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Servizi per l’infanzia e flessibilità d’orario. Sono i due strumenti di conciliazione vita-lavoro su cui punta Performance in Lighting, azienda di apparecchiature per l’illuminazione veronese. Il gruppo – 12 filiali in 92 paesi, un giro d’affari di circa 100 milioni di euro e più di 650 dipendenti in tutto il mondo, nasce in provincia di Verona, dalla fusione di diverse aziende nel settore illuminotecnico. E’ proprio nella sua sede centrale, a Colognola sui Colli, che l’azienda da più di dieci anni promuove politiche di responsabilità sociale particolarmente orientate sul work-life balance. La scelta di realizzare un ambiente di lavoro a misura dei dipendenti (sono 166 a Colognola tra dirigenti, quadri, impiegati e operai) balza agli occhi: giardini e corsi d’acqua interni negli uffici amministrativi, strutture luminose e immerse nel verde, un asilo di legno circondato da una fattoria didattica a pochi passi dalle sedi produttive. “Applichiamo delle politiche retributive da azienda di medie dimensioni – spiega Luca Grazioli, direttore Risorse Umane, un passato in Confindustria Verona a lavorare sulle relazioni industriali e sulle pari opportunità – e i nostri manager sono costantemente contattati dalle società di head hunters e su questo fronte è molto difficile competere con le grandi multinazionali. Di conseguenza, per attrarre e fidelizzare le migliore risorse la scelta è quella di offrire, oltre a una parte retributiva dignitosa, un ambiente di lavoro sereno, con servizi di welfare e a misura di famiglia”.

Il nido aziendale si ispira ai principi pedagogici della scuola Reggio Children di Reggio Emilia: architettura a misura di bambino – legno con finestre basse e trasparenze – la presenza di animali (con ovini, equini e volatili) per i più grandi. Otto educatrici per 45 bambini, di cui un terzo figli dei dipendenti dell’azienda e il resto provenienti dal territorio. Ma soprattutto orari di apertura lunghi, che consentono diverse fasce di entrata e uscita, “perché partiamo dal presupposto che debba essere un servizio”, precisa Grazioli. Si comincia alle 7.30, mezz’ora prima dell’inizio dell’attività lavorativa, e si chiude mezz’ora dopo, alle 18. Tre le fasce d’orario: fino alle 13, fino alle 16 e oltre le 16. Con aperture previste anche nei prefestivi o nei festivi. Il prezzo è calmierato per i dipendenti (da 300 a 450 euro a seconda del numero di fasce orarie) e cresce di 100 euro per gli esterni.

Una consulente periodicamente fa formazione alle educatrici sui principi della scuola reggiana. Sono previsti inoltre percorsi di supporto alla genitorialità con psicologi, neuro-psichiatri e corsi di pronto soccorso per i neonati rivolti ai genitori. Eppure quella del nido non è stata un’iniziativa scontata: “All’inizio le istituzioni locali non vedevano di buon occhio il nostro asilo – spiega Luca Grazioli – era percepito come concorrenziale rispetto ad altri nidi pubblici e privati. Il successo è stato tale che oggi è parte integrante della comunità e viene riconosciuto come un modello da perseguire”.

Il nido nasce nel 2002 su iniziativa della proprietà, a fronte di una componente della forza lavoro femminile che a Colognola sui Colli è pari al 75%. “L’incidenza della maternità era molto alta e al fine di agevolare il rientro al lavoro da parte delle lavoratrici, ridurre le richieste di part-time e facilitare la gestione quotidiana dei genitori è nata l’idea del nido”. precisa Grazioli. Il “bisogno”, insomma, si è creato a fronte dell’offerta, tant’è che all’inizio c’erano solo tre bambini di tre dipendenti.

