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Come suggerito da un prezioso commento di Filippo Addarii a margine della nostra riflessione sul “fallimento” del caso di Rikers Island, vale la pena segnalare come i primi del mese di giugno è stato pubblicato un importante studio, condotto da EngagedX su impulso del Social Investment Research Coucil (SIRC) e di RBS Group (RBS). L’ambizione del report è chiara sin dal titolo: «The social investment market through a data lens. Revealing the costs and opportunities of financing the “unbankable”». Più precisamente il mandato a EngagedX era quello di condurre il primo studio indipendente e “data centric” mai realizzato in un settore chiave del mercato degli investimenti sociali nel Regno Unito. A quanto pare il gruppo capitanato da Karl Richter sembra aver dato una prima e importante risposta ad alcune domande centrali rispetto al nascente mercato degli investimenti ad impatto.

In particolare lo studio citato prende in esame i dati messi a disposizione da tre importanti intermediari del mercato degli investimenti ad impatto sociale (CAF Venturesome, Key Fund and the Social Investment Business). Nel tempo il team che ha condotto lo studio prevede di integrare ulteriori dati relativi alle performances finanziarie con dati legati all’impatto sociale. Lo scopo è quello di comprendere più a fondo l’intero spettro dei rendimenti generati e l’interrelazione tra i ritorni finanziari e non finanziari.

Pertanto, anche se il segmento analizzato non può essere considerato rappresentativo dell’intero mercato, esso sembra offrire preziosi risultati, su cui in futuro sarà possibile tornare per meglio comprendere le caratteristiche di un fenomeno emergente. Il campione si riferisce a investimenti prioritariamente orientati alla fornitura di capitali a favore di organizzazioni a finalità sociale al di là della realizzazione di specifici rendimenti finanziari. In questo senso è incoraggiante vedere quanti dei soggetti che hanno ricevuto questi finanziamenti hanno poi in ogni caso portato ritorni finanziari positivi. Il progetto di studio intrapreso da EngagedX è stato costruito con un focus principale sui dati relativi alle prestazioni dei soggetti finanziati, così da poter scoprire e apprezzare le caratteristiche finanziarie e i profili rischio-rendimento delle operazioni prese in considerazione. Il primo contributo di merito che il rapporto offre all’attuale dibattito intorno alle pratiche di impact investing è dunque la possibilità e soprattutto la necessità di produrre datasets standardizzati intorno ai quali costruire una narrazione più equilibrata di quella frequentemente utilizzata nel discorso pubblico sul tema.

Infatti, uno degli obiettivi principali del progetto alla base dello studio era quello di rafforzare la fiducia nel mercato degli investimenti sociali nel suo complesso, passo imprescindibile per migliorare l’accesso a tali finanziamenti per imprese sociali e enti filantropici. L’indicazione più decisa che emerge dallo studio riguarda il fatto che il miglioramento delle capacità degli intermediari di raccogliere e usare i dati è e sarà sempre più la chiave di volta per aiutare la maturazione del mercato degli investimenti ad impatto. Peraltro, attraverso lo studio in discorso, oltre al prezioso insieme di dati prodotti, altre importanti informazioni sono state acquisite a proposito di alcune best practices di data reporting e con riferimento ai requisiti per la loro realizzazione. L’importanza di tali informazioni è infatti particolarmente significativa per gli attuali e futuri intermediari del settore.

Sulla base di tali premesse ci sembra opportuno tentare una sintesi del documento, sottolineando gli aspetti che più da vicino ci interessano, anche alla luce della riflessione che da tempo abbiamo iniziato a svolgere in merito al fenomeno dell’impact investing. Altrettanto opportuno è tuttavia sottolineare che il rapporto EngagedX sul mercato degli investimenti sociali documenta la distanza, non solo geografica e quantitativa tra il mercato UK e quello italiano.


