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E’ stata pubblicata pochi giorni fa la Sesta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale della Commissione europea, che analizza lo stato della coesione dell’Unione e mette in evidenza le sfide cui devono far fronte le autorità nazionali, regionali e locali per superare le difficoltà poste dalla crisi economica e finanziaria. Sebbene la recente crisi economica abbia ampliato le disparità regionali in termini di crescita, i dati nazionali e le proiezioni indicano un’inversione di tendenza grazie agli investimenti nell’ambito della politica di coesione più mirati. La politica di coesione starebbe infatti attenuando la drastica riduzione degli investimenti pubblici, iniettando risorse finanziarie indispensabili in molti Stati membri, e creando la stabilità necessaria ad attrarre gli investimenti privati.

 

Alcuni dati

Un cittadino europeo su quattro vive in un’area dove il PIL pro capite è inferiore del 75% alla media europea (Figura 1). Queste aree sono situate perlopiù nell’Europa dell’est, ma anche in Grecia, Italia meridionale, Portogallo e nella maggior parte dei territori situati ai bordi dell’Unione. Se le disparità territoriali avevano iniziato a colmarsi tra il 2000 e il 2008, lo scoppio della crisi nel 2008 ha provocato un nuovo ampliamento di questo gap. Per quanto riguarda il nostro paese, si riscontra un’altissima variabilità, con un PIL pro capite che raggiunge livelli piuttosto alti in Emilia Romagna, Lombardia, Valle d’Aosta e Provincia di Bolzano, ma che cala progressivamente fino a raggiungere livelli molto bassi nel Meridione, facendo dell’Italia il Paese con la più alta variabilità interna.

Figura 1- GDP pro capite, 2011

Fonte: Sixth Report on Economic, Social and Territorial Cohesion (European Commission, 2014).

Tra il 2008 e il 2010 il numero di cittadini europei a rischio povertà ed esclusione sociale è salito del 24,8%. La strategia Europe 2020 mira a ridurre il numero di persone a rischio povertà ed esclusione sociale di 20 milioni rispetto al 2010, cioè di circa il 19% della popolazione totale. Già nel 2012, la maggior parte delle regioni del Nord, Paesi Bassi, Germania, Francia e alcuni territori di Spagna, Italia, Slovenia e Belgio avevano raggiunto questo obiettivo (Figura 2). Nelle regioni meno sviluppate invece – tra cui Italia, Spagna, Ungheria e Bulgaria – i territori più poveri sono lontani di più di 14 punti dal target nazionale 2020, il che suggerisce che forse in queste aree le politiche di coesione dovrebbero prevedere misure più significative sul fronte povertà ed esclusione sociale. Anche in questo caso l’Italia conferma la sua eterogeneità territoriale, con un rischio povertà che cresce progressivamente scendendo verso Sud.

Figura 2 – Popolazione a rischio povertà ed esclusione sociale, 2012


Fonte: Sixth Report on Economic, Social and Territorial Cohesion (European Commission, 2014).

Se l’aumento della disoccupazione è abbastanza generalizzato, ci sono Paesi come Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda, dove esso è stato particolarmente rapido e drastico, superando in molti casi il tasso del 18% (Figura 3). Si tratta di un fenomeno che colpisce prevalentemente i giovani in modo abbastanza indifferenziato in tutti i paesi ad esclusione della Germania, una vera e propria mosca bianca. Per quanto riguarda le differenze di genere, il tasso di occupazione femminile è ovunque più basso di quello maschile – solo in due regioni della Finlandia (Aland e Etela-Suomi) i livelli sono quasi uguali. Le differenze maggiori si rilevano nel Sud Europa, in particolare a Malta, dove la differenza raggiunge 32 punti percentuali, Grecia, Italia meridionale, e parte della penisola iberica. Sarà quindi difficile, se non impossibile, raggiungere gli obiettivi prefissati dalla strategia 2020. Il persistere di questa larga forbice si deve soprattutto alle opportunità di lavoro, ai salari offerti e alla disponibilità di servizi di cura per anziani e bambini, che ancora gravano sulle spalle delle donne europee.

