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Il Centre d’Analyse Stratégique del governo francese ha recentemente pubblicato uno studio nel quale si indaga il contributo che le imprese possono fornire alla lotta alla povertà partendo dall’approccio Bottom of the Pyramid (BoP) che, nonostante i buoni risultati ottenuti nei paesi in via di sviluppo, viene da molti messo in discussione, soprattutto per i dubbi circa la sua applicabilità nei paesi del Nord del mondo, dove sembrerebbe attuabile solo con il sostegno di amministrazioni pubbliche e attori sociali.

La teoria della “Base della Piramide”

La teoria della “Base della Piramide” è stata sviluppata da Coimbatore Krishnarao Prahalad nel volume “The Fortune at the Bottom of the Pyramid. Eradicating Poverty through Profits” e da Stuart L. Hart in “Capitalism at the Crossroads. The Unlimited Business Opportunities in Solving the World’s Most Difficult Problems”. Secondo questo approccio è possibile, per le imprese che decidono di avviare progetti destinati alle persone povere, conciliare l’obiettivo del profitto economico con finalità di inclusione sociale. L’idea è di fornire prodotti più adatti alle esigenze e alle capacità di acquisto di queste categorie senza agire sulla qualità dei prodotti (ma su modelli di distribuzione, modalità di pagamento ecc.) e senza necessariamente ridurre i profitti delle imprese, anzi. Esisterebbe, infatti, un mercato ancora poco sfruttato composto da consumatori i cui redditi sono insufficienti per accedere ai beni e servizi prodotti per il grande mercato. Si tratterebbe di un mercato potenzialmente enorme, stimato in 4 miliardi di persone, cioè 2/3 della popolazione mondiale, e 5.000 miliardi di dollari di affari potenziali, secondo un rapporto della Banca Mondiale.

Lo sviluppo di un’offerta di beni e servizi rispondenti ai bisogni specifici di queste persone potrebbe produrre enormi benefici sia per le imprese che per la società intera, in un’ottica “gagnant-gagnant”. Potrebbe, infatti, essere un’opportunità sul piano della crescita economica (conquista di nuovi mercati), migliorare le dinamiche interne alle aziende (spostamento dei salari su progetti a forte valore etico e sociale), favorire l’innovazione tecnica (introduzione di nuovi modelli di azione per le imprese) e la coesione sociale (contribuendo alla lotta alla povertà).

I progetti BoP si differenziano sia dal mercato low cost – i beni e servizi prodotti sono della medesima qualità di quelli del circuito classico – che dalle imprese sociali – lo scopo principale dell’impresa produttrice resta comunque il profitto economico e non l’utilità sociale, non c’è obbligo di reinvestire in questo settore eventuali guadagni.

Due esempi di progetti BoP

Nel 2003 Essilor, azienda leader nel settore dell’ottica ha sviluppato un progetto BoP articolato su unità operative mobili nelle zone rurali dell’India. I pazienti che incontrano queste unità prima beneficiano di un esame gratuito della vista, i cui risultati sono trasmessi istantaneamente via satellite a un medico che diagnostica dall’ospedale centrale, poi possono acquistare direttamente in loco lenti e montature ad un prezzo accessibile (pagando in media un occhiale il prezzo di 6 euro). Grazie a questa iniziativa l’azienda ha allargato il proprio mercato – nel 2010 le unità mobili che percorrevano il paese erano già salite a 8 – e ha contemporaneamente contribuito ad alleviare un problema sociale: consentire anche a chi vive in zone isolate di risolvere eventuali disturbi visivi.

Negli ultimi anni sono stati sviluppati dei progetti “BoP 2.0.” che ambiscono a soddisfare i bisogni delle popolazioni più povere non solo adattando ad esse un prodotto o un servizio già esistente, ma inventando dei modelli di produzione e di consumo più adatti alle loro necessità. Per risolvere il problema della refrigerazione degli alimenti in assenza di rete elettrica in India, ad esempio, Godrej ha interpellato più di 600 donne al fine di identificare la soluzione più efficace. E’nato così ChotuKool, una sorta di ghiacciaia portatile alimentabile sia da una batteria esterna ricaricabile che dalla corrente elettrica, acquistabile al prezzo di 69 dollari. Una soluzione più efficace per i consumatori – il problema rilevato dalle donne coinvolte non era tanto tenere in fresco gli alimenti per lungo tempo quanto far fronte alle spese per l’acquisto di un refrigeratore e ai problemi generati da una rete elettrica poco efficiente – ma anche redditizio per l’azienda, che in due anni ha venduto più di 100.000 prodotti.