Il bisogno di intermediari "attivi" per il pricing degli investimenti sociali

Il mercato degli investimenti sociali è cresciuto significativamente nel corso degli ultimi 10 anni consentendo alle organizzazioni del settore sociale un migliore accesso a capitali rimborsabili. Dal 2001 ci sono stati sviluppi significativi che consentono a un maggior numero di enti di beneficenza e imprese sociali di accedere al finanziamento necessario per creare un impatto positivo sulla società. Ora, sulla base di quanto emerge dalla ricerca di EngagedX, in tutto il Regno Unito ci sono più di 20 intermediari specializzati che offrono una gamma di prodotti di investimento per le organizzazioni orientate alla generazione di impatto sociale. Tra i numerosi e giovani intermediari finanziari nell’ambito degli investimenti ad impatto sociale, che avranno bisogno di anni prima di sviluppare un track record significativo, esistono organizzazioni come CAF Venturesome, Key Fund e Social Investment Business che hanno ormai più di un decennio di esperienza alle spalle e che quindi possiedono uno “storico” che può essere oggetto di riflessione e più seriamente offre lo spunto per alcune stime generali sul settore.

Infatti, nonostante la recente attenzione ricevuta dal mercato degli investimenti sociali, molto poco si conosce circa la performance finanziaria e sociale sia delle operazioni realizzate sia del mercato in generale. La situazione di scarsa se non nulla conoscenza delle performance finanziare dell’impact investing, se considerata assieme al basso livello di consapevolezza manageriale e dei modelli di business delle organizzazioni del settore sociale, si traduce in una maggiore incertezza del mercato e di fatto aumenta i costi di transazione e di due diligence che accompagnano ogni operazione. In sostanza, come intuibile anche da chi non è familiare con l’esercizio di ragionamenti intorno all’agire economico, il complessivo stato dell’arte circa il mercato dell’impact investing e le sue performance finanziarie e sociali, è il fattore principale che fa salire il costo del capitale per molte di quelle organizzazioni che ne avrebbero più bisogno.

Il campione di dati inclusi nell’insieme analizzato dal rapporto di EngagedX ha dimostrato che gli investimenti ad impatto sociale rappresentano una porzione del più generale mercato degli investimenti caratterizzata da un elevato rischio e il ritorno finanziario complessivo del settore è risultato essere negativo del 9,2%. Tuttavia, alla luce del fatto che gli intermediari di finanza ad impatto sociale operavano in un nuovo mercato e durante i periodi peggiori della crisi finanziaria, l’alto livello di conservazione del capitale – come letteralmente sostiene il rapporto EngagedX – è impressionante. Il numero totale dei prestiti che non sono andati deteriorandosi (72%) è stato esattamente lo stesso del portafoglio per l’Enterprise Finance Guarantee (EFG), uno schema di garanzie finanziarie adottato dal governo UK per facilitare l’accesso ai capitali di finanziamento e rivolto alle PMI. Inoltre, confrontando il 9,2% che questo nuovo approccio agli investimenti ha “pagato” per ottenere l’impatto sociale rispetto ad altri sistemi di grant funding il rapporto qualità-prezzo non sembra così negativo. Anche perché la perdita netta del 9,2% significa che la restante parte delle operazioni ha quantomeno conservato il capitale: il tasso di rischio appare elevato, tuttavia documenta anche che è possibile individuare e costruire operazioni in grado di raggiungere livelli di performance finanziarie ragionevoli. Pertanto ciò che emerge da questo primo dato offerto dallo studio di EngagedX è la viva esigenza di una attenta costruzione delle operazioni di investimento.

Infatti, un ulteriore dato che è emerso dallo studio condotto da EngagedX, riguarda l’elevato livello di impegno e di personalizzazione che gli investitori hanno offerto per rendere il finanziamento più appropriato alle esigenze delle organizzazioni a finalità sociale supportate. Ciò dimostra un elemento di differenziazione chiave del mercato dell’investimento sociale rispetto ad altri più tradizionali. Nel nuovo mercato degli investimenti ad impatto sociale la figura dell’intermediario finanziario è una figura chiave e decisamente attiva, non solo nelle fasi iniziale e finale dell’investimento, ma anche lungo tutto il corso dell’operazione. In particolare l’intermediario non è semplicemente chiamato alla collocazione di un prodotto di investimento e alla riduzione di eventuali asimmetrie informative tra investors e investees, ma è altresì coinvolto attivamente nel processo di pricing dell’operazione, divenendo così parte attiva della transazione e superando in tal modo una idea di intermediazione particolarmente sviluppata nei mercati degli investimenti tradizionali.