Oggi le cose sono un po’ cambiate, la crisi economica ha portato l’azienda a cambiare atteggiamento nei confronti del part-time, tanto che su 70 operaie donne 28 ne usufruiscono. La riduzione dell’orario di lavoro (nella forma del part-time sharing) è in sostanza lo strumento di flessibilità oraria utilizzato dalla componente operaia. Gli impiegati e i quadri possono invece usufruire di mezz’ora in entrata e in uscita. I manager hanno completa autonomia sul proprio orario di lavoro con l’obbligo di una sola timbratura al giorno per ragioni di sicurezza. Siamo ancora lontani dal modello dell’”ufficio in valigia” ma di certo l’azienda sta facendo molto per promuovere una cultura del risultato: “tra i criteri per assegnare i bonus – precisa Grazioli – il tempo che i dipendenti passano in ufficio è del tutto irrilevante. Non vado a vedere quante volte il dipendente va a bersi il caffè, è una battaglia persa. Piuttosto, la disponibilità a spostarsi, le relazioni con i colleghi, le tempistiche con cui vengono svolti i compiti, e naturalmente il giudizio dei capi area: sono questi i criteri che mettiamo in campo per la valutazione”.

“L’autonomia sul tempo di lavoro”, intesa sia come adeguatezza della quantità di ore lavorate rispetto al desiderio del lavoratore che come flessibilità di orario (Lyness et al. 2012), costituisce il terzo “pillar” delle politiche di conciliazione vita-lavoro che la letteratura scientifica ha individuato assieme a congedi e servizi per l’infanzia. Esso rappresenta il più inesplorato dalla ricerca e allo stesso tempo il più innovativo, perché in grado di promuovere una nuova cultura organizzativa e di pari opportunità. E intervistando alcuni dipendenti di Performance in Lighting l’impressione è che al di là degli strumenti formali di flessibilità oraria, esista anche una cultura informale che promuove l’autonomia sul tempo di lavoro: “Ho avuto diversi capi nella mia vita lavorativa, alcuni dei quali molto attenti alle timbrature, che tendevano a controllare, qui non è assolutamente il caso, mi sento autonomo sulla gestione del mio tempo, spiega Guido Vertua, controller della direzione controllo di gestione e budgeting che ogni giorno fa avanti e indietro da Brescia. Anche Anna Coveli, training & recruiting specialist della direzione risorse umane non ha mai percepito pressioni di questo tipo: “con i colleghi e con il mio responsabile ho un rapporto di reciproca fiducia, non mi sento a disagio nel chiedere permessi per portare mio figlio dal pediatra o per altre esigenze – spiega – i miei responsabili sanno che se perdo un’ora la recupero in seguito. Ho avuto un momento di forte difficoltà con l’inserimento al nido, che si è protratto più del dovuto, così per un periodo ho dovuto fare avanti e indietro tra l’ufficio e l’asilo (aziendale, ndr), ma non ho mai percepito fastidio, al contrario, c’è molta attenzione per le famiglie”.

Il nido e la flessibilità oraria sono iniziative proposte dalla proprietà. Altre – servizi finanziari e di consulenza per i dipendenti, il mercatino a chilometro zero – dalla direzione Risorse Umane. Altre ancora – come le convenzioni con altri servizi esterni – dai dipendenti. Quanto alla flessibilità oraria, “devo dire che su questo fronte l’azienda è arrivata prima di noi – spiega Isabella Maistri, operaia e Rsu di Fim-Cisl, due figli passati per il nido aziendale – ed è questa la ragione per cui non è rientrata nella contrattazione di secondo livello. Nella contrattazione è invece rientrata la proposta che abbiamo portato avanti sulla rotazione sulle linee di produzione che prevede due ore al massimo sulla stessa postazione per ogni dipendente, per prevenire le malattie dell’avambraccio”.

Riferimenti bibliografici
Lyness, K. S., Gornick, J. C., Stone, P., & Grotto, A. R. (2012), It’s All about Control Worker Control over Schedule and Hours in Cross-National Context. American Sociological Review, 77(6): 1023-1049.

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