Quali prospettive per i paesi del Nord del mondo? Le critiche alla BoP

Diversi studiosi, tra cui Aneel Karnani, hanno messo in dubbio la teoria BoP, rivalutando, innanzitutto, “l’ampiezza della base”, che frutterebbe solo 440 miliardi di dollari in luogo dei 5.000 stimati da Prahalad e dalla Banca Mondiale.
Secondo Karnani le pratiche BoP difficilmente sono in grado di soddisfare contemporaneamente le tre condizioni sui cui si basa questo approccio (profitto economico dei progetti, target sulle popolazioni povere, esternalità positive in materia di lotta alla povertà e all’esclusione sociale) e sembrano, inoltre, adatti a determinati settori – servizi finanziari (microcredito), alimentazione e telecomunicazioni – e poco ad altri, come quello immobiliare.
L’aspetto più discusso è l’applicabilità di questa teoria nei paesi del Nord del mondo – la maggior parte dei casi di successo, infatti, è concentrata nei paesi in via di sviluppo, in particolare India e Bangladesh.
Molte imprese, come Essilor, hanno iniziato ad intraprendere iniziative BoP nei paesi sviluppati, dal momento che anche qui le persone meno abbienti sono penalizzate rispetto a quelle più ricche nel soddisfare bisogni di consumo simili, in primo luogo perché acquistano beni in piccola quantità – spesso con rincari maggiori – secondo, perché si orientano verso beni più economici all’acquisto ma il cui rimpiazzo interverrà più velocemente. Infine, al Nord come al Sud, i poveri hanno bisogni non coperti in cui le imprese intravedono un potenziale di crescita importante. Secondo i critici, invece, è difficile esportare questi progetti nei paesi del Nord perché nei paesi in via di sviluppo i progetti BoP possono trarre vantaggio dal fatto che i mercati sono ancora in costruzione e l’educazione dei cittadini al consumo dà spazio sufficiente ai prodotti e servizi venduti dalle aziende, mentre a Nord la logica è totalmente differente dal momento che il problema non è tanto l’accesso ai prodotti quanto la sostenibilità dell’acquisto. Il mercato low cost si rivelerebbe, quindi, più efficace nel soddisfare i bisogni dei poveri e determinerebbe una concorrenza difficile da sostenere per le iniziative BoP.

Le soluzioni per sviluppare progetti BoP nei paesi industrializzati

Un primo passo per diffondere le tecniche BoP consiste nello sviluppare dei sistemi di valutazione degli impatti più precisi per dimostrare se questi progetti sono veramente in grado di raggiungere gli obiettivi di rendita economica per l’impresa e, soprattutto, di migliorare – e in che misura – il benessere e l’integrazione sociale dei destinatari. I ragionamenti in favore del Bop si sono invece basati, finora, per lo più sulla descrizione di singoli casi di successo che lasciano in ombra le difficoltà incontrate e rendono azzardate eventuali generalizzazioni.

L’altra via è quella di promuovere l’istituto del partenariato. Molte imprese che si lanciano nel mercato BoP rientrano nel campo del “B to B”(Business to Business), dove i clienti non sono i consumatori, ma imprese intermedie che si incaricano di distribuire i loro prodotti. In questo modello, impiegato ad esempio da Lafarge e Essilor, è evidente l’importanza della partnership tra imprese coinvolte. Oltre che tra imprese, è però necessario istituire forme di partenariato con gli attori sociali e le amministrazioni pubbliche, che dispongono di risorse cruciali per aiutare le aziende a perseguire molteplici obiettivi: individuare in modo più preciso bisogni e comportamenti di consumo delle persone alla base della piramide, permettere un accesso mirato a queste persone, dare maggiore legittimità alle imprese private che perseguono un impatto sociale positivo.

Un esempio significativo è il progetto Malin “Je m’alimente bien pour bien grandir” volto a migliorare la nutrizione infantile per i bambini delle famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà (in Francia 1.600 euro di reddito per una coppia con un bambino), lanciato nel 2010 a Nantes, Nancy e nel XIII arrondissement di Parigi grazie alla collaborazione di Danone – per mezzo della filiale Blédina -, Croce Rossa e col sostegno iniziale dell’Haut Commissariat aux Solidarités actives contre la pouvreté e dell’Haut Commisariat à la Jeunesse. Le famiglie selezionate ricevono dei buoni sconto del valore di 5 euro che possono essere spesi per l’acquisto di prodotti Blédina – in particolare latte per l’infanzia – per un ammontare totale che permette loro di coprire il fabbisogno di latte del bambino dai 6 mesi ai 2 anni, e ulteriori sconti del 30% per altri alimenti della stessa marca. Accanto a questi aiuti economici il programma prevede la messa in opera di un percorso educativo personalizzato che comprende l’erogazione di servizi specifici per mamme e bambini. Per coordinare gli attori coinvolti – imprese, associazioni caritatevoli, medici pediatri della Société française de pédiatrie e dell’Association française depédiatrie ambulatoire – è stata creata una struttura giuridica indipendente e ad oggi sono stati attivati dodici partenariati senza alcuna sovvenzione dallo Stato e senza alcun scopo lucrativo per il momento.

L’approccio vincente nei paesi del Nord del mondo sembra quindi quello di concepire i progetti BoP come completamento degli strumenti sociali esistenti e come mezzo per rispondere a bisogni specifici non coperti (accesso all’energia, servizi bancari, ecc.). E’ molto difficile in quest’ottica individuare un confine netto tra l’azione delle imprese, degli attori sociali e di quelli politici e, pertanto, istituire delle forme di partenariato tra questi soggetti può costituire una soluzione efficace per fornire beni e servizi adeguati alle persone più svantaggiate.

 

Riferimenti

Prahalad C.K. (2004), The Fortune at the Bottom of the Pyramid. Eradicating Poverty through Profits, Upper Saddle River, Pearson Prentice Hall

Hart S.L. (2005), Capitalism at the Crossroads. The Unlimited Business Opportunities in Solving the World’s Most Difficult Problems, Upper Saddle River, Pearson Prentice Hall

Karnani A. (2011), Fighting Poverty Together. Rethinking Strategies for Business, Governements, and Civil Society to Reduce Poverty, New York, Palgrave Macmillan

Note d’analyse del Centre d’analyse stratégique

Progetto Malin Je m’alimente bien pour bien grandir