Risultati chiave e prime riflessioni

1. Non ogni dato negativo è necessariamente negativo
Come già riportato, lo studio EngagedX dimostra che i ritorni finanziari totali del campione di investimenti analizzati è negativo del 9,2%. Sarebbe tuttavia ingenuo interpretare questo dato come negativo di per se stesso. Infatti, che gli intermediari siano stati in grado di raggiungere un tasso di conservazione del capitale di circa il 90% (dato comprensivo di pagamenti degli interessi e rimborsi del capitale) è un dato senza ombra di dubbio positivo. Questo elevato livello di tutela del capitale suggerisce che il mercato degli investimenti sociali è a tutti gli effetti “investable.

Ovviamente la questione chiave per la sostenibilità di tali pratiche è quella dei prezzi del capitale. Una sfida ancora aperta è quindi quella di conciliare le contrapposte esigenze di economicità per le imprese che ricevono il capitale e del pricing adeguato al profilo di rischio per gli investitori. La storia raccontata attraverso i dati raccolti può essere considerata ragionevolmente ottimista e fornisce inoltre una base molto utile per capire meglio la richiesta esplicita e implicita di sussidi nel mercato. Nel tempo, con una maggiore segmentazione e categorizzazione dei dati raccolti e osservati, sarà possibile formare un quadro molto più preciso circa quali “parti” del mercato hanno bisogno in maggiore o minore misura di essere oggetto di incentivi. A tal fine, insieme al tempo e quindi all’anzianità delle esperienze di impact investing, un contributo imprescindibile dipenderà dal livello di trasparenza che gli intermediari saranno disposti ad accettare rispetto i dati delle proprie operazioni.

2. Il mercato dell’impact investing e il mercato del credito tradizionale
Il rapporto EngagedX non si ferma all’analisi sin qui in via sintetica riportata, ma si spinge oltre in una operazione di confronto tra i dati emersi rispetto al mercato dell’impact investing e quelli invece disponibili relativamente ad altri ambiti dei mercati del credito ai c.d. “unbankable. Infatti i tassi medi di deprezzamento del capitale che emergono dal set di dati raccolti e analizzati sono comparabili con quelli di altri mercati in cui gli investitori sono stati di recente incoraggiati ad assumersi alcuni rischi. I profili di investimento non sono direttamente comparabili, tuttavia tale confronto aiuta a posizionare all’interno di un contesto più ampio gli outputs dei dati relativi al mercato dell’impact investing.

Il rapporto prende in esame alcuni programmi di facilitazione per l’accesso al credito delle piccole e medie imprese. Qui per brevità si riporta sommariamente quanto emerge dal paragone tra il mercato dell’impact investing e quello dei crediti alle piccole e medie imprese nel quadro del citato Enterprise Finance Guarantee. L’EFG è stato lanciato nel gennaio 2009, al culmine della crisi del credito. Come già detto, il programma è stato rivolto alle piccole e medie imprese più rischiose e quindi presenta caratteristiche simili ai prestiti presi in esame nel rapporto EngagedX sul mercato dell’impact investing:

  • La maggior parte dei mutui concessi era superiore ai £100,000. Da gennaio 2009 a dicembre 2013 la dimensione media dei mutui era di £103,300. La dimensione media degli investimenti presi in considerazione da EngagedX nell’ambito degli investimenti ad impatto sociale è di £98,807.
  • La maggior parte delle organizzazioni che hanno preso in prestito denaro attraverso lo schema dell’EFG ha un fatturato inferiore a £1,000,000, che è comparabile con quello del portafoglio di CAF Venturesome, Key Fund e Social Investment Business.

