooperazione varate da Tony Blair, come detto molto propenso a stabilire solidi rapporti con il terzo settore, e il conseguente atteggiamento assunto dal mondo del volontariato in un clima inedito caratterizzato da una fortissima volontà di collaborazione reciproca, esemplificata in particolare dal progetto governativo denominato The Compact. Le politiche varate dall’esecutivo britannico in questo periodo hanno spinto il settore del volontariato a reinterpretare il proprio ruolo in modo più dinamico, collaborando in maniera più attiva col governo per assumere decisioni relative alle policies di settore, e soprattutto impegnarsi per una loro più diretta implementazione.

The Ages of Voluntarism
fornisce dunque uno sguardo d’insieme innovativo che, in maniera semplice e diretta, mostra l’evoluzione seguita dal mondo del volontariato nel corso dell’ultimo secolo sottolineando come i cambiamenti intervenuti in questi cento anni siano stati, piuttosto che fattori destabilizzanti e di crisi, occasione di rinnovo e rafforzamento del settore. Pur non trattando direttamente del progetto Big Society, il testo di Hilton e McKay sembra indicarlo come una potenziale nuova era del volontariato in cui le associazioni potrebbero giocare un ruolo sempre maggiore nell’affiancare, e in alcuni casi sostituire, lo Stato e i suoi apparati locali. Il percorso segnalato nel libro pare quindi indicare l’esistenza di un mondo associativo sufficientemente maturo per affrontare questa nuova ed interessante sfida.

 

Riferimenti

P. ALCOCK, Devolution or divergence? Third sector policy across the UK since 2000, Birmingham, Third Sector Research Centre, 2009.

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P. ALCOCK, J. KENDALL, Constituting the third sector: processes of decontestation and contention under the UK Labour governments in England, Birmingham, Third Sector Research Centre, 2010.

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CONSERVATIVE PARTY, Invitation to join the government of Britain, the conservative manifesto 2010, Londra, Pureprint Group, 2010.

L.M. SALAMON, H.K. ANHEIER, In search of the non profit sector I: the question of definitions, Baltimora, The Johns Hopkins University Insitute for Policy Studies, 1992.

M. ZIMMECK, C. ROCHESTER, B. RUSHBROOKE, Use it or lose it, a summative evaluation of the Compact, Londra, Commission for the Compact, 2010.
 

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