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La sperimentazione del Reddito di Autonomia lombardo

L’8 ottobre 2015 la Regione Lombardia ha varato la sperimentazione del “Reddito di autonomia” (d’ora in avanti detto RdA-L): un pacchetto di cinque misure rivolte a famiglie e persone (in particolare anziani, disoccupati e disabili) in condizioni di bisogno e di precarietà economica differenziate. Misure, dunque, categoriali, in parte già presenti nel sistema di welfare regionale, che, come ormai noto, annoveravano nell’ordine:

  • il “Bonus Bebè” di 800 euro per la nascita del secondo figlio, e di 1000 euro per il terzo e i successivi, rivolto alle famiglie con ISEE fino a 30.000 euro annui;
  • l’abolizione del “superticket ambulatoriale” per i cittadini il cui reddito familiare fiscale annuo non superi i 18.000 euro;
  • l’“Assegno di Autonomia”, cioè voucher per l’accesso ai servizi, da 400 euro al mese per dodici mesi, per l’acquisizione e/o il mantenimento dell’autonomia personale nel proprio contesto di vita, rivolti a persone anziane over75 e disabili, con reddito imponibile entro i 10.000 euro annui;
  • il “Bonus Affitti” di 800 euro rivolto a famiglie in condizione di fragilità socio-economica, residenti in uno dei 155 comuni lombardi a elevata tensione abitativa;
  •  il “PIL/Progetto di Inserimento Lavorativo” rivolto ai disoccupati da oltre tre anni, che abbina a un contributo economico di 300 euro al mese, per un massimo di 6 mesi, attività di orientamento, formazione, ricerca attiva del lavoro.

Misure episodiche e a tempo determinato, in quanto erogate una tantum (come i bonus) e/o in subordine alle risorse a disposizione (come i voucher di accesso ai servizi), e più in generale legate ai tempi e ai finanziamenti della sperimentazione (50 milioni di euro per gli ultimi tre mesi del 2015 e di 200 milioni di euro per il 2016, in parte derivanti dalla programmazione 2014-2020 del Fondo Sociale Europeo). Misure, infine, tra loro scarsamente comunicanti e poco integrate, alcune attivanti (come il PIL e l’Assegno di Autonomia), altre solo assistenziali (come i diversi bonus).

Dalla sperimentazione all’implementazione

Sei mesi dopo, il 21 marzo 2016 – in occasione della terza edizione dell’evento “Dillo alla Lombardia – arriva l’annuncio dell’avvio della fase di implementazione (non più sperimentazione, dunque) del Rda-L, con la previsione di attuazione di un piano di interventi destinati ad “andare a regime”. Nei fatti, si tratta di un pacchetto di misure che rilancia il precedente, ampliando il numero di azioni e rivedendo in parte quelle già in essere. Tra di esse troviamo:

  • la misura “Nidi Rette Zero”, per favorire l’occupazione delle madri: 30 milioni di euro di budget, per integrare le agevolazioni già previste dai Comuni per l’accesso a strutture pubbliche e private convenzionate, e aiutare le famiglie con un reddito Isee fino a 20.000 euro;
  • il “Bonus Famiglia”, per sostenere la gravidanza e i primi mesi di vita del bambino di donne che vivono in famiglie con reddito Isee fino a 20.000 euro: 34 milioni di euro lo stanziamento previsto per l’erogazione di un contributo fino a un massimo di 1.800 euro, suddiviso in due fasi, sei mesi prima e sei mesi dopo la nascita del neonato (o l’adozione di un bambino);
  • il (già attivo) “PIL” a sostegno dell’inserimento lavorativo dei disoccupati da oltre tre anni: per dare maggiore effettività alla misura, che nella fase sperimentale ha intercettato una minima quota del bacino potenziale dei beneficiari, si prevede di rafforzare l’azione di accompagnamento personalizzato facendo leva su un pool di centri per l’impiego e di centri di formazione accreditati e selezionati;
  • il “Bonus Casa” per le famiglie in affitto che nel 2015 siano state colpite da eventi che hanno determinato una riduzione della capacità reddituale e rischio di perdita della casa; 7,4 i milioni di euro stanziati;
  • il “Voucher Autonomia” per anziani over75 e disabili: un contributo di 400 euro al mese per 12 mesi, a valere su un budget 9,6 milioni di euro. I voucher potranno essere destinati alla realizzazione di laboratori espressivi, attività sportive e accompagnamento a eventi esterni, e naturalmente di iniziative a sostegno dell’inserimento lavorativo, nel quadro di progetti personalizzati.

