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Abbiamo incontrato a Roma Antonio Silvano Andriani, Presidente del Forum ANIA – Consumatori, per parlare delle attività del Forum e più in generale delle prospettive per il mondo assicurativo nel secondo welfare.

Che cosa è il Forum ANIA – Consumatori? Quando è nato?
Il Forum è una esperienza innovativa – se vogliamo una best practice – di “ concertazione dal basso”. Si tratta infatti di una iniziativa nata non per volontà del Governo ma delle parti sociali, come momento di incontro tra mondo assicurativo e associazioni dei consumatori.
Ed è strutturata, come dovrebbe essere a mio parere ogni forma di concertazione. Si configura come un incontro non episodico ma sistematico, con una struttura organizzativa e un’attività che non si esaurisce nelle riunioni del consiglio generale ma si articola invece in numerose iniziative e progetti. Il Consiglio, fondato nel 2008, è composto da 11 rappresentanti delle compagnie di assicurazione, 8 delle associazioni dei consumatori, 3 soggetti indipendenti e il Presidente.

Perché è stato costituito il Forum?
L’obiettivo principale, comune al settore assicurativo e alle associazioni dei consumatori, è quello di rendere trasparente e comprensibile l’attività assicurativa agli occhi degli assicurati. In secondo luogo, e tenuto conto che si tratta di interessi parzialmente diversi e potenzialmente in conflitto, vogliamo fare in modo che il confronto tra le parti avvenga sempre su una base informativa comune. E’ importante infatti che l’elaborazione dell’informazione venga fatta insieme, così da partire con ogni ragionamento da una conoscenza “socializzata”.

Quali sono le principali aree di intervento?
L’area maggiormente conflittuale rimane quella dell’RC auto, su cui si è concentrata negli scorsi anni molta attenzione. Proprio grazie all’attività congiunta all’interno del Forum è stata elaborata una dichiarazione comune articolata in sette punti con l’obiettivo di rendere le polizze meno costose attraverso la rimozione dei fattori strutturali, come possono essere le frodi, la condizione delle strade, e la tendenza della magistratura a riconoscimenti troppo alti rispetto a quelli di altri paesi.

L’ambito all’interno del quale il Forum ha sviluppato il maggior numero di iniziative riguarda invece la formazione. Per fare sì che i cittadini siano più consapevoli dei rischi sociali, della loro natura e della varietà di risposte a disposizione, attraverso una corretta attività formativa che passa anche attraverso le scuole. Attraverso il progetto “Io e i rischi” (www.ioeirischi.it ) abbiamo già coinvolto 116 scuole, 215 classi, circa 5.000 studenti e 300 professori. Una attività di sensibilizzazione sui temi del rischio, della prevenzione e della mutualità che viene svolta con la produzione e la distribuzione gratuita di materiale didattico ai docenti che ce ne fanno richiesta.

L’ultima area di lavoro di cui vorrei parlare è il welfare. Sono state finanziate due ricerche svolte dal Censis, e la più recente sarà proprio presentata a Roma l’11 dicembre. Abbiamo deciso di concentrarci sulla condizione di alcune categorie di cittadini: gli anziani non autosufficienti, gli extracomunitari e i giovani. Un’iniziativa parallela ha coinvolto poi l’Università Statale di Milano per l’analisi della vulnerabilità delle famiglie italiane, portando alla costituzione di un vero e proprio Osservatorio sulla Vulnerabilità delle famiglie, cui si sono aggiunti con il tempo diversi soggetti. Partecipiamo infine a un ambizioso progetto di ricerca di ambito europeo sulla condizione degli anziani, SHARE – Survey of Health, Ageing and Retirement in Europe.

In che direzione si evolve il rapporto tra settore assicurativo e consumatori? Che risultati avete ottenuto attraverso il Forum?
Per quanto riguarda l’RC auto, una convergenza di vedute tra settore assicurativo e consumatori che ha consentito la presentazione delle nostre proposte anche a esponenti delle istituzioni. Il valore aggiunto della nostra proposta è che non si tratta di una visione di parte ma di una elaborazione concertata tra rappresentanti di assicuratori e consumatori, e dovrebbe quindi essere presa seriamente in considerazione dal Governo.

La “concertazione dal basso”, che può aiutare le istituzioni a raggiungere delle soluzioni, ha funzionato anche nell’ambito della conciliazione. Abbiamo infatti messo in moto un meccanismo di conciliazione alternativo in caso di sinistri, secondo una procedura che coinvolge compagnie assicurative e associazioni dei consumatori e potrebbe essere utile in termini di costi e tempi.

