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Ieri la Giunta Regionale del Piemonte ha approvato WeCaRe, Atto di Indirizzo sull’innovazione sociale (qui il nostro approfondimento sul documento) che si propone di coinvolgere tutti gli attori del territorio per promuovere lo sviluppo locale e la coesione sociale. Ne abbiamo parlato con Augusto Ferrari – Assessore alle Politiche sociali, della famiglia e della casa della Regione Piemonte – partendo dal Patto per il Sociale, un documento di programmazione delle politiche sociali elaborato nel corso del 2015 attraverso un vasto coinvolgimento degli attori del territorio.

 

Dopo il periodo di grande fermento che ha portato al Patto per il Sociale è stato possibile mantenere alta la partecipazione degli stakeholder a livello di programmazione e realizzazione degli interventi? Attraverso quali strumenti e luoghi di incontro?

Dal nostro punto di vista il Patto per il Sociale ha segnato una svolta, perché ha introdotto un metodo: costruire le priorità programmatiche e strategiche nell’ambito delle politiche sociali attraverso un meccanismo strutturato di partecipazione. Abbiamo applicato questo metodo anche ai singoli assi individuati come strategici nel Patto, impegnandoci a costruire degli strumenti che consentissero di definire l’implementazione delle politiche in maniera condivisa con i territori. I tre temi prioritari erano la lotta alla povertà, l’integrazione socio-sanitaria e il sostegno alle responsabilità genitoriali. Il primo ambito è sicuramente quello che ha raggiunto i risultati migliori: tutto quello che era previsto dal Patto è stato realizzato nel corso del 2016 e dei primi mesi del 2017. Una forte spinta in questo senso è stata data anche dalla politica a livello nazionale, che ha iniziato a definire una chiara politica di contrasto alla povertà: l’estensione del SIA (Sostegno all’Inclusione Attiva) da misura sperimentale e territorialmente circoscritta a misura nazionale e l’istituzione del REI (Reddito di Inclusione) hanno favorito in modo significativo il percorso regionale.

Anche il secondo asse, il supporto alle responsabilità genitoriali, ha avuto uno sviluppo importante in questi due anni. Nel Patto abbiamo espresso la scelta di non investire in erogazioni monetarie, che già esistono a livello nazionale, e di rafforzare i servizi territoriali perché diventino dei punti di riferimento per le famiglie. Questo obiettivo si è concretizzato nel riconoscimento formale dei Centri per le famiglie e del loro coordinamento regionale.

Il tema dell’integrazione socio-sanitaria è quello che ha conosciuto il percorso più faticoso, in parte a causa dei vincoli posti dal Piano di rientro della spesa sanitaria (da cui siamo usciti ufficialmente all’inizio del 2017). In questo ambito ci siamo proposti, nel Patto, di ridurre la frammentazione e la disparità di accesso che caratterizzano il sistema di cura per gli anziani non autosufficienti nella nostra Regione.


Quali strumenti indicava il Patto per facilitare la partecipazione degli attori coinvolti e la programmazione della politica regionale? Come stanno operando?

Per quanto riguarda la lotta all’esclusione sociale, nel 2016 abbiamo istituito il Tavolo regionale per le politiche di contrasto alla povertà. Al Tavolo partecipano la Regione, gli enti gestori delle politiche sociali (quindi i comuni o le forme associate dei comuni), le organizzazioni sindacali e tutti i soggetti locali del privato sociale che hanno sviluppato una sensibilità o una particolare esperienza in questo campo (molte, ad esempio, appartengono all’Alleanza contro la povertà). Il Tavolo è articolato in tre gruppi di lavoro che stanno elaborando documenti e proposte da sottoporre alla Giunta Regionale. Il primo atto ufficiale, che dovrebbe essere approvato a breve, si concentra su quelli che abbiamo chiamato “profili di criticità”: caratteristiche che qualificano le condizioni di vulnerabilità e povertà nella nostra Regione.