Occorrerà attendere le delibere per conoscere maggiori dettagli e l’eventuale raccordo tra le vecchie misure e le nuove. Pur se l’obiettivo dichiarato è di portare a sistema il Rda-L, nella sostanza ci troviamo di fronte a un piano che conserva un’organizzazione a “canne d’organo”, in cui all’approccio categoriale si assomma la debole integrazione tra le misure, e un’attenzione preferenziale per le situazioni di vulnerabilità e di rischio di perdita dell’autonomia più che per le condizioni di povertà assoluta in un’ottica di accompagnamento al recupero e all’emancipazione.

L’avvio di questa fase di implementazione, oltre a chiudere il periodo di sperimentazione, sembra di fatto portare ad archiviare anche la breve stagione di dibattito, apertasi la scorsa estate, sull’introduzione di uno schema di reddito minimo per il contrasto alla povertà in Lombardia. Stagione che ha dato un duplice frutto: la sperimentazione appena conclusa e l’avvio di un “gruppo di lavoro” interno al Consiglio regionale, incaricato di elaborare una proposta di legge sul sostegno del reddito delle persone in condizione di povertà.

Due frutti promettenti, che oggi appaiono in una luce nuova. Da un lato la bozza di legge è ferma al palo, mentre il “gruppo di lavoro” si è spaccato, lasciando intendere che le parti procederanno su binari separati (se lo faranno). In effetti non provengono dalla Giunta voci di preoccupazione o di particolare mobilitazione su questo fronte. Dall’altro lato le modalità di implementazione del RdA-L annunciate per il 2016 sembrano sciogliere ogni dubbio residuo circa l’aspettativa che la Regione intendesse mettere in campo uno schema universalistico di reddito minimo. La Regione, piuttosto, si richiama a una netta divisione di compiti con lo Stato, al quale – come ha più volte pubblicamente detto l’assessore Giulio Gallera – spetterebbe questo tipo di intervento per competenza ed entità delle risorse da impiegare.

Il nome scelto per denominare il pacchetto di misure regionali, invero, legittimava simili aspettative. Esso è infatti stato mutuato da una proposta avanzata nel 2010 dalla delegazione delle Caritas Lombarde, propriamente dedicata a definire uno schema di reddito minimo a favore delle persone più svantaggiate e povere che vivono in Lombardia: Reddito di autonomia, appunto (Rda-C d’ora in poi; proposta poi ripresa da Caritas Italiana, contribuendo alla definizione del REIS-Reddito d’Inclusione Sociale, sostenuto dall’Alleanza contro la Povertà in Italia). Tuttavia, basta rileggere quanto appena detto circa il pacchetto di interventi lombardo alla luce dei “pilastri” su cui si fonda il Rda-C per cogliere come la strategia regionale muova in un’altra direzione.


La proposta Caritas

Si può sintetizzare la proposta Caritas in tre passaggi principali utili a coglierne le ragioni di fondo, l’approccio e le peculiarità.

1. Il Rda-C afferma il riconoscimento del diritto a essere sostenuti a fronte dell’esposizione al rischio di povertà e di esclusione sociale come diritto di cittadinanza sociale, per questo sottratto ad arbitri e discrezionalità, secondo la volontà politica, le risorse finanziarie disponibili, gli interessi corporativi, ecc. Sulla base di questo assunto, rispondendo al principio dell’universalismo selettivo, il RdA-C è aperto a tutti i cittadini, rivolgendosi a quanti tra di essi si trovano in condizione di deprivazione economica, di mancanza di mezzi sufficienti a condurre una vita dignitosa Per la sua attuazione, propone un’implementazione graduale (dando priorità alle famiglie con minori), progressiva (rispetto alle soglie reddituali, cominciando dalle più basse) e sperimentale (prevedendo una valutazione contro-fattuale dell’efficacia), con l’obiettivo di istituire una misura che si inserisca in modo strutturale nel sistema di welfare regionale.

