Nonostante l’impatto crescente che la non autosufficienza sta producendo ed è destinata a determinare su cittadini e nuclei familiari, in Italia risultano ancora scarsamente diffuse misure private di Long Term Care (LTC) diverse dalla spesa diretta delle famiglie. Quali stimoli potrebbe mettere in campo il mondo assicurativo per favorire impieghi delle risorse private alternativi e più efficienti?

Si stima che le famiglie italiane, spesso erodendo i propri risparmi, spendano ogni anno circa 10 miliardi di euro per esigenze correlate alla non autosufficienza (si pensi alle spese per le assistenti familiari). In questo quadro fatica ad affermarsi la percezione della convenienza di forme di tutela di lungo periodo e appare bassa la propensione delle famiglie a corrispondere un contributo periodico e fisso per garantirsi dalle conseguenze future dell’invecchiamento e della non autosufficienza, che stenta ad essere riconosciuta – sia a livello privato sia a livello pubblico – come vero e proprio “rischio sociale”. La polizza LTC si distingue dalle garanzie per infortuni o malattia per il fatto di assicurare una somma (un indennizzo, un capitale o una rendita) o dei servizi quando l’assicurato non sia più in grado di svolgere in modo autonomo una o più delle attività della vita quotidiana: ciò indipendentemente dal fatto che tale inabilità sia la conseguenza di un infortunio, una malattia o dell’anzianità stessa.

In assenza di un obbligo assicurativo imposto per legge (come in Germania), in Italia il ramo LTC intercetta volumi di risorse che, sebbene in crescita, restano modesti. Una delle possibili leve per l’estensione della copertura assicurativa integrativa contro il rischio della non autosufficienza potrebbe risiedere nella detassazione, introdotta dalla Legge di Stabilità 2017, dei contributi e premi versati alle polizze LTC dai datori di lavoro a favore dei dipendenti. La strada contrattuale, facilitando l’attivazione di forme di copertura ad adesione collettiva, consentirebbe una ripartizione del rischio con indubbi vantaggi in termini di abbassamento dei costi di accesso alla copertura e di estensione delle platee di soggetti assicurati (lavoratori e familiari). Ovviamente, quanto prima i lavoratori cominciassero a versare, tanto minore sarebbe l’importo necessario: un recente studio stima in circa 170 euro annui il premio per chi inizi a contribuire all’età di 30 anni.

Oltre che nella bassa percezione di un rischio avvertito dai singoli come remoto nel tempo, vi sono due elementi che non facilitano simili sviluppi. In primo luogo, la mancanza di una definizione consolidata e condivisa di “non autosufficienza” e dei relativi criteri di valutazione, con i conseguenti rischi di mancanza di coordinamento fra interventi pubblici (l’indennità di accompagnamento in primis) e integrazioni private, e di difficile comparabilità, da parte dei potenziali beneficiari, delle proposte assicurative. In secondo luogo, il collegamento degli incentivi fiscali al reddito da lavoro dipendente, condizione che – aggravata dall’assenza di vincoli per le imprese assicuratrici ad estendere la copertura assicurativa oltre il pensionamento – di norma fa venir meno la tutela al momento della quiescenza, quando il rischio di incorrere nello stato di non autosufficienza diventa maggiore. Una revisione del quadro normativo e un più convinto impegno delle parti sociali su questo fronte nell’ambito della contrattazione potrebbero certo contribuire alla messa in campo di nuove risposte ai bisogni legati all’invecchiamento.

Una sintesi di questo articolo è stata pubblicata su Il Sole 24 Ore del 23 ottobre 2018, con il titolo "Nuove regole per favorire la tutela LTC"; è qui riprodotto – in versione completa – previo consenso degli autori.