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Com’è cambiata l’Europa con la crisi e l’austerità? Qual è stato l’impatto sui diritti fondamentali? Prova a rispondere a questa domanda un rapporto del Parlamento europeo redatto per la Commissione Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni. Il documento esamina come e quanto i diritti fondamentali siano stati messi alla prova dalla crisi in sette Stati membri: Belgio, Cipro, Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna. L’impatto delle misure è analizzato nei settori dell’istruzione, salute, lavoro, pensione, accesso alla giustizia e libertà di espressione, in relazione ai tagli alla spesa pubblica. Questi i risultati principali in materia di salute, istruzione e lavoro

 

Salute, quale futuro?

Già negli anni precedenti la crisi il diritto alla salute rappresentava una questione spinosa per la maggior parte dei sistemi nazionali, spesso incapaci di assicurare l’accesso alle prestazione sanitarie a tutti i cittadini, nonostante sistemi anche molto costosi. Tutti i Paesi analizzati, quindi, hanno introdotto negli ultimi anni processi di riforma che tuttavia – in particolare in alcuni casi, come Cipro e Grecia – hanno finito per compromettere ulteriormente il diritto alla salute.

Al fine di contenere i costi, i Paesi analizzati hanno provveduto a circoscrivere i criteri di accesso alle cure mediche e introdurre – o aumentare – la compartecipazione economica degli utenti: a Cipro, in Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, sono state introdotte quote di partecipazione per alcuni servizi, come l’assistenza primaria, prestazioni specialistiche ambulatoriali, esami di laboratorio, trasporto sanitario non di emergenza e visite d’emergenza. Inoltre, si sono riorganizzati i servizi sanitari e la gestione del personale: in Spagna sono state decretate riduzioni del numero dei posti letto in ospedale; in Italia, le Regioni sono state incaricate di ridurre il numero di letti ospedalieri da 4 a 3,7 per mille abitanti; in Portogallo è stato ridotto il personale di gestione ospedaliero e in Irlanda è stato tagliato il numero dei posti letto delle case di cura.

L’impatto congiunto di tutte queste misure starebbe quindi compromettendo il diritto alla salute determinando meno servizi, costi aggiuntivi per i cittadini, calo della prevenzione e prolungamento dei tempi di attesa. Parallelamente, a fronte della contrazione dell’offerta sanitaria pubblica, si assiste all’incremento dell’offerta sanitaria non pubblica (offerta da privati o ONG).

I tagli alla spesa pubblica sanitaria stanno colpendo soprattutto persone con redditi bassi – in Grecia, ad esempio, un numero crescente di disoccupati e lavoratori autonomi non in grado di pagare i propri contributi sociali non sono coperti da assicurazione sanitaria pubblica -, anziani, donne e famiglie con disabili.

 

L’impatto dei tagli sull’istruzione

Lo studio analizza anche l’impatto della crisi sul diritto all’istruzione (intesa come scuola dell’obbligo), che è garantito per legge in tutti i Paesi osservati. L’impatto delle misure messe in atto non può essere pienamente valutato, ma quanto emerso finora indica il rischio del calo della qualità complessiva dell’istruzione, l’aumento dei disoccupati del settore e il deperimento delle condizioni igieniche e strutturali degli spazi scolastici.

In tutti i Paesi, ad esclusione del Belgio, sono stati fatti tagli significativi alle risorse umane, frutto della combinazione della contrazione degli stipendi e del calo del personale mediante cessazione o congelamento del nuovo impiego. Il numero di studenti per classe è quindi aumentato, così come il numero di ore di lavoro per gli insegnati – cresciuto in Italia, Portogallo e Spagna -, mentre a Cipro sono state abolite le ore di formazione per i docenti.

Oltre al costo del personale, sono stati ridotti alcuni costi amministrativi. In Italia, lo staff tecnico ed ausiliario nelle scuole è stato ridotto del 17%, in Grecia sono stati aboliti i vigilanti scolastici. I tagli si riflettono anche sui servizi: in alcune aree dell’Italia si registra la diminuzione negli standard d’igiene, numerose scuole greche si dichiarano incapaci di sostenere i costi operativi essenziali come il riscaldamento. A Cipro e in Irlanda sono aumentati i costi di trasporto, mettendo in difficoltà le famiglie.

Tuttavia, sono state parallelamente introdotte alcune misure volte a alleviare l’impatto della spending review: a Cipro, il Ministero dell’Istruzione ha intrapreso un’iniziativa cofinanziata col settore privato per assicurare pasti gratuiti ai bambini più poveri; in Irlanda è stato introdotto un nuovo sistema per assicurare un adeguato rapporto nel numero insegnanti-alunni, oltre che agevolare l’acquisto dei libri.