Dopo 3 anni dall’inizio dell’operatività dell’EFG, il tasso di deterioramento dei crediti concessi all’interno di questo schema è stato del 28%. Questo dato è comparabile con il dato del 28% dei prestiti considerati da EngagedX che hanno avuto un qualche deprezzamento del capitale. Come sostengono gli autori dello studio EngagedX, la comparazione rivela che i ritorni finanziari dal mercato delle piccole e medie imprese sono simili a quelli del settore cui afferiscono le imprese sociali, il che sembrerebbe essere contraddittorio con quanto spesso affermato da una certa retorica un po’ scettica sugli investimenti sociali, che sarebbero portatori di rischi più elevati.

3. Il contributo metodologico e il valore della trasparenza
In sintesi, il messaggio finale contenuto nel rapporto EngagedX è che l’eredità dello studio condotto sia quella di ispirare un numero sempre crescente di intermediari operanti nel settore degli investimenti ad impatto sociale nella direzione di una maggiore trasparenza rispetto i propri dati e di una più chiara consapevolezza del vantaggio per loro e per l’intero settore che potrebbe derivare da una voluntary disclosure.

L’auspicio di EngagedX è che l’iniziale set di dati analizzati per il rapporto in discorso si espandesse nel tempo, così da essere più rappresentativo dei caratteri essenziali delle operazioni nel mercato, sia rispetto a quelle prioritariamente orientate al ritorno sociale sia a quelle più concentrate sui ritorni finanziari. Nel pensiero degli estensori del rapporto, questo darà agli investitori sociali il necessario accesso a dati affidabili e anonimi sulle performance, così da permettere loro di comprendere meglio il rapporto rischio/rendimento, finanziario e sociale, delle nuove proposte di investimento in corso di valutazione. In ultima analisi, ritengono che tale passaggio permetterà un pricing del capitale più adeguato ai profili di rischio nonché una migliore enumerazione degli sconti sul prezzo del capitale.


UK e Italia: alcune riflessioni

Una lettura attenta del rapporto consente di sviluppare in via conclusiva alcune riflessioni utili anche in chiave di ricerca di una via italiana all’impact investing. Si possono quindi trattenere alcune osservazioni che valgono tanto nel contesto del Regno Unito che in quello italiano. In primo luogo, occorre considerare che i profili di rischio per investimenti in imprese sociali non è particolarmente superiore a quello relativo alle piccole e medie imprese. Questo sembra mettere gli osservatori ma soprattutto i potenziali investitori di fronte ad una scelta di valore: ammesso e non concesso che i ritorni finanziari di una impresa sociale siano inferiori a quelli di una impresa tradizionale, a parità di rischio, quale sconto del capitale si è disposti ad accettare in nome di un possibile ritorno sociale? Questo peraltro non è un tema assente nel tessuto economico e sociale italiano, posto che è proprio su tali premesse che nasce una istituzione finanziaria come l’italiana Banca Prossima. E i dati offerti dall’istituto bancario del Gruppo Intesa San Paolo dedicato al Terzo Settore non sono peraltro così diversi da quelli contenuti nel rapporto di EngagedX. In secondo luogo, si deve osservare che un “impatto implicito” (come lo definisce EngagedX), ossia uno sconto del capitale, è decisivo per dare credito ad una operazione che volesse presentarsi come una operazione di impact investing: nella retorica crescente e nel fascino che alcune operazioni di investimenti ad impatto sociale esercitano sull’opinione pubblica, occorre predisporre strumenti efficaci affinchè tale narrativa non sia utilizzata come espediente per rispondere alla crisi di legittimazione che investe molte delle istituzioni contemporanee, tra cui lo Stato e il mercato.

In termini più generali, fermi gli indiscussi meriti prevalentemente metodologici del rapporto EngagedX, che per primo documenta l’andamento di un mercato difficile da conoscere a causa del basso livello di trasparenza, occorre considerare che lo studio britannico si focalizza sulla figura dell’intermediario degli investimenti ad impatto. Considera sostanzialmente quei dati utili a “convincere” potenziali investitori. Dunque si può dire che il rapporto EngagedX gioca la sua partita prevalentemente sul versante dell’offerta. Qui si apre e si può apprezzare tutta la distanza che c’è tra il mondo degli investimenti sociali UK e quello italiano. Si tratta di due storie significativamente diverse, per motivi che ora non è possibile sviluppare.

