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L’11 dicembre scorso la Scuola di Roma fund-raising.it ha presentato alla Camera dei Deputati il Manifesto per un nuovo fundraising, allo scopo di condividere con tutti coloro che hanno a cuore il tema della sostenibilità economica del nuovo welfare alcuni principi necessari a garantirne un adeguato sviluppo. Il Manifesto è a disposizione di tutti e può essere scaricato liberamente a questo link.

Fino ad oggi il fundraising è stato visto più che altro come un cugino del marketing che a differenza del suo più famoso parente, vive e lavora in un settore – quello non profit – dalle dimensioni economiche più limitate e dotato di vincoli alle attività più prettamente commerciali, dove cerca, a volte con difficoltà e ristrettezze, di applicare i suoi principi e i suoi meccanismi. Proseguendo nella metafora, possiamo dire che la famiglia allargata del marketing e quindi anche quella del fundraising ha subito profondi cambiamenti e forse scissioni importanti che pongono al fundraising la necessità di assumere almeno in parte il ruolo di capofamiglia. D’altro canto quest’ultimo ha ampiamente raggiunto la maggiore età e assume tratti identitari autonomi.

Fuor di metafora, il fundraising, per diverse ragioni, oggi è oggetto di una attenzione ed un interesse molto maggiore anche solo rispetto ad un paio di anni fa. Soprattutto da parte di quei soggetti che direttamente o indirettamente sono legati alla prospettive (e alla pratica) della costruzione di un nuovo welfare in grado di rispondere almeno in parte ai limiti mostrati dal modello tradizionale di welfare state. Il fatto è che una delle caratteristiche della crisi del vecchio modello è fortemente connessa con la sostenibilità economica delle politiche e dei servizi che il nostro sistema si è proposto di rendere disponibili a tutta la comunità, sapendo che la finanza pubblica, per quanto gestita al meglio, non sarà più sufficiente. Pertanto nuovi modelli di welfare devono senza dubbio fornire in qualche modo risposte anche sul piano della sostenibilità economica. Abbiamo bisogno di un nuovo welfare, basato anche su nuove modalità e forme di finanziamento.

In questa dinamica di passaggio da vecchi a nuovi modelli tutti gli stakeholders del processo guardano al fundraising come ad un settore che dovrà fornire convincenti risposte, anche se non sempre e non tutti lo fanno con la dovuta consapevolezza. E’ sotto gli occhi di tutti il fatto che negli ultimi anni i rappresentanti delle istituzioni pubbliche così come di altri soggetti privati coinvolti, quando si nominano la cultura, l’arte, l’educazione e la formazione, la salute pubblica, la tutela dell’ambiente e del territorio, l’assistenza ai soggetti deboli, ecc.. si appellano alla necessità della società e dei privati di contribuire volontariamente con risorse aggiuntive. E’ questa la grande sfida del fundraising e contemporaneamente del welfare: dare vita e promuovere nuove forme di partecipazione economica alla realizzazione di servizi (in senso lato) in grado di rispondere al meglio ai bisogni sociali. E’ per il fundraising una sfida enorme che non può essere affrontata se non vi è da parte dei soggetti coinvlti (sia in quanto richiedenti risorse sia in quanto donatori) l’intenzione di dare vita a vere e proprie policies per lo sviluppo della raccolta di fondi.

Infatti se da un lato tutti guardano al fundraising con grande aspettativa, nessuno investe tempo, risorse, intelligenza e progettualità per creare le condizioni migliori ad un suo sviluppo. Intendo fare riferimento non solo alle politiche fiscali (largamente carenti nel nostro paese per quantità e qualità) ma anche alle politiche culturali, economiche, politiche e sociali. Si istituisce l’Art bonus, ad esempio, ma non si dà vita in modo strutturato nei Comuni e nelle altre istituzioni pubbliche a programmi di promozione e gestione di tale strumento che allo stato attuale, infatti, è ancora ben lungi da offrire risultati significativi. Lo stesso vale per il cosiddetto School bonus, sapendo che tutte le scuole già fanno fundraising, ma in modo dilettantistico, episodico e senza figure dedicate che abbiano competenze in merito. Così come si chiede agli italiani di essere pià generosi senza però fare nulla sul piano della diffusione di una moderna e consapevole cultura della donazione e della cittadinanza attiva per la gestione dei beni comuni.