Come continuerà il lavoro del Forum?
Sulla formazione intendiamo allargare la platea, in termini di numero di studenti, tipi di istituti e fasce d’età. Questo naturalmente richiederà un lavoro di adattamento degli strumenti divulgativi e di sviluppo di linguaggi appropriati.

Per arrivare al welfare, lo sforzo che faremo in futuro è cruciale. Quello di passare dalla fase di analisi – che chiaramente continueremo a finanziare e promuovere – a quella di elaborazione e proposta, come già accaduto nel caso dell’RC auto. Proprio per questo ci sarà un incremento delle attività dell’Osservatorio, che è diventato più strutturato e ha recentemente accolto nuovi soggetti partecipanti come il Forum delle Associazioni Familiari e l’ASP Poveri Vergognosi di Bologna.
Il lavoro svolto rispetto alla vulnerabilità delle famiglie ha posto l’accento in particolare sulla condizione di alcuni gruppi di cittadini – come i giovani, gli anziani e gli extracomunitari – su cui vogliamo continuare a impegnarci. Per questo ci siamo anche inseriti in una attività che l’ABI porta avanti da tempo sull’inclusione finanziaria degli extracomunitari, che ha portato all’istituzione di un vero e proprio osservatorio. Nella ricerca, partiremo dal confronto tra Italia e gli altri paesi per approfondire gli aspetti sanitario e previdenziale, con un occhio di riguardo per il tema del Long-Term Care.

Da dove nasce l’impegno del Forum verso i temi del welfare?
Crediamo che continuare a studiare i fenomeni sociali sia fondamentale. Ci troviamo in un momento particolare, in cui i bisogni dei cittadini si modificano molto velocemente. Le stesse analisi del Censis mostrano chiaramente come la situazione sia, nell’arco di due anni, notevolmente cambiata in termini di percezione dei rischi da parte della popolazione.

Quali obiettivi finali perseguite?

Come dicevo, lo sforzo è quello di tradurre la conoscenza in proposte, sempre sfruttando il meccanismo di concertazione “dal basso” e partendo dall’idea che l’emergere dei nuovi rischi sociali e la situazione demografica lascino spazio per la costituzione di un welfare mix. Un nuovo assetto che offre certamente opportunità al settore privato, ma non può che definirsi attraverso nuove politiche.

Cosa “manca” all’Italia per raggiungere i paesi europei?
Come Forum studiamo la popolazione e i suoi bisogni proprio per capire perché paesi che hanno un welfare pubblico non inferiore al nostro presentano livelli di copertura assicurativa maggiori. Credo che la sfida più importante oggi sia il cambiamento culturale. Non solo all’interno dell’opinione pubblica – nel modo di pensare della gente – ma anche in termini di elaborazione delle politiche. Non dimentichiamo che il welfare è nato da un grande dibattito culturale svoltosi nella prima metà del ‘900, ed ha a mio parere necessità di essere “aggiornato” ai bisogni di oggi.

Più compartecipazione e meno assistenzialismo?

Non necessariamente. I paesi scandinavi conservano ancora adesso un welfare avanzato ed efficiente, combinandolo con alti livelli di produttività. Anche da loro si è dovuto però a un certo punto ripensare il sistema. Le faccio tuttavia notare che in quei paesi il fattore culturale è fondamentale: i cittadini pagano le tasse, e lo Stato fa fronte alle responsabilità.

Quale è dunque il modello di “welfare sostenibile”?
Non abbiamo ancora una risposta, ma ci impegniamo in progetti di ricerca per capire quello che avviene non solo nel nostro paese, ma anche negli altri. Le esperienze estere ci insegnano che le soluzioni esistono. Per esempio, senza arrivare all’eccesso della Germania, in cui assicurarsi per la non autosufficienza è ormai obbligatorio, anche da noi ci sono esempi come il settore assicurativo e quello bancario, in cui la copertura è stata inserita all’interno del contratto collettivo. Potemmo anche immaginare polizze sanitarie integrative in cui sia presente la tutela Long-Term Care.

Come si possono muovere le assicurazioni all’interno del “welfare sostenibile”?
Ci sono notevoli prospettive per il settore assicurativo nel “nuovo welfare”, ma – ribadisco – il fattore culturale e l’eccessivo familismo italiano non aiutano a far percepire alla popolazione i rischi reali in cui potrebbe incorrere. Il meccanismo assicurativo è anch’esso “welfaristico” nel senso che socializza i rischi, e per questo vedo spazi nel settore sanitario come nella previdenza. Essi non possono tuttavia prescindere da una seria riflessione sul ruolo della componente pubblica, e sul suo rapporto con quella emergente privata.

In che modo il settore assicurativo può contribuire allo sviluppo di questo welfare?