 

Lavoro: il rischio dei "working poor"

E’ evidente che la crisi economica e la conseguente perdita di posti di lavoro inficia di per sé questo diritto, riducendo le opportunità di impiego. Ma il diritto al lavoro viene qui inteso come il diritto non solo di essere occupato, ma di esserlo in condizioni giuste.

Tutti i sette analizzati Paesi hanno intrapreso interventi significativi in materia di lavoro, alcuni dei quali diretti a favorire flessibilità e licenziamenti per le imprese, altri ad alleviarne gli effetti negativi sulle condizioni reddituali dei lavoratori e a migliorarne l’occupabilità (job placement, incentivi alle assunzioni, ecc.).

Alcune misure, come il blocco delle assunzioni nel settore pubblico, hanno portato direttamente ad un calo nei posti di lavoro – restrizioni occupazionali nel settore pubblico sono state introdotte a Cipro, in Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna – altre hanno portato ad un calo della stabilità del lavoro, con la facilitazione dei licenziamenti: Grecia, Portogallo e Spagna hanno reso più agevoli i licenziamenti collettivi, l’Italia ha ridotto le possibilità di reintegro obbligatorio dopo contenzioso col datore di lavoro.

Una questione molto seria riguarda la contrazione dei salari, che rischia di aumentare significativamente il fenomeno dei working poor. Sebbene con differenze tra i singoli Paesi, complessivamente sono stati fatti tagli agli stipendi, sono stati bloccati gli additional payments (in particolare in Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo sono state ridotte le integrazioni salariali come le indennità di vacanza) e congelati i salari. In Spagna, nel settore privato, dal 2009 il salario orario è sceso dell’1,8% su base annua. In Grecia, tra gennaio 2010 e gennaio 2013, il salario dei dipendenti pubblici è sceso in media di oltre il 25%, le assunzioni nel pubblico impiego sono state bloccate e il lavoro è stato sostanzialmente deregolamentato. Al contempo, nel settore privato, i salari sono scesi di più del 15% nel 2013 e si prevede caleranno ulteriormente. In Italia, nonostante le riforme, la flessibilità continua a rappresentare una trappola che blocca in uno stato di perenne insicurezza lavorativa i lavoratori che entrano nel mercato del lavoro con contratti atipici. Infatti, dalla riforma del 2012 si è registrato un aumento dell’11% del licenziamento dei lavoratori. Di coloro che sono stati assunti, circa due terzi lo sono stati con contratti a tempo determinato e meno di un quinto con contratti a tempo determinato. Solo il 5% dei contratti a tempo determinato ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato, per contro, il 22% ha un contratto “inferiore” a quello determinato. L’uso del contratto di apprendistato si è rivelato molto limitato (2,5%).

Infine, in tutta l’Unione Europea nel 2014 i lavoratori non dipendenti sono stati più di 30 milioni, un numero tale da indurre il Parlamento Europeo ad adottare una risoluzione per assicurare protezione sociale per tutti, compresi i lavoratori autonomi. In alcuni paesi sono stati introdotti incentivi per favorire il lavoro autonomo, come lo Start Your Own Business Scheme irlandese che supporta l’autoimprenditorialità e le piccole e medie imprese. In Spagna i giovani lavoratori under 30 e le donne under 35 possono chiedere la piena capitalizzazione (pari a un anno) dei sussidi di disoccupazione per aprire un’attività imprenditoriale e contare sulla riduzione dei contributi da versare. In Italia si sta lavorando su meccansimi volti a ridurre l’uso fraudolento di lavoratori autonomi ma di fatto dipendenti (le cosiddette “finte partite iva”).

Chi sono i più penalizzati? In primo luogo le donne, complici i costi dei servizi di welfare – ad esempio per la cura dei bambini -; i giovani, colpiti dalla crisi in modo sproporzionato, i disabili, i lavoratori con basse qualifiche e i migranti, cioè le categorie più vulnerabili, già penalizzate prima della crisi.

Numeri alla mano, il rischio è che i tagli alla spesa pubblica, se non accompagnati da adeguate riforme nelle politiche pubbliche e da strumenti di welfare integrati, non siano più in grado di offrire protezione sociale ai cittadini, soprattutto a quelli più vulnerabili, e di assicurare l’accesso universale ai diritti sociali.

 

Riferimenti

The impact of the crisis on fundamental rights across Member States of the UE. Comparative analysis, Study for the LIBE Commettee, European Parliament 2015

 

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