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La (cattiva) finanza è stata all’origine della Grande Crisi. Possiamo immaginare oggi una finanza “buona”, che aiuti a creare crescita e lavoro? Forse si. I principali strumenti attraverso cui attivare il circolo virtuoso si chiamano Social Bonds, obbligazioni con finalità sociali. Su iniziativa di Cameron, se ne è discusso anche al recente vertice del G8. Emessi da banche e fondi, i Social Bonds raccolgono risparmio privato, adeguatamente remunerato, per prestarlo a società (incluse cooperative, start up e così via) che vogliono realizzare progetti in quei settori oggi drammaticamente sotto-finanziati: welfare, cultura, ambiente, valorizzazione dei territori.

Nel mondo anglosassone i Social Bonds si stanno diffondendo molto rapidamente ed anche in Italia alcune banche (ad esempio UBI Banca o Banca Prossima) hanno già avviato delle prime iniziative in questa direzione. Le Fondazioni di origine bancaria possono giocare un importante ruolo di complemento: per alcuni progetti di housing sociale Cariplo ha cominciato ad esempio ad erogare fondi premiali aggiuntivi rispetto a quelli ottenuti tramite prestiti.

In Inghilterra e negli USA la finanza “buona” sta perfezionando uno strumento ancora più sofisticato: il Social Impact Bond. Qui i privati comprano titoli che finanziano programmi di pubblica utilità selezionati dallo stato; gli erogatori sono enti non profit; lo stato s’impegna (“bond”) a restituire il capitale, remunerato a tassi molto vantaggiosi, ma solo se il programma ha successo. Quando il circolo virtuoso si attiva, tutti ci guadagnano.

L’Italia è il paese UE con il più alto stock di risparmio privato ma registra un enorme deficit di servizi. Recentemente Vincenzo Manes, Presidente di Intek-KME, ha fatto una proposta ardita: creare un’"IRI delle imprese sociali" che, disponendo di circa 30 miliardi di euro annui, potrebbe creare fino a un milione e mezzo di nuovi posti di lavoro. Manes propone di introdurre una tassa di scopo sulle ricchezze. Prima di pensare a nuove imposte o prestiti forzosi, perché non muovere su questa strada valorizzando i nuovi strumenti della finanza “buona”? Negli anni Sessanta il risparmio di tanti italiani co-finanziò (guadagnandoci) la costruzione dell’Autostrada del Sole. Anche se le infra-strutture di cui abbiamo bisogno sono essenzialmente di natura sociale, forse potremmo ripetere oggi quella straordinaria esperienza.

Il presente articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera del 4 luglio

 

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