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All’interno del numero 3/2018 di Solidea, pubblicazione curata dall’omonima Società di Mutuo Soccorso, Andrea Bernardoni (Legacoopsociali Nazionale) approfondisce il tema delle cooperative di comunità, realtà fondate e formate da cittadini che si auto-organizzano per cercare risposte innovative a problemi economici e sociali di una comunità. Secondo Bernardoni, questi soggetti possono fornire un sostegno concreto per affrontare le problematiche legate alla crescente frammentazione sociale.

La crisi economica e le trasformazioni tecnologiche che hanno caratterizzato gli anni Duemila stanno facendo emergere, in modo sempre più chiaro ed evidente, la necessità di cambiare paradigma: economico, sociale ed ambientale. Nel processo di costruzione di un nuovo paradigma di sviluppo, le cooperative e le imprese sociali possono avere un ruolo significativo.

Storicamente le cooperative, sin dalla loro nascita, sono state uno strumento a disposizione delle fasce deboli della popolazione (operai, braccianti agricoli, ecc.) per migliorare le proprie condizioni di vita e trasformare il sistema economico e sociale, aumentando il livello di giustizia sociale ed equità. Le prime cooperative sorsero nella metà del diciannovesimo secolo in risposta alle terribili condizioni imposte al proletariato operaio dalla rivoluzione industriale e dalle migrazioni che dalla campagna portarono in città milioni di persone in tempi molto rapidi. In quegli anni, in seguito alla rivoluzione industriale, cambiarono gran parte degli ambiti della vita umana: il lavoro, il cibo, la casa e l’educazione sono solo alcuni esempi. A fronte di queste trasformazioni, si svilupparono in Europa numerose esperienze mutualistiche.

Lo scenario attuale

Oggi il futuro della cooperazione non può prescindere dal contesto economico e sociale che si è andato a definire in Italia negli anni della grande recessione. La sfida della cooperazione degli anni Duemila è quella di reinterpretare il proprio ruolo nella società riuscendo a dare risposte innovative alle rapide trasformazioni che stanno interessando il Paese, puntando sul coinvolgimento e sulla partecipazione dei cittadini.

Come è accaduto al tempo della rivoluzione industriale, la rivoluzione tecnologica sta rapidamente cambiando il modo di lavorare, di viaggiare, di acquistare beni, di abitare, di studiare, di giocare, di curarsi, di finanziarsi, in altre parole sta radicalmente trasformando la vita di milioni di persone. Allo stesso tempo, la concentrazione della ricchezza nelle mani di una minoranza di persone unita alla crescita molto rapida delle persone che vivono in condizioni di povertà sta rendendo sempre più evidenti i limiti sociali dell’attuale modello di sviluppo. Insieme ai limiti sociali sono evidenti anche i limiti ambientali dell’attuale sistema economico fondato sulla crescita “insensata” (cioè priva di un fine) della produzione di beni e servizi.

Una “nuova” idea di crescita

La costruzione di una “nuova” idea di crescita permette di superare il dualismo tra crescita e decrescita. Per costruire questa nuova via, richiamando il pensiero di Edgar Morin (La via. Per l’avvenire dell’umanità, 2012), è necessario far venire alla luce le alternative, dobbiamo allo stesso tempo mondializzare e demondializzare, crescere e decrescere.

Per il filosofo francese l’orientamento alla mondializzazione/demondializzazione significa che si devono moltiplicare le connessioni, i processi di comunicazione e la costruzione di una cultura su scala globale, promuovendo allo stesso tempo lo sviluppo del locale nel globale, valorizzando l’alimentazione, gli artigiani e i commercianti di prossimità, l’agricoltura del territorio, le comunità locali e regionali.

Tenere insieme crescita e decrescita significa far crescere i servizi e le energie pulite, i trasporti pubblici, l’economia plurale, compresa l’economia sociale, l’agricoltura biologica e l’allevamento su piccola scala e far decrescere le produzioni alimentari industrializzate, la diffusione dei prodotti usa e getta non riparabili, il traffico automobilistico privato e, in modo più generale, tutte quelle attività che producono importanti danni ambientali e sociali. È sempre più urgente costruire, in modo aperto e partecipato, un’idea di crescita che ponga al centro “l’uomo”. Una nuova crescita in cui le attività umane tornino a essere “sensate”, cioè portatrici di senso, in cui la produzione di valore economico sia collegata in modo indissolubile alla produzione di valore sociale ed ambientale.

Le imprese di comunità

Negli ultimi dieci anni, si sono moltiplicate le esperienze delle imprese di comunità – nella maggior parte dei casi in forma cooperativa – cioè di imprese fondate (e formate) da cittadini che si sono organizzati per trovare risposte imprenditoriali ed innovative a problemi economici e sociali di una comunità, riuscendo in questo modo ad affrontare le problematiche di sviluppo locale e quelle legate alla crescente frammentazione sociale che caratterizza il Paese negli anni post-crisi.

Nelle imprese di comunità la partecipazione dei cittadini prende forma imprenditoriale, i cittadini organizzandosi “possono”. L’impresa di comunità si sostanzia in un’impresa che ha per oggetto la produzione di beni e servizi di interesse comunitario in cui i cittadini, cioè i membri della comunità, partecipano direttamente alla gestione e al finanziamento degli investimenti realizzati.