Lo strumento pensato per il secondo asse strategico è il Centro per le famiglie, inteso come luogo di confronto, sostegno, ricerca di mutuo aiuto e legame con la comunità. Il primo passo è stato il riconoscimento istituzionale di questi servizi, avvenuto in particolare attraverso la formalizzazione del loro coordinamento regionale. Il coordinamento ha prodotto delle linee guida regionali che hanno contribuito a qualificare i Centri per le famiglie non tanto come servizi che erogano prestazioni standard, ma come luoghi dove si incontrano e operano tutti gli attori – pubblici e privati – che hanno come obiettivo primario il sostegno alle responsabilità familiari.

Nell’ambito dell’integrazione socio-sanitaria non siamo ancora riusciti a realizzare tutto quello che ci eravamo prefissati nel Patto. Abbiamo creato da poco la Cabina di regia socio-sanitaria e dovremmo avviare tra maggio e giugno la discussione delle prime proposte per rendere omogeneo il sistema delle cure domiciliari per gli anziani non autosufficienti. In questa prima fase di rodaggio la Cabina è composta solo da soggetti istituzionali: i rappresentanti territoriali degli enti gestori delle politiche sociali, l’Assessorato alle Politiche sociali, l’Assessorato alla Sanità e le rispettive direzioni. Quando la Cabina avrà individuato le prime ipotesi di lavoro, saranno coinvolti anche gli attori del terzo settore e i sindacati.


In questo contesto che ruolo è attribuito ai Distretti territoriali della salute e della coesione sociale? Sono già in funzione?

Il Patto per il Sociale, accanto al metodo e agli obiettivi strategici di contenuto, proponeva un assetto istituzionale fortemente incentrato sui sistemi locali. Questa impostazione risponde all’esigenza di coniugare la generica programmazione regionale con le specifiche esigenze e risorse dei territori. La strada scelta è quella della creazione di ambiti territoriali omogenei, chiamati Distretti della salute e della coesione sociale, in cui dovrebbero convergere il distretto sanitario e l’ente gestore delle politiche sociali. Tradizionalmente i sistemi sanitario, sociale, educativo e delle politiche attive del lavoro hanno viaggiato su binari paralleli, perciò ci troviamo davanti a un panorama molto frammentato. Il percorso prevede di creare dei Distretti di riferimento per tutte le politiche essenziali in cui gli attori istituzionali collaborino paritariamente e mobilitino le risorse presenti sul territorio.

Questo percorso, avviato col Patto, sta vivendo una prima sperimentazione con l’implementazione del SIA. Questo intervento nazionale si compone di un’erogazione monetaria, gestita direttamente dall’INPS, e di una serie di misure attive volte a coinvolgere la persona e la famiglia in un percorso di inclusione sociale e lavorativa. Abbiamo colto l’opportunità di identificare gli ambiti territoriali di gestione del SIA nei Distretti della salute e della coesione sociale, promuovendo la costruzione dei primi protocolli di intesa tra ente gestore delle politiche sociali, azienda sanitaria e centro per l’impiego.


Cosa è successo tra il 2015 e oggi? Che legame c’è tra il Patto per il Sociale del 2015 e l’Atto di Indirizzo del 2017?

Il Patto per il Sociale e l’Atto di Indirizzo sull’innovazione sociale nascono in maniera distinta, ma con la volontà di integrarsi e contaminarsi reciprocamente. Il Patto per il Sociale è intervenuto in un sistema di welfare già consolidato nel tempo, proponendo priorità strategiche e un metodo comune. L’Atto invece intende esplorare nuovi terreni, coinvolgendo anche attori che tradizionalmente non sono protagonisti nelle riflessioni legate alle politiche sociali. In qualche modo l’Atto dovrebbe avere un effetto di dinamismo sul Patto: se esso ha individuato delle priorità, l’Atto sull’innovazione sociale invita a perseguire questi obiettivi strategici dinamicamente, anche trovando metodi e attori nuovi.


La condivisione e la partecipazione erano elementi fondanti del Patto per il Sociale. Il percorso che ha portato all’Atto ha seguito questi stessi criteri? In che modo?

