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Il Laboratorio Percorsi di secondo welfare nel 2018 ha condotto, per conto della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo (CRC), una ricerca volta a mappare le risposte pubbliche e private nel campo della disabilità intellettiva nella Provincia di Cuneo e a individuare e analizzare le opportunità presenti per le persone con disabilità e le loro famiglie. La ricerca condotta dal nostro Laboratorio – che si è concentrata in particolare sui temi del lavoro, dell’abitare, del progetto di vita e della qualità della vita delle persone con disabilità intellettiva – si proponeva più in generale di rafforzare la collaborazione tra i diversi attori locali. Per questo motivo è stato scelto lo strumento della ricerca-azione e sono stati coinvolti nel lavoro di mappatura tutti i protagonisti locali del primo e del secondo welfare: ASL, enti gestori dei servizi socio-assistenziali, cooperative sociali e associazioni di familiari.

Dopo aver approfondito la metodologia di ricerca adottata (vuoi saperne di più?) e i principali risultati della mappatura dei servizi (ve ne abbiamo parlato qui), in questo approfondimento ci concentriamo sugli elementi emersi dalle interviste che hanno coinvolto le persone con disabilità e i loro familiari. Tali interviste, che hanno interessato complessivamente 10 persone, non rappresentano in maniera esaustiva le esigenze degli utenti dei servizi; tuttavia avevano lo scopo di stimolare le riflessioni del tavolo di lavoro di Orizzonte VelA nell’ottica di ampliare – in futuro – il coinvolgimento delle persone con disabilità nel disegno degli interventi e dei servizi.

Accesso alla rete dei servizi e relazione di fiducia

Le interviste si sono concentrate innanzitutto sulla relazione tra le persone con disabilità e i servizi sociali e sanitari. Il confronto con gli intervistati ha permesso, in particolare, di ricostruire il percorso di accesso alla rete dei servizi. Esso avviene in momenti diversi della vita della persona con disabilità e con modalità differenti; tuttavia quasi sempre il primo contatto si verifica con attori pubblici della sanità: la disabilità, sia congenita sia sopraggiunta a seguito di un trauma, è infatti percepita innanzitutto come problema di tipo medico-sanitario.

Da quanto emerge nelle interviste i servizi sanitari pubblici non rappresentano un efficace mezzo di collegamento con il più ampio sistema dei servizi sociali pubblici e privati; l’incontro con tali servizi avviene tendenzialmente in un secondo momento e attraverso canali separati dal mondo della sanità. Nell’esperienza più comune il secondo contatto avviene con altre famiglie in condizioni simili e/o con associazioni di familiari o comunque legate a una particolare patologia o forma di disabilità intellettiva; nelle esperienze approfondite sono questi attori a fornire un fondamentale orientamento rispetto ai diritti e alle opportunità garantiti alle persone con disabilità.

L’accesso ai servizi sociali pubblici avviene quindi nel momento in cui le persone diventano consapevoli di un bisogno – come per esempio ottenere maggiori informazioni sulla pensione di invalidità, accedere ad attività educative e ricreative offerte dai servizi, ecc. – e solo quando comprendono che possono ottenere soddisfazione per tale bisogno presso i servizi. Questo meccanismo espone le persone con disabilità intellettiva al rischio di non ricevere le corrette indicazioni, non accedere precocemente ai servizi (perdendo magari importanti opportunità) o addirittura non essere mai conosciute dai servizi sociali locali.

Questo sistema di accesso rischia poi di caratterizzare tutta la relazione d’aiuto che si instaura tra il servizio, la persona e la famiglia. Gli intervistati sottolineano che la loro relazione con i servizi si interrompe nel momento in cui viene meno un bisogno specifico o contingente o, più frequentemente, quando le persone ritengono di non poter trovare una risposta valida a quel bisogno da parte dell’ente. Rimane ferma però la convinzione di poter tornare al servizio qualora emergano nuove esigenze o risposte: il rapporto di fiducia con gli operatori, che si rafforza con il passare degli anni, è descritto infatti come il vero punto di forza del sistema dei servizi pubblici.

I temi dell’indagine: servizi al lavoro e disabilità intellettiva

Sia le persone con disabilità intellettiva che i familiari intervistati riconoscono innanzitutto la funzione educativa degli inserimenti lavorativi e dei tirocini. Tutte le esperienze approfondite hanno registrato dei tentativi di inserimento lavorativo che hanno avuto esiti differenti: in alcuni casi il discorso del lavoro è stato momentaneamente accantonato – in accordo con i servizi – perché non rientrava in maniera coerente nel progetto di vita della persona o non era compatibile con alcune sue caratteristiche; in altri casi i percorsi di inserimento hanno poi portato a un’assunzione. Tutte le persone intervistate sono state accompagnate fin dall’inizio da servizi pubblici (enti gestori delle funzioni socio-assistenziali e/o Centri per l’impiego); questi attori hanno garantito un orientamento iniziale e un accompagnamento costante durante la realizzazione dei percorsi di tirocinio.