Specialmente in un paese come l’Italia, dove funziona quasi un’unica forma di controllo, quello ex-post da parte della magistratura, una attività di controllo da parte delle assicurazioni potrebbe risultare molto utile, come stimolo alternativo e non certo in sostituzione del controllo amministrativo. La tecnica assicurativa si basa sullo studio dei fenomeni ed è quindi un buon strumento di analisi e valutazione dei rischi. Il ruolo sociale del settore assicurativo consiste anche nel mettere il know-how a disposizione della collettività.
Il flusso finanziario che arriva dalle polizze assicurative può essere infine una leva per riformare l’erogazione dei servizi. Passare ad esempio dall’attuale situazione delle badanti a un servizio più istituzionalizzato e che coinvolga i diversi soggetti sociali.

Il secondo welfare si basa sull’idea di co-progettazione e governance condivisa. Lei come valuta la nascita di partnership?
Si tratta certamente di un elemento essenziale per lo sviluppo di soluzioni innovative. Le faccio un esempio. Nell’ambito del LTC alcune compagnie hanno di recente iniziato a proporre polizze, e sorprendentemente c’è un buon numero di giovani che aderisce. Quello che però le assicurazioni possono fare è assicurare il flusso di denaro nell’eventualità che la situazione si determini, ma certamente non sono in grado di assicurare i servizi. In questo caso accordi con associazioni non-profit, sia cattoliche che laiche, possono essere un tentativo di dare una risposta più ampia al problema della non autosufficienza.

E rispetto al mondo aziendale, quali prospettive vede?
Ci sono ottime possibilità di espansione in questa area, come infatti dimostra l’inserimento della polizza LTC nell’accordo collettivo del settore assicurativo. E’ chiaro che la via contrattuale rimane importantissima per lo sviluppo di queste tutele. Un esempio è il fondo nazionale del commercio Fondo Est e quelli dei settori chimico e bancario.
Non vedo però una particolare attenzione per queste forme collettive come leva per migliorare la qualità del servizio sanitario. Pensiamo ad esempio a una tariffazione diversa per chi si impegna a sottoporsi a controlli e prevenzione periodica, oppure incentivare le imprese all’utilizzo di macchinari più avanzati. L’opportunità di migliorare la qualità e incentivare comportamenti virtuosi è a mio parere una grande sfida.
E aggiungiamo poi che non è chiaro come questi sistemi vengano gestiti. Le compagnie assicurative hanno il know-how per gestire al meglio i fondi, che spesso sono autogestiti dalle categorie e privi di reale controllo. Il campo ha potenzialità di sviluppo se si decide di amministrare con più efficienza e trasparenza la gestione, il controllo e i meccanismi di assegnazione.

Quale è il rapporto tra assicurazioni e Stato? Cosa chiede il settore assicurativo alle istituzioni?

La legislazione può senza dubbio favorire il cambiamento culturale. Per quanto riguarda l’RC auto, siamo già arrivati alla formulazione di sette proposte elaborate all’interno del Forum e presentate pubblicamente. Abbiamo anche valutato in che misura queste rientrino nelle leggi recentemente emanate dal Governo, e torneremo alla carica con le Istituzioni per promuoverle.

Rispetto al welfare, l’obiettivo è lo stesso. Passare dalla fase di conoscenza e studio del tema, per arrivare a soluzioni condivise che aprano la fase propositiva. La speranza è che la leva collettiva venga usata per migliorare il sistema di offerta dei servizi. Penso che nelle esperienze fatte contrattualmente fino a ora, in sanità ma anche sul piano della previdenza, la potenziale portata innovativa non sia stata adeguatamente utilizzata. I fondi pensione potrebbero, come del resto succede all’estero, assumere un atteggiamento di “proprietà attiva”, in cui i beneficiari intervengono attivamente come azionisti nelle scelte di investimento.

Quale è il rapporto invece con le parti sociali?
L’accordo con le parti sociali, dimostrato innanzitutto dall’esperienza del Forum, non solo è possibile, ma costituisce anche una leva preziosa per favorire il cambiamento culturale all’interno del Paese. Alcune delle associazioni dei consumatori coinvolte sono fortemente collegate alle organizzazioni sindacali, e portano al tavolo anche quel tipo di sensibilità. Una più intensa vocalizzazione del tema del welfare certamente richiederà il dialogo e il confronto anche con queste ultime.

Riferimenti

Il sito del Forum ANIA – Consumatori

Le sette proposte del Forum finalizzate al contenimento dei costi e dei prezzi della rc auto

Il sito del progetto “Io e i rischi”

Il sito della ricerca “Share”

Osservatorio su vulnerabilità e benessere delle famiglie italiane

Forum delle Associazioni Familiari

Associazione Poveri Vergognosi di Bologna

Fondo nazionale del commercio Fondo Est

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