L’Atto è frutto del lavoro di un gruppo informale chiamato WeCaRe – Welfare Cantiere Regionale, nome che poi abbiamo voluto dare anche all’Atto di Indirizzo. Il gruppo è nato nel 2015 dall’idea che il nostro Assessorato avesse bisogno di mettersi in discussione e di raccogliere punti di vista differenti per programmare meglio le politiche sociali regionali. Abbiamo così contattato, informalmente, singole persone in base alle loro competenze ed esperienze. Il gruppo ha iniziato ad incontrarsi intorno ai tavoli dell’Assessorato senza un obiettivo preciso, al solo scopo di discutere delle nuove frontiere delle politiche sociali e del sistema di welfare. Da questa prima fase è emersa la proposta di una programmazione trasversale dei fondi europei legati all’innovazione sociale, da realizzare attraverso il coinvolgimento di tutti gli assessorati e le direzioni competenti: Assessorato alle Politiche sociali; Assessorato al Lavoro, all’istruzione e alla formazione professionale; Assessorato alle Pari opportunità, all’immigrazione e alle politiche giovanili; Assessorato alle Innovazioni produttive.

Da questa condivisione è scaturito un documento che voleva tracciare le principali linee di pensiero sull’innovazione sociale in chiave piemontese. Tale documento è stato discusso pubblicamente nello scorso autunno, in un convegno che ha visto la partecipazione di circa 400 persone. È quindi iniziata l’elaborazione dell’Atto vero e proprio, curata dalla Regione in continuo confronto con gli attori del territorio: gli enti gestori delle politiche sociali, l’ANCI Piemonte (Associazione Nazionale Comuni Italiani), il coordinamento regionale delle fondazioni, l’alleanza delle cooperative, il Forum del Terzo Settore, i centri servizi per il volontariato.


Quante sono le risorse investite nell’Atto? Quali le principali fonti di finanziamento delle azioni previste?

Le quattro misure previste dall’Atto mobilitano complessivamente 20 milioni di euro. Le risorse sono legate alla programmazione di due fondi europei, l’FSE (Fondo Sociale Europeo) e il FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale), per obiettivi legati all’innovazione sociale. Per quanto riguarda le risorse dell’FSE, i riferimenti sono l’asse 9, concentrato sul tema del contrasto all’esclusione sociale, e l’asse 8, legato a misure di welfare aziendale. Le risorse derivanti dal FESR sono invece legate al perseguimento di un obiettivo di stimolo della responsabilità sociale delle imprese. È difficile stabilire adesso se le risorse sono sufficienti o meno, ma di sicuro offrono un contributo significativo rispetto agli obiettivi che ci poniamo.


Quali indicherebbe come elementi maggiormente distintivi di questo Atto di Indirizzo?

Credo che il primo elemento fondamentale sia la visione della coesione sociale come motore dello sviluppo locale. L’Atto di Indirizzo, suggerendo la necessità di allontanarsi da un sistema di welfare che agisce solo a valle del disagio, propone di intendere il territorio locale come un incubatore di sviluppo umano, sociale ed economico. L’altro elemento chiave è la valorizzazione della centralità dell’individuo, a scapito di prestazioni standardizzate in cui “classificare” le persone. La scommessa è di realizzare un sistema che sappia promuovere interventi e politiche a misura delle persone e delle comunità, pur in un quadro di programmazione complessiva coerente.

L’innovazione sociale, intesa come tentativo – realistico e creativo allo stesso tempo – di favorire la crescita del sistema delle politiche territoriali, assume un ruolo cruciale rispetto ai due elementi citati. Essa non deve essere interpretata come ideazione di progetti a breve termine, ma come un percorso attraverso cui il sistema territoriale nel suo complesso trova un nuovo equilibrio più rispondente alle esigenze e alle domande che il tessuto sociale pone all’attenzione delle istituzioni.


Considerando questa visione dell’innovazione, avete già ipotizzato una stabilizzazione e messa a sistema dei progetti che saranno sperimentati nell’ambito dell’Atto di Indirizzo?

Come ho detto prima, nonostante il Patto per il Sociale e l’Atto di Indirizzo siano nati separatamente, la nostra intenzione è che dialoghino tra loro. Il Patto aveva una dimensione temporale compresa tra il 2015 e il 2017, perciò alla fine di quest’anno sarà necessaria una sua riformulazione. Essa terrà conto ovviamente della precedente programmazione, ma anche dell’apporto dell’Atto di Indirizzo. Prevediamo in particolare di partire dall’idea di comunità come incubatore locale della coesione sociale e della crescita economica. La nuova programmazione avrà come elemento centrale proprio lo sviluppo della comunità e prevederà la trasformazione in servizi consolidati delle sperimentazioni supportate nel corso dei prossimi mesi.


