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Dalla conciliazione vita-lavoro alla conciliazione vacanza-lavoro. Data la flessibilità che caratterizza un numero crescente di professioni, sono sempre di più coloro per i quali diventa difficile potersi assentare completamente dal lavoro, così come coloro che scelgono di mantenere la propria occupazione ma di svolgerla altrove, anche solo per un po’. Consapevoli di questa tendenza, le strutture turistiche si sono attrezzate, mettendo a disposizione dei propri ospiti WI-FI e PC, ma il trend sembra andare oltre, con l’avvento del “coworking in vacanza”. Una soluzione che pone nuove riflessioni su che cosa sia il lavoro oggi e su come se ne stiano ridefinendo i confini.

 

Il coworking in vacanza

Un fenomeno in espansione secondo il New York Times, ma di che cosa si tratta? In parole povere parliamo di spazi di coworking analoghi a quelli che iniziamo a vedere sempre più spesso nelle nostre città – con scrivania, attrezzatura da ufficio, connessione wi-fi, ecc. – ma che, oltre all’area ufficio, offrono anche un posto in cui dormire, cucina e spazi comuni dove socializzare con i “colleghi”. Se si fa, ad esempio, una ricerca nel network di Coworking Visa – una mappa che localizza 450 spazi di coworking in tutto il mondo – si nota come un numero crescente di strutture inizi a integrare gli spazi ufficio con l’offerta di un alloggio. Tra i clienti si contano professionisti più atipici, come freelance, bloggers, artisti e designer, ma anche professionisti "tradizionali", come imprenditori, businessmen e architetti.


C’è il coworking “esotico”…

Gli spazi di coworking si possono trovare anche in località esotiche o poco urbanizzate, come gli spazi di Livit a Bali, o il Surf Office di Gran Canaria. Quest’ultimo, situato nei pressi della spiaggia di Las Palmas, offre uno spazio di coworking con attrezzatura da ufficio, alloggio in camera singola o privata, cucina in comune e attività di gruppo con i colleghi – cene, concerti, escursioni, surf – il tutto per 50 euro al giorno. Dopo Gran Canaria e Santa Cruz, il Surf Office aprirà presto due nuove sedi, segno della crescita del settore. Ma ci sono anche soluzioni più accessibili, come il Sun Desk in Marocco, che costa solo 22 euro – i costi, ovviamente, dipendono dalle strutture, dalla location e servizi offerti.


… il coworking fuori porta…

Il coworking in vacanza non è tuttavia un’esclusiva per giramondo, né una tendenza riservata a mete esotiche: questi nuovi spazi si possono trovare anche più vicino, appena fuori città – o nelle città stesse, essendo ogni molte città delle potenziali mete turistiche. Un esempio è il Mutinerie Village, spazio di coworking rurale a meno di due ore da Parigi che offre aree ufficio/sale riunioni, alloggio, servizi condivisi, pranzi a base di prodotti locali e attività nella natura. Questi spazi più “a portata di mano” sono molto adatti per organizzare mini-soggiorni per gruppi di dipendenti e colleghi finalizzati a migliorare il lavoro di squadra, o consentire a quei dipendenti che devono sviluppare particolari progetti di uscire dalla routine quotidiana e lavorare in un contesto che favorisca creatività e concentrazione – una sorta di full immersion nel progetto.


…e il soggiorno di coworking

E poi ci sono i “pacchetti di coworking”, i “coworking camp”, una via di mezzo tra la coworking holiday organizzata e il corso di aggiornamento. Hacker Paradise offre ad esempio soggiorni focalizzati su specifiche materie per artisti, creativi e tech developers che, durante la “vacanza-lavoro” hanno l’opportunità di crescere professionalmente, grazie alla presenza di esperti che tengono workshop e offrono consulenza sui temi di interesse. Settimanalmente, inoltre, i partecipanti raccontano a mentori e colleghi gli sviluppi sui progetti che stanno portando avanti e ricevono feed-back e suggerimenti. Il periodo di soggiorno può variare dalla settimana ai 3 mesi, così da incontrare le esigenze di tutti. Un mese può costare da 400 sterline in camera condivisa a 1000 sterline in camera privata – colazione, cena, SIM card 3G e ufficio con wi-fi inclusi. Dopo il successo dello scorso anno – quando fu scelto come sede un hotel in Costa Rica -, quest’anno vengono proposti tre periodi, ognuno da un mese, in Vietnam, Bali e Thailandia. Anche qui, si aprono spazi di investimento: Coworking Camp, per esempio, permette agli interessati di tenere dei workshop allargati a potenziali clienti e investitori, ed è aperto a nuovi speaker e partner.