Figura 3 – Variazione del tasso di disoccupazione tra il 2008 e il 2013

Fonte: Sixth Report on Economic, Social and Territorial Cohesion (European Commission, 2014).

Un fattore determinante per favorire l’innovazione, la ripresa economica e miglioramenti nel welfare sociale, è l’istruzione. Esiste, infatti, una forte correlazione tra i livelli di istruzione della forza lavoro di una regione e il suo livello di reddito medio, così come tra livelli alti di istruzione e basso rischio disoccupazione. Anche in questo caso però permangono alte disparità, soprattutto per quanto riguarda l’istruzione terziaria (Figura 4). Solo nel 10% delle regioni europee la percentuale di laureati sul totale della popolazione supera il 40% – l’obiettivo 2020 è il 40% della popolazione tra 30 e 34 anni -, raggiungendo le quote maggiori nelle aree circostanti le capitali. Al contrario, la percentuale scende sotto il 15% in 15 regioni, principalmente localizzate in Italia e Romania.

Figura 4 – Popolazione tra i 25 e i 64 anni con istruzione di terzo livello, 2013

Fonte: Sixth Report on Economic, Social and Territorial Cohesion (European Commission, 2014).

Infine, un dato interessante a proposito dell’innovazione. Considerando che l’innovazione, spesso frutto dell’istruzione e dell’investimento in capitale umano, è una delle variabili che più influisce sulla prosperità dell’economia, è interessante confrontare il numero di richieste di brevetti in Europa e Usa (Figura 5). Tra il 2008 e 2009, sono stati presentati all’European Patent Office (EPO) circa 135 brevetti per milione di persone, contro i 408 statunitensi – dove c’è però anche una maggiore abitudine in questo senso. Sebbene in entrambi i casi si riscontri grande variabilità territoriale, il numero europeo è in generale molto più basso e solo in rari casi – perlopiù in Europa centro-settentrionale – può essere considerato indice di un sistema produttivo di avanguardia e al passo con l’economia globale.

Figura 5 – Brevetti presentati in Europa (2008-2009) e Stati Uniti (2011-2012)

Fonte: Sixth Report on Economic, Social and Territorial Cohesion (European Commission, 2014).


La politica di coesione, un volano per i Paesi?

Secondo quanto indicato nel rapporto – nonostante le difficoltà indicate e le contestualizzazioni necessarie -, la politica di coesione dell’UE sta rispettando gli obiettivi di crescita della strategia Europa 2020, creando posti di lavoro e riducendo le disparità in tutta Europa. I risultati concreti si possono evincere dagli investimenti effettuati nell’ambito della politica di coesione dell’UE nel periodo 2007-2013: i dati finora disponibili (fino alla fine del 2012) testimoniano la creazione di circa 600.000 nuovi posti di lavoro, il sostegno a 80.000 nuove imprese, l’accesso alla banda larga per 5 milioni di cittadini e un miglior approvvigionamento di acqua potabile per 3,3 milioni di persone. Inoltre 5,7 milioni di persone in cerca di lavoro hanno ottenuto un aiuto per accedere al mondo del lavoro, mentre altri 8,6 milioni di persone, grazie al sostegno, hanno ottenuto le qualifiche necessarie.

Certo, la situazione non è risolta, come dimostrano i dati. Come ha spiegato il commissario per la Politica regionale “la crisi ha lasciato il segno in molte regioni e città. Le disparità permangono e vi è ancora molto da fare. Questi fondi devono essere spesi saggiamente per garantire i migliori risultati, soprattutto nelle regioni e nelle città dove le necessità sono più urgenti”. La relazione dimostrerebbe quindi come la politica di coesione sia diventata “uno strumento moderno e flessibile per affrontare le diverse sfide poste all’Europa. È lo strumento d’investimento dell’Europa: sensibile alla crisi ma strategico in quanto volano di crescita e fonte di posti di lavoro oltremodo necessari”.

