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L’emergere di nuovi bisogni e la crescita della domanda di prestazioni e tutele sociali ha determinato negli ultimi anni una trasformazione quantitativa e qualitativa del fenomeno povertà. In Europa, oggi, 123 milioni di persone (il 24,5% della popolazione) sono a rischio povertà. I Paesi membri si sono impegnati a diminuire il numero delle persone povere portandolo a 94,4 milioni entro il 2020, ma fino ad ora gli indicatori sembrano mostrare un aumento piuttosto che una riduzione (si veda il Rapporto Caritas Europa 2014). I minori a rischio povertà sono più di uno su quattro, pari a circa 27 milioni nei Paesi membri (in Italia sono pari al 33,8%) e tra il 2008 e il 2012 i minori in condizioni di povertà sono cresciuti di oltre un milione (Database Eurostat). Contestualmente la povertà ha cambiato volto: con la crisi sono più esposti al rischio di esclusione sociale i minori e i giovani (oltre che gli anziani); le famiglie con due figli (e non tre come in passato); i working poor (a dire che il lavoro non mette più al riparo da questo rischio). La povertà è poi sempre più diffusa nelle regioni del Nord (oltre ad essere cresciuta al Sud) ed è connessa alla perdita della casa e all’incapacità di pagare affitto e mutui mentre un tempo si annidava principalmente dove le condizioni abitative erano degradate e prevaleva un contesto di forte deprivazione materiale. Dati e analisi concordano sul fatto che il rischio povertà è più alto se le famiglie sono monoreddito e/o monogenitore e tanto più se sono scarsi i sussidi legati alla presenza di figli. Ad essere più colpiti dalla povertà sono le persone con bassi livelli di istruzione e i giovani, anche in connessione alla forte crescita dei Neet, persone tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non sono inseriti in un percorso di istruzione o formazione (stiamo parlando per l’Italia di oltre il 22% dei giovani).

Fattori di rischio per l’esclusione sociale sono inoltre identificati nei cambiamenti demografici e delle strutture familiari, che mettono a repentaglio anche le "capacità di welfare" del principale ammortizzatore sociale italiano: la famiglia. L’allungamento dell’aspettativa di vita media ha implicazioni, oltre che sui bisogni assistenziali, sulla distribuzione degli oneri di cura: combinato al prolungamento dell’età delle donne primipare, questo elemento contribuisce all’incremento di quella fetta della popolazione schiacciata contemporaneamente tra la cura dei figli e dei genitori anziani e non autosufficienti. Un aspetto che, se non supportato da adeguati strumenti di caregiving familiari per bambini ed anziani, contribuisce anche a peggiorare i livelli di occupazione femminile, già tradizionalmente bassi in Italia.

Negli ultimi mesi si sono poi registrati disordini urbani, prodotti dell’inasprimento del conflitto sociale e del degrado che si sta espandendo anche nelle regioni del Nord. Il disagio abitativo è in costante crescita: le case vuote, gli edifici in condizioni di abbandono e degrado, le occupazioni abusive, il racket degli alloggi sfitti sono solo alcune delle manifestazioni cui si aggiunge la mancanza di un’offerta di mercato sostenibile. La crisi economica sta quindi contribuendo a polarizzare la società lungo la linea della ricchezza e del lavoro e ad accentuare la frattura centro-periferia poiché i tagli alla spesa pubblica colpiscono in particolare gli enti locali, che negli ultimi anni hanno acquisito sempre più importanza nella gestione del welfare.

In questo contesto risultano sempre più necessarie misure innovative di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale per assicurare nuove forme di tutela, per contribuire alla crescita e allo sviluppo, e per garantire stabilità sociale. In molti territori sono già state avviate sperimentazioni innovative riconducibili al paradigma del secondo welfare. In molti comuni si segnala, da un lato, il mancato arretramento dell’impegno finanziario per non penalizzare ulteriormente i soggetti in condizione di vulnerabilità e, dall’altro, si assiste all’introduzione di strumenti che affiancano al sostegno economico percorsi di inserimento lavorativo e sociale, individuando nella povertà un fenomeno da aggredire "a 360 gradi". La nascita dei cosiddetti empori solidali costituisce un esempio positivo di queste dinamiche: spazi che offrono ai cittadini indigenti beni alimentari messi a disposizione da esercizi commerciali e aziende, che al sostegno alimentare affiancano servizi aggiuntivi di promozione sociale (sportello lavoro, assistenza sociale, attività di aggregazione, ecc.).

Sul versante abitativo si assiste alla diffusione di spazi di edilizia sociale realizzati grazie alla collaborazione tra enti pubblici, fondazioni e attori privati e destinati a quella domanda abitativa inevasa per ragioni economiche, per durata di permanenza o per necessità di servizi aggiuntivi. Progetti che, anche in tempi di austerity, grazie al coinvolgimento di risorse finanziarie non pubbliche, riescono a riqualificare edifici e quartieri togliendoli al degrado e a promuovere la coesione sociale, lavorando sulla coabitazione di persone con profili eterogenei. Si pensi ad esempio ai condomini solidali, progetti che dando una risposta al disagio abitativo creano contemporaneamente nuovi rapporti di prossimità e vicinato grazie alla valorizzazione delle relazioni di solidarietà (ad esempio tra generazioni, come nel caso del senior cohousing) mediante sostegno reciproco, partecipazione e attività di socializzazione. Una forma di abitare collettivo spesso utilizzata anche per reintegrare socialmente persone marginali e soggetti deboli (come ex-detenuti o tossicodipendenti), accompagnare famiglie disagiate verso un’indipendenza abitativa e lavorativa, supportare madri sole nella crescita dei figli, sostenere gli anziani.

 

Questo articolo è stato pubblicato anche sul numero di luglio di Risorse. Rivista della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo

Riferimenti:

Caritas Europa, Poverty and Inequalities on the Rise

Database Eurostat (Living conditions and welfare)

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