Conciliazione, concentrazione, creatività

Il coworking in vacanza è un prodotto diretto della digitalizzazione del lavoro, che sta sempre più slegando il lavoro dall’ufficio, in seguito all’avvento di professioni che per essere svolte richiedono una strumentazione semplice – spesso solo un pc -, non devono essere svolte ad orari prestabiliti o in un luogo fisso. E come il lavoro remoto anche il coworking in vacanza ha vantaggi e svantaggi.

Iniziamo dai vantaggi. Questa pratica può contribuire a trovare l’equilibrio tra vita lavorativa e tempo libero e fuggire dallo stress delle città. “Anche qui lavoro sottopressione, ma è difficile essere stressati quando lavori scalzo al sole, con la vista di una bella risaia appena dietro lo schermo del tuo computer”, racconta una coworker. Lavorare a contatto con persone accumunate dalle stesse necessità e dalla stessa visione sviluppa quello scambio – e quell’innovazione – di idee e progetti che è poi uno dei capisaldi del coworking, beneficio ulteriormente amplificato dal fatto di trovarsi a contatto con persone di nazionalità diverse – sia colleghi che comunità ospitanti.

Inoltre, se “lavorare viaggiando” era fino a poco tempo fa una prerogativa riservata ad alcune professioni – quali agenti di commercio, reporter, tour operator, ecc. – nell’epoca della globalizzazione e dei nomadi digitali, diventa un’opportunità molto più accessibile, come racconta la storia di Simon, professionista del marketing che, grazie al lavoro remoto, ha visitato 21 paesi intanto che faceva crescere la sua impresa. 

Infine, il coworking in vacanza può essere visto come un aiuto per la conciliazione famiglia-lavoro. Sappiamo come in tempi di flessibilità sia diventato difficile fare combaciare le ferie e le esigenze di tutti i componenti del nucleo familiare – “non ci sono più le città vuote ad agosto”, giusto? Grazie a questa forma di coworking si potrebbe evitare di rinunciare del tutto alle vacanze, riservando al lavoro alcune ore della giornata.


Opportunità o trappola? Come ri-definire il confine tra vacanza e lavoro

La prima obiezione al coworking in vacanza è che così facendo si finisce per non andare più in vacanza. Sappiamo che uno degli effetti negativi del lavoro remoto è infatti la perdita di un confine netto tra vita lavorativa e tempo libero, con il continuo sconfinamento dell’una nell’altro, in questo caso fino a sconfinare anche nello spazio della vacanza, tra i cui obiettivi principali vi è invece proprio quello di dimenticare il lavoro. Non a caso si stanno diffondendo i black-hole resort, i resort del “buco nero”, dove non c’è wi-fi, non c’è campo per telefonare e gli oggetti tecnologici sono chiusi in cassaforte. Una soluzione per disintossicarsi dalla tecnologia e, più specificatamente, mettersi al riparo da mail e chiamate di lavoro per dedicarsi completamente allo svago.

E se c’è chi vede nel coworking in vacanza un atteggiamento nocivo da “workaholics” – cioè da dipendenti dal lavoro – c’è invece chi, al contrario, lo addita come una pratica da privilegiati, da professioni che poco hanno fare con il “lavoro vero”. Ma questa è una questione culturale che riguarda più in generale il lavoro remoto, spesso oggetto di pregiudizi derivanti da un sistema del lavoro che, basato sulla “timbratura del cartellino” – cioè su orari fissi e luoghi fissi – , fatica ancora a riconoscere serietà e credibilità a quelle occupazioni svolte fuori dai parametri tradizionali – nonostante lavoro agile e coworing stiano sviluppandosi proprio nelle economie più dinamiche e innovatrici.

Quale che sia l’opinione sul coworking in vacanza, il fenomeno offre spunti interessanti per la definizione di che cosa sia il lavoro oggi. L’uso del termine “coworkation”, che nasce dalla fusione di work (o, meglio, di co-work) e vacation, e l’ossimoro del “lavoro in vacanza” dimostrano infatti come il concetto stesso di lavoro sia oggi messo in discussione e di come sia sempre più complesso affrontare questo tema attraverso gli strumenti su cui ci siamo basati finora.
 

Riferimenti

Co-Working on Vacation: A Desk in Paradise
Tanya Mohn, The New York Times, 19 gennaio 2015

We’re all going on a co-working holiday’ – workaholics welcome
Lauren Razavi, The Guardian, 28 gennaio 2015

Coworking for Travel Bloggers
Deskmag


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