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Continuiamo a seguire gli incontri organizzati dalla Rete Territoriale di Conciliazione di Pavia per formare, informare e sensibilizzare tutti i partecipanti – e potenziali tali – verso l’attività di studio e implementazione di iniziative legate alla conciliazione famiglia-lavoro sul territorio lombardo.

Lo scorso 19 marzo è stata la volta delle imprese, con la lezione intitolata “La Responsabilità Sociale d’Impresa: i perchè e i come”. Dopo aver sentito le testimonianze del mondo accademico, degli enti pubblici territoriali, dei professionisti del settore e dei sindacati, i responsabili delle Risorse Umane di tre grandi aziende operanti in Lombardia sono “saliti in cattedra” per raccontare le loro esperienze aziendali in ambito di welfare e conciliazione dei tempi.

Il primo intervento è stato affidato a Elisabetta Dallavalle, Responsabile Company Welfare del Gruppo Nestlé, azienda leader mondiale nel campo dell’alimentazione che già da tempo ha implementato soluzioni per favorire il work-life balance nelle proprie sedi. La Dallavalle ha sottolineato come, per un’impresa dislocata con 18 sedi in tutto il territorio italiano, sia essenziale lavorare sulla flessibilità a 360 gradi, differenziando le soluzioni a seconda dei territori e delle diverse necessità degli uomini e delle donne che lavorano in Nestlé. Per questo è necessario coinvolgere tutti, attraverso un percorso di sensibilizzazione e “creazione di una nuova cultura”, a partire dai manager dell’azienda e fino ad arrivare a diffondere una più generalizzata “reputazione sociale”, l’utilizzo cioè dell’offerta di welfare e flessibilità quali strumenti per aumentare la competitività dell’azienda. Un meccanismo di “employer branding” finalizzato al retainment delle posizioni chiave e a un più ampio coinvolgimento dei lavoratori.

Come già emerso in occasione di una recente intervista a Elisabetta Dallavalle e Gianluigi Toia, Head of Employee Relations di Nestlè Italia , il welfare per i dipendenti Nestlè si basa sull’analisi dei cicli di vita attraverso l’ascolto dei bisogni, la co-progettazione delle soluzioni e l’attenzione al contesto nazionale e locale, al fine di rendere il più fluido possibile “l’intersecarsi delle generazioni all’interno del gruppo”. Un piano d’azione che include strumenti di flessibilità lavorativa – come il summer part-time, il tele-lavoro e il “lavoro agile” recentemente introdotti insieme ai sindacati – ma anche progetti per la mobilità sostenibile, la salute e la prevenzione, e il sostegno alla famiglia.

Un ambito molto caro alle Risorse Umane di Nestlè Italia, conclude la Dallavalle, è infine la valorizzazione della leadership al femminile, per cercare di colmare quell’ancora oggi profondo gap tra uomini e donne in posizioni di top management trattato all’interno del famoso studio di McKinsey del 2007 “Women Matter”.

E’ stata poi la volta di Alessandro Cavalet, responsabile del programma welfare di Luxottica, che ha raccontato ai partecipanti la nascita del “giovane” sistema di welfare aziendale del gruppo, partito nel 2009 proprio come reazione alla crisi economica che ha colpito non solo l’azienda ma anche e soprattutto i lavoratori e le loro famiglie. E’ stato così costruito in breve tempo un percorso, condiviso con le parti sociali, strutturato nel duplice tentativo di fornire strumenti innovativi e complementari rispetto alle più tradizionali forme di remunerazione, e di favorire la partecipazione attiva dei lavoratori negli stabilimenti.

Nell’arco del 2009 si è arrivati infatti dal protocollo d’intesa all’accordo sulla qualità, definendo insieme ai rappresentanti dei lavoratori quegli indicatori di performance che sono ormai ogni anno alla base delle nuove scelte in ambito di welfare aziendale. Attraverso un percorso di informazione e sensibilizzazione di tutti i lavoratori rispetto ai costi causati dalla “non qualità”, dal carrello della spesa si è arrivati negli anni successivi al rimborso dei libri scolastici per i figli, alle borse di studio, e fino all’assistenza sanitaria, ampliata nuovamente nel 2013 con l’inclusione delle prestazioni di psicoterapia.