D’altra parte tale importante differenza, come notava Mario Calderini qualche tempo fa, si riverbera anche sul discorso pubblico che gli operatori e gli esperti sono chiamati a costruire. Mentre il dibattito internazionale è «molto orientato ad analizzare i problemi legati all’offerta di capitale ma meno attento alle questioni relative al lato della domanda», i caratteri del contesto italiano «impongono invece un’attenzione bilanciata ad entrambi gli aspetti del problema, riconoscendo che l’efficacia delle azioni di promozione dell’offerta è strettamente dipendente dalla disponibilità di adeguate opportunità di investimento». Nel capitolo del Primo Rapporto sul Secondo Welfare dedicato alla Finanza Sociale, Lorenzo Bandera aveva riportato alcuni dati significativi che documentavano la bassa se non nulla propensione al credito di buona parte del c.d. Terzo Settore. Emergeva ed emerge un carattere statico e chiuso della domanda di capitali da parte del mondo dell’imprenditoria sociale. Per questo motivo si può dire che anche tanta discussione su alcuni strumenti finanziari particolarmente innovativi, pur importante e sempre di interesse, rischia di divenire una sorta di “ragionamento per assurdo”. Ancora Calderini diceva che «l’offerta di una finanza ad impatto sociale si giustificherà se, e solo se, esisterà una domanda di questa tipologia di capitale paziente ben più consistente e credibile di quella attuale. […] Solo il verificarsi di un cambiamento della struttura intrinseca della domanda determinerà una crescita dei volumi di capitali richiesti e una maggiore propensione agli investimenti delle imprese sociali che potrebbero essere, in parte, soddisfatte dalla finanza ad impatto sociale».

Le implicazioni di policy sembrerebbero quindi quasi scontate: la resilienza dimostrata dal privato-sociale italiano negli anni più duri della crisi economica globale costituisce la forza del settore e al tempo stesso offre un contributo importante all’identità di un nuovo welfare. Infatti il contesto italiano, perché si possa anche qui parlare di un mercato di investimenti ad impatto sociale, richiede di lavorare innanzitutto sul versante della domanda. Dunque, e a differenza di quanto risulta necessario nel contesto del Regno Unito, in Italia «il sostegno politico ed economico dovrà essere orientato alla promozione della domanda più che dell’offerta ed in particolare a quei processi evolutivi che sembrano investire l’imprenditorialità sociale e poter determinare una trasformazione del paradigma nell’intervento sociale».

Ancora una volta emerge come – almeno nel contesto italiano – il discorso sull’impact investing non può essere portato avanti senza un costante riferimento alle transizioni che da tempo caratterizzano il mondo delle politiche sociali e in specie i regimi di welfare. Così si comprende anche come la costruzione di una domanda credibile per il mercato degli investimenti ad impatto sociale passa principalmente attraverso l’impiego di modelli innovativi da parte della pubblica amministrazione, basati su forme di partenariato con il privato-sociale, schemi negoziali nuovi, abilitanti e valorizzatori della forza dimostrata dal Terzo Settore e quindi capaci di agire come stimolo della domanda. Infatti, sulla scia della Social Business Initiative e della più recente Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, è ormai noto che l’attività contrattuale del settore pubblico è a tutti gli effetti un c.d. demand-side tool per la promozione e l’incentivazione di servizi sociali innovativi. E si sa che per innovare c’è bisogno di una offerta seria di capitali.

 

Riferimenti

The social investment market through a data lens.

Bandera L. (2013), La finanza sociale come leva di sviluppo e innovazione, 1R2W.

Calderini M. e Chiodo V., La finanza sociale: l’impatto sulla dinamica domanda-offerta, Rivisa Impresa Sociale.

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