E’ proprio a partire da queste considerazioni che la Scuola di Roma Fund-raising.it, anche prendendo spunto dal processo di riforma del Terzo settore, ha dato vita a partire dal 2013 ad un itinerario di confronto e consultazione con i principali stekholders della raccolta fondi teso a definire quali dovrebbero essere le linee portanti di una politica sul fundraising e i provvedimenti, anche di natura tecnica, più urgenti per adeguare il contesto alle esigenze di crescita del fundrasing stesso. Tale itinerario è culminato nella presentazione di un Manifesto per il nuovo fundriasing durante un evento pubblico tenuto alla Camera dei Deputati e realizzato insieme all’Istituto Italiano della Donazione al quale hanno preso parte rappresentanti dei soggetti più coinvolti nelle vicende del fundraising quali: Stefano Zamagni, Docente di Economia Politica – Università di Bologna; Giorgio Righetti, Direttore Generale di ACRI, On. Luigi Bobba, Sottosegretario di Stato al Lavoro e alle Politiche Sociali, on. Edoardo Patriarca, presidente dell’Istituto Italiano della Donazione e del Centro Nazionale del Volontariato, Pietro Barbieri, Portavoce Nazionale – Forum del Terzo Settore, Vincenzo Santoro, Responsabile Dipartimento Cultura e Turismo – ANCI, Luciano Zanin, presidente dell’Ass.ne Fundraiser e molti altri.

Nove i principi contenuti nel documento che suggeriscono raccomandazioni di policies rivolte alle istituzioni, al non profit, ai donatori:

1) liberare il fundraising dagli ostacoli di natura giuridica, fiscale, amministrativa e burocratica;
2) stabilire criteri di valutazione sull’efficacia ed efficienza del fundraising;
3) investire sul fundraising affinché abbia un ruolo strategico per il Paese;
4) Tutelare concretamente i diritti del donatore;
5) garantire una comunicazione e informazione corretta, accessibile e pluralista;
6) promuovere e diffondere una nuova cultura della donazione (parole chiave: educare, abituare, condividere, attivare);
7) potenziare la ricerca sul fundraising per permettere agli operatori e ai donatori l’accesso a dati e conoscenze su donazioni e mercati della raccolta fondi;
8) stabilire un adeguato sistema di controllo della qualità e del rispetto delle regole per garantire una competizione leale e trasparente;
9) valorizzare la dimensione locale e il radicamento territoriale del non profit e dei beni comuni.

Il documento contiene anche circa una centinaio di indicazioni di dettaglio su provvedimenti che nel tempo breve possono essere presi senza costi per la pubblica amministrazione e che possono migliorare da subito la performance del fundraising. Tra questi ritengo di grande importanza e urgenza cose molto semplici quali ad esempio accorciare i tempi di erogazione dei proventi raccolti con il 5 per 1000, permettere alle organizzazioni di conoscere i nomi dei donatori del 5 per 1000 e degli SMS solidali, permettere alle organizzazioni non profit di svolgere attività commerciali qualora siano finalizzate esclusivamente a finanziare progetti sociali senza finalità di lucro. Tutta cose per le quali sarebbe lecito domandarsi come mai fino ad oggi non siano state ancora fatte!

Certo il Manifesto di per sé non risolve i problemi ma credo che abbia per la prima volta affermato che il fundraising non è un fatto accessorio e secondario rispetto al grande problema della finanza e dell’economia pubblica ma uno strumento, il principale, che permette al principio costituzionale di sussidiarietà di avere una sua portata concreta ed efficace. Se ci appelliamo a tale principio come base per ricreare la governance sociale dei beni comuni e la efficacia del sistema di welfare non possiamo però continuare a ostacolare in ogni modo lo sviluppo del fundraising. Tanto più che oggi si chiede esplicitamente di ricorrere a tale strumento anche per quanto riguarda le scuole, le istituzioni culturali, i servizi socio-assistenziali e i servizi degli enti locali.

Sta a tutti gli interlocutori che hanno apprezzato il lavoro svolto con il Manifesto di favorire il passaggio dal riconoscimento dei principi generali alla loro implementazione. La Scuola di Roma non starà certo con le mani in mano. A partire dai prossimi mesi darà vita ad un “Manifesto Tour” in cui al livello locale e su temi specifici definire dei patti di azione comune con gli interlocutori pubblici, privati e filantropici per dare vita ad una nuova stagione del fundraising anche tenendo conto delle tante innovazioni che i soggetti sociali e comunitari in tal senso stanno già sperimentando.