La misura 3 dell’Atto di Indirizzo prevede il rafforzamento di attività imprenditoriali che producono effetti socialmente desiderabili: che cosa vi aspettate che possa produrre?

Per affermare una nuova di idea di sviluppo inclusivo è necessario fare in modo che possano concepirsi come parte integrante del sistema di welfare anche quegli attori che tradizionalmente si reputano fuori da esso: con questa misura vogliamo stimolare l’attenzione delle imprese al tema del benessere sociale, che è prodotto dallo sviluppo economico ma anche da quello umano e relazionale. Un esempio: nel nostro paese, e anche nella nostra Regione, c’è una grande necessità di ridestinare in chiave pubblica spazi abbandonati o poco valorizzati. La restituzione alla vita comunitaria di questi luoghi mi sembra un ottimo esempio di effetto socialmente desiderabile.

È difficile prevedere quali progetti saranno presentati dalle aziende nell’ambito di questa misura, ma ci è sembrata una sfida interessante quella di stimolare il sistema delle imprese ad essere parte integrante del processo con cui si costruisce il benessere di una comunità.


Rispetto al coinvolgimento delle aziende in questa azione e in quella dedicata al welfare aziendale (misura 4) avete già ipotizzato dei canali di comunicazione per rendere visibili le opportunità previste?

La collaborazione con le aziende è stata avviata nella fase di lancio del documento programmatico e nella successiva discussione ed elaborazione dell’Atto di Indirizzo. Abbiamo quindi già degli interlocutori – penso ad esempio a Unioncamere – che favoriscono una relazione diretta e capillare con il tessuto produttivo piemontese, che si è mostrato molto interessato alle innovazioni proposte. Sicuramente quando verranno emanati i bandi che daranno attuazione alle misure dell’Atto metteremo in campo tutti gli strumenti e i mezzi di comunicazione utili a diffondere le informazioni, ma riteniamo importante avere un contatto diretto e costante con il sistema delle imprese.


L’Atto di Indirizzo prevede un’azione specifica di accompagnamento: quanto ritiene che sia importante per il successo delle sperimentazioni?

L’attività di accompagnamento è sicuramente decisiva, perché non possiamo immaginare che progetti innovativi si realizzino senza una forma di accompagnamento qualificato, specialmente nella fase di traduzione delle idee in azioni concrete e poi in quella di implementazione. Abbiamo perciò deciso di destinare a questa attività una piccola percentuale della cifra complessivamente disponibile. L’accompagnamento sarà affidato a un soggetto che abbia la capacità di accompagnare tutti i territori, con una vocazione locale molto forte e un occhio sempre rivolto alla programmazione regionale. Un ruolo strategico sul piano del rafforzamento dei progetti sarà svolto anche dalle Fondazioni, che da sempre si occupano di consolidare il tessuto sociale e valorizzare le risorse locali.


Dopo il Patto per il Sociale e l’Atto di Indirizzo quali sono i prossimi ambiti in cui intende intervenire?

Nei prossimi mesi l’Assessorato sarà coinvolto nella riprogrammazione del Patto per il Sociale, che scade alla fine del 2017. L’idea è di proseguire sul percorso tracciato dal Patto e confermato dall’Atto, individuando le comunità come elemento centrale per lo sviluppo del singolo e del territorio. In questo senso dovremmo registrare un passaggio dal Patto per il Sociale al Patto per lo sviluppo delle comunità. Inoltre, il tema dell’integrazione con le politiche per la casa si aggiungerà alle priorità individuate nel precedente Patto e ancora attuali: lotta all’esclusione sociale, supporto alla filiera di servizi sull’invecchiamento, sostegno alle responsabilità genitoriali e alle politiche di conciliazione. Anche il metodo partecipativo del Patto del 2015 è confermato, ma il confronto si concentrerà maggiormente sulla dimensione comunitaria dei temi prioritari. I Distretti territoriali della salute e della coesione sociale saranno protagonisti dell’attività di concertazione e anche della successiva implementazione delle politiche e degli interventi.