Ma la parte più importante, come mostrano i dati di Cavalet, riguarda proprio gli indicatori: da quando il welfare è stato introdotto i risultati sono migliorati in termini di assenteismo, presenza media ai sabati produttivi, ma anche ordine, pulizia e conoscenza delle istruzioni.

Terza testimone d’eccellenza è stata poi Simona Zandonà, Responsabile dei Servizi alla persona e del Benessere Organizzativo di ATM Milano, e neomamma da pochissimo rientrata dalla maternità. Un racconto – con la duplice veste di responsabile e utilizzatrice- del grande impegno della Direzione delle Risorse Umane nei confronti di tutti i lavoratori e delle loro necessità familiari.

Certo, l’attenzione per le mamme è una consuetudine. Ma in un’azienda come ATM, che impiega 8.500 uomini sul totale dei 9.000 dipendenti, si parla anche di paternità: i dipendenti utilizzano infatti 15.000 giornate di paternità ogni anno, approfittando delle condizioni spesso più favorevoli di quelle delle compagne, come l’integrazione del 30% alla maternità/paternità facoltativa.

E, come se non bastasse, ci sono sempre nuove sfide da gestire: l’intercettazione dei bisogni e dei problemi dei dipendenti prima che sfocino in situazioni critiche. Con particolare attenzione a ogni individuo, e l’occhio rivolto non solo alle problematiche di ordine economico ma anche alla salute, all’esclusione sociale, ai problemi di coppia e familiari, e alle nuove dipendenze. Se la competenza manifatturiera è cruciale per l’azienda – come dimostrano gli importanti investimenti in formazione, trasferimento e rinnovo delle competenze, riqualificazione professionale e adeguata formazione tecnica e manageriale –, il sempre più frequente ingresso delle donne in ATM, non solo in ufficio ma anche nei depositi, richiede straordinaria attenzione ai temi della diversità, dell’integrazione, della sensibilizzazione di genere e della convivenza.

A conclusione della mattinata, Greta Giolo dell’Osservatorio Regionale Politiche Sociali ha presentato il progetto “Audit Famiglia&Lavoro” della Regione del Veneto. Si tratta di un percorso di formazione e riconoscimento a livello europeo finalizzato all’ottenimento da parte delle aziende coinvolte del “marchio” creato in Germania e acquisito dalla Regione Veneto, che si occupa della formazione degli auditori e del percorso all’interno delle aziende. L’audit consiste in un colloquio di orientamento, seguito da un workshop strategico con la direzione aziendale per la costituzione del “gruppo guida” interno. Il workshop di attuazione e la dichiarazione d’impegno da parte dell’azienda a valere per i tre anni successivi, precedono la fase di monitoraggio e accompagnamento all’attuazione, che si conclude infine con un re-audit di verifica e certificazione. L’audit comprende sette ambiti di analisi: servizi di supporto alla famiglia, informazione e comunicazione, sviluppo personale, orario di lavoro, processi di lavoro, luogo di lavoro e formazione.

A differenza del simile marchio implementato in Trentino Alto Adige e promosso a livello nazionale dall’allora ministro Giovanardi – precisa la Giolo – questo marchio di origine tedesca è certificato a livello europeo.
Per sapere di più sul progetto, è possibile partecipare al convegno organizzato il prossimo 19 aprile dall’Assessorato ai Servizi Sociali della Regione del Veneto e dall’Osservatorio Regionale Politiche Sociali in collaborazione con il network europeo Elisan.


Riferimenti

Il programma dell’evento

Conciliare vita e lavoro: l’esperienza di Nestlè Italia

McKinsey&Company, 2007, “Women Matter”

La storia del "modello Luxottica": come nasce e cosa prevede

Il progetto “Audit Famiglia&Lavoro” della Regione del Veneto

Il convegno

Il Family Audit del Trentino

 

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