L’esperienza italiana ci dice che, per ora, i principali settori di intervento delle imprese di comunità sono:

  • i servizi pubblici locali, come nel caso delle cooperative elettriche che in alcune valli alpine producono e distribuiscono energia elettrica green come nel caso della cooperativa elettrica di Parto allo Stelvio, in Val Venosta;
  • la rivitalizzazione delle aree interne del paese, come nel caso delle cooperative di comunità diffuse nella dorsale appenninica del paese, si veda ad esempio la cooperativa La Valle dei Cavalieri di Succiso;
  • il recupero di beni e/o quartieri situati in aree urbane, come nel caso della cooperativa Anonima Impresa Sociale, impegnata nel recupero di un cinema abbandonato nel centro storico della città di Perugia.

Ripartire dalla Costituzione

Per praticare una nuova idea di crescita e sostenere i processi di partecipazione dei cittadini, la Costituzione rappresenta un importante strumento a disposizione delle comunità e dei cittadini che intendono auto-organizzarsi e realizzare percorsi di imprenditorialità comunitaria. In questa prospettiva crediamo che, per favorire lo sviluppo delle imprese di comunità, sia necessario un adeguato riconoscimento da parte del legislatore delle specificità e del valore sociale di questa forma di impresa, partendo dal contenuto degli articoli 43 e 118 della Costituzione.

L’articolo 43 stabilisce che «a fini di utilità generale, la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale». Lo spirito dell’articolo 43 è garantire a tutti i cittadini l’accesso a tutti quei servizi pubblici essenziali, nella produzione e distribuzione di energia elettrica o, in alternativa, operanti in una situazione di monopolio, dove esso potrebbe essere limitato dalle scelte delle imprese private orientate alla massimizzazione del profitto.

A tal fine si prevede la possibilità di procedere alla nazionalizzazione o alla collettivizzazione delle imprese private che, in ragione dello scopo lucrativo da esse perseguito, potrebbero escludere fasce della popolazione dall’accesso al servizio. L’articolo riconosce la superiorità degli attori pubblici e delle comunità di lavoratori o utenti rispetto alle imprese private nel garantire l’interesse generale e, nello stesso tempo, mette sullo stesso piano lo Stato, gli enti pubblici e le comunità di lavoratori o di utenti e riconosce che l’interesse generale può essere assicurato sia dai primi che dalle seconde.

In questa prospettiva le imprese di comunità possono essere considerate la forma organizzata delle comunità di lavoratori o utenti che svolgono un’attività imprenditoriale. Per questo dovrebbero ricevere una particolare tutela dal legislatore che, pur senza utilizzare gli strumenti previsti dall’articolo 43 e nel rispetto della proprietà privata, potrebbe comunque incentivare l’affidamento della gestione beni pubblici o di servizi pubblici a questa forma di impresa o, almeno, rimuovere gli ostacoli normativi che attualmente la ostacolano.

L’articolo 118 della Costituzione

Il tema della partecipazione civica e della cittadinanza attiva ritorna nell’articolo 118 della Costituzione, là dove si afferma che «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».

L’articolo 118 opera un vero e proprio cambio di paradigma nei rapporti tra attori pubblici e cittadini in quanto impegna le istituzioni a promuovere e incentivare l’autonoma iniziativa dei cittadini. L’applicazione di questo principio ha un elevato potenziale di modernizzazione delle amministrazioni pubbliche in quanto la partecipazione attiva dei cittadini alla vita collettiva può concorrere a migliorare la capacità delle istituzioni di dare risposte più efficaci ai bisogni delle persone in un quadro caratterizzato da una sempre maggiore complessità.

È utile, infine, sottolineare che nell’articolo 118 si fa riferimento sia ai cittadini singoli sia a quelli associati, legittimando sia l’attività dei volontari e dei cittadini attivi, persone responsabili e solidali che si impegnano nell’interesse generale della comunità, sia delle organizzazioni che, associando i cittadini attivi, perseguono finalità di interesse generale. Le imprese di comunità appartengono a questo gruppo di organizzazioni e rappresentano uno degli strumenti a disposizione dei cittadini per realizzare in forma associata attività economiche finalizzate al perseguimento dell’interesse generale.

Guardando avanti…

Crisi economica, limiti ambientali e trasformazioni tecnologiche ci obbligano a cambiare modello di sviluppo mettendo al centro delle politiche una nuova idea di crescita. Negli ultimi dieci anni in diverse comunità locali i cittadini auto-organizzandosi hanno dato vita a imprese di comunità che hanno dimostrato di saper affrontare in modo originale i problemi dello sviluppo e della coesione sociale praticando forme di democrazia economica.

Tali esperienze, in molti casi ancora pionieristiche, rappresentano un’importante innovazione per il mondo della cooperazione e per gli attori pubblici e, senza ricorrere a leggi specifiche di settore, possono essere sostenute e praticate dando piena applicazione agli articoli 43 e 118 della Costituzione.