László Andor, commissario UE responsabile per l’occupazione, gli affari sociali e l’integrazione, ha spiegato che: "La Sesta relazione sulla coesione offre una visione approfondita del valore aggiunto della politica di coesione dell’UE: una fonte essenziale d’investimento in crescita economica e progresso sociale nei 28 Stati membri. Il Fondo sociale europeo ad esempio rappresenta quasi un quarto della politica di coesione ed è uno strumento chiave dell’UE per investire in competenze e opportunità. Il FSE sostiene gli investimenti nei settori dell’occupazione, dell’inclusione sociale e dell’istruzione, ma anche nella buona governance e nella riforma della pubblica amministrazione. La relazione sulla coesione giunge in un momento importante, ossia quando gli accordi di partenariato con i singoli Stati membri per il periodo di programmazione 2014-2020 sono in corso di adozione e i programmi operativi sono in corso di negoziazione. Essa offre un’immagine precisa di dove ci troviamo e di ciò che resta da fare per tradurre il bilancio 2014-2020 in progetti concreti".

L’Unione Europea interverrebbe, quindi, là dove gli Stati da soli non ce la fanno, mettendo in circolo risorse che possano innescare un circolo virtuoso nei singoli paesi e di riflesso, in tutta Europa. A questo fine è però necessario perseguire forme più efficenti di governance, senza la quale non si possono raggiungere né elevati tassi di crescita né la convergenza economica regionale. Si continuerà quindi a sviluppare la capacità amministrativa degli Stati membri – sebbene sia migliorata ovunque in Europa -, così come si continuerà a formare e sostenere il personale per garantire un uso più efficiente e redditizio del denaro dei contribuenti europei.

Gli obiettivi futuri

Guardando al prossimo periodo 2014-2020 la relazione spiega che gli investimenti saranno concentrati sui settori fondamentali quali l’efficienza energetica e le energie rinnovabili – per cui saranno disponibili più di 38 miliardi di euro a fronte di 16,6 miliardi di euro investiti nell’economia a basse emissioni di carbonio nel periodo 2007‑2013 –, l’innovazione e la competitività delle PMI, con un sostegno che raggiungerà i 33 miliardi di euro (ossia con un aumento di quasi 10 miliardi di euro). Oltre 80 miliardi di euro saranno invece investiti in capitale umano mediante il Fondo sociale europeo e l’iniziativa per l’occupazione giovanile, al fine di migliorare i livelli di occupazione e inclusione sociale. Sebbene le città siano identificate come i motori dell’innovazione e della crescita, è nelle città che, rispetto ad altre zone, si soffre maggiormente per la crisi in termini di perdita di posti di lavoro. Gli abitanti delle città sono più esposti al rischio povertà ed esclusione sociale in molti Stati membri. Anche per questo motivo le nuove regole della politica di coesione prevedono che almeno il 20% del Fondo sociale europeo sia investito nel rafforzamento dell’inclusione sociale e nella lotta contro la povertà.

La Commissione sta inoltre inaugurando una piattaforma aperta di dati relativi alla politica di coesione per promuovere una maggiore attenzione ai risultati, aumentare la trasparenza e favorire il dibattito sui risultati dei finanziamenti erogati nell’ambito della politica di coesione. Collegandosi al sito si possono esaminare i dati della relazione per mezzo di una serie di mappe e grafici interattivi e si possono presentare eventuali osservazioni.

 

Riferimenti

Sixth Report on Economic, Social and Territorial Cohesion "Investment for jobs and growth: Promoting development and good governance in EU regions and cities", European Commission, luglio 2014

Cohesion Policy Open Data Website

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