Le esperienze studiate, al di là del valore educativo del lavoro, si sono rivelate poco incisive dal punto di vista dell’effettivo inserimento lavorativo. Sebbene l’inserimento lavorativo non sia l’unico obiettivo ed esito previsto per questi percorsi, tuttavia è un’opportunità che – se coerente con le aspettative e le capacità della persona – deve essere perseguita. Da questo punto di vista si registra quasi uno scollamento tra la funzione educativa degli inserimenti lavorativi e socializzanti e il loro obiettivo di fondo (l’assunzione). Gli intervistati indicano due motivazioni principali: da un lato i servizi non riescono a essere sufficientemente incisivi, pur essendo una presenza locale significativa, lasciando di fatto alle famiglie il compito di muoversi sul territorio per cercare opportunità. Secondo altri invece la difficoltà principale sarebbe da individuare nello scarso senso di responsabilità sociale delle imprese.

I temi dell’indagine: varie forme dell’abitare

Anche il lato della domanda di servizi (come quello dell’offerta, che abbiamo scritto qui) ha evidenziato una grande variabilità nei progetti e percorsi volti all’abitare. Il primo ed essenziale elemento comune a tutti i progetti, di conseguenza, è la necessità di una personalizzazione dell’intervento basata sul rispetto dell’autodeterminazione della persona e sull’ascolto attento di bisogni, paure e aspettative di persone e famiglie. Un altro elemento comune è il coinvolgimento in attività in qualche modo preparatorie rispetto a un percorso di vita autonomo (bucato, preparazione dei pasti, gestione della casa, ecc.). Queste attività sono presenti in vario modo nei percorsi delle persone intervistate, o come vera e propria azione propedeutica all’abitare o come semplice “allenamento” per essere più d’aiuto in casa.

Nessuna delle persone con disabilità intellettiva intervistate vive in un appartamento proprio. Nella maggior parte dei casi approfonditi si sono però registrate proposte di vita al di fuori del contesto familiare provenienti da attori pubblici, dal privato sociale o da partenariati pubblico-privati. Si tratta, nello specifico, di proposte di carattere temporaneo che hanno lo scopo di offrire un’opportunità di vita indipendente alla persona, sollevare temporaneamente la famiglia dal carico di cura e mettere le basi per progetti più o meno prossimi di vita autonoma o di inserimento in struttura residenziale. L’elemento fondamentale per l’apprezzamento di questi progetti si è rivelato essere la fiducia nei confronti del servizio e, soprattutto, la familiarità con i luoghi e le modalità di implementazione delle proposte. Hanno raggiunto un maggior successo le iniziative realizzate in luoghi vicini al contesto di vita della persona e con l’accompagnamento di operatori già conosciuti.

Da sottolineare, infine, che le persone intervistate condividono la necessità di realizzare più iniziative di questo tipo.

I temi dell’indagine: progetto di vita e qualità della vita

Gli intervistati descrivono il cammino di vita delle persone con disabilità intellettiva come mosso da tanti piccoli obiettivi raramente elaborati in forma di progetto vero e proprio. Il percorso di accompagnamento è guidato non solo da questi obiettivi – piccoli o grandi – ma dall’insorgere di nuovi bisogni e stimoli e dall’emergere di nuove opportunità, come per esempio nuovi progetti finanziati sul territorio. Le famiglie e persone intervistate apprezzano questo approccio, in quanto particolarmente orientato alla personalizzazione dell’intervento e alla flessibilità nei modi e nei tempi. Tuttavia questa prospettiva, sempre secondo le persone coinvolte nell’indagine, offre poche garanzie rispetto al futuro.

Questa criticità appare ancor più evidente quando si parla del tema del “Dopo di noi”, indicato in tutte le interviste come principale preoccupazione delle famiglie. La preoccupazione delle famiglie non è relativa a singole attività o prestazioni, ma piuttosto al «compito di coordinare e di programmare a breve e lungo termine» il supporto intorno al proprio congiunto in condizioni di disabilità. Pur riconoscendo la loro resistenza nel delegare parti dell’organizzazione familiare ai servizi sociali territoriali, le famiglie riconoscono questi attori come garanti ultimi della prosecuzione del progetto di vita della persona con disabilità in vista del “Dopo di noi” e, per questo, comunicano la necessità di una maggior costanza nei rapporti con essi.

Il tema della qualità della vita è stato affrontato dal punto di vista delle attività ricreative e di tempo libero (anche) all’interno dei centri diurni. Le interviste restituiscono – anche se non sempre esplicitamente – l’immagine di centri diurni chiusi, «senza un fuoco esterno», in cui non è garantita una gamma di attività sufficientemente ampia. Nei centri, nella ridotta esperienza degli intervistati, c’è un’apertura insufficiente alla partecipazione di persone e famiglie: le attività sono infatti decise e gestite esclusivamente dagli operatori.

Quasi in contrapposizione a questa idea di centro diurno, molte famiglie si sono rivolte ad altri servizi – spesso del privato sociale, ma anche promossi da enti pubblici – maggiormente dinamici. Questa scelta è motivata, per gli intervistati, dalla spinta a proporre al proprio congiunto attività più diversificate e maggiormente rispondenti ai suoi bisogni. Per quanto riguarda questi ultimi, l’esigenza che emerge con maggior urgenza dal punto di vista dei centri diurni e delle attività ricreative è quella di socializzazione. Le persone intervistate, in particolare i familiari, individuano la scarsità di occasioni conviviali di socializzazione come principale lacuna per i propri congiunti con disabilità intellettiva.