2. Il RdA-C adotta un approccio abilitante nei confronti delle persone in condizione di povertà e integrato sotto il profilo degli interventi. Si inquadra dunque nel paradigma europeo dell’inclusione attiva, assumendolo però nella sua accezione più ampia. Coniuga, cioè, la finalità dell’attivazione lavorativa dei beneficiari con l’obiettivo di una loro piena integrazione sociale, nel riconoscimento del diritto di ciascuno a una vita dignitosa, all’autodeterminazione e alla realizzazione di sé. In effetti, assumendo una concezione multidimensionale e dinamica della povertà, l’Rda-C mira a intervenire, oltre che sulla mancanza di reddito, sulla riduzione o perdita della “competenza ad agire” mettendo in campo interventi promozionali e soluzioni istituzionali complesse. Per questa sua connotazione abilitante, ma al tempo stesso attenta alle condizioni di contesto e alle responsabilità istituzionali, il RdA-C ribadisce che il contrasto alla povertà necessita di coniugare responsabilità individuali con responsabilità e solidarietà collettive, capacità e diritti. Per questo il RdA-C mira a offrire insieme al sostegno economico, servizi e opportunità di attivazione e inclusione sociale, sviluppando interventi nell’ambito dell’assistenza sociale e sanitaria, delle politiche abitative, delle politiche formative e del lavoro con specifica attenzione per la questione della conciliazione famiglia-lavoro, delle misure per l’educazione, la cura e la custodia dell’infanzia. In particolare il RdA-C valorizza l’apprendimento lungo tutto il corso di vita quale fattore di tutela, inclusione, capacitazione, e dà rilievo ai servizi socio-educativi per la prima infanzia, chiamati a promuovere l’uguaglianza nelle opportunità di partenza e a contrastare la trasmissione intergenerazionale delle diseguaglianze. Fulcro dell’intervento personalizzato di sostegno è la definizione compartecipata tra servizi e beneficiari di un “Progetto di Inclusione Socio-Economica”.

3. Il RdA-C è una proposta situata, costruita in esplicito accordo con i principi normativi e istituzionali che reggono il sistema di welfare regionale lombardo. Per questo ne ha sussunto alcuni obiettivi, rielaborandoli: i) il superamento di un approccio assistenzialistico, in favore di un intervento preventivo e promozionale, costruito in chiave personalistica a partire dai bisogni e dalle risorse dei destinatari; ii) l’importanza di lavoro, istruzione e formazione quali elementi cardine del percorso di inclusione sociale, opportunità di empowerment e di recupero di capacità di cittadinanza attiva; iii) la centralità assegnata alla famiglia coinvolta nel suo insieme in un percorso di uscita dalla condizione di bisogno, che attiva le responsabilità di tutti i suoi membri; iv) il riconoscimento dell’importanza della welfare community, con la conseguente valorizzazione del raccordo tra pubblico e privato e del ruolo della società civile nelle attività di progettazione sociale dei servizi e dei percorsi di inserimento socio-economico.

D’altro canto, per come è strutturato, il RdA-C sollecita a intervenire su alcuni elementi di criticità del welfare regionale, spingendo a: i) migliorare l’accessibilità e la verifica della qualità dei servizi sociali, dei servizi per l’impiego, delle iniziative di formazione e apprendimento continuo, dei servizi socio-educativi per la prima infanzia; ii) coinvolgere in misura crescente gli attori sociali ed economici del territorio per definire, insieme all’attore pubblico, accordi e reti di partenariato, con l’obiettivo di creare occupazione aggiuntiva e, in generale, di favorire le condizioni indispensabili al sostegno dell’inclusione socio-economica delle categorie più svantaggiate promuovendo un mercato del lavoro inclusivo; iii) razionalizzare, armonizzare e ricomporre le risorse che la Regione già investe nel contrasto alla povertà, ma in modo frammentato, scarsamente integrato, per mettere a valore in modo coerente misure e risorse, e offrire risposte di presa in carico integrata, che siano capaci di cogliere la natura multidimensionale della povertà, oltre che la linea di continuità che lega tra loro condizioni e processi di vulnerabilità e impoverimento.

Considerazioni conclusive: una scelta di campo

Gli elementi di vicinanza e di distanza tra la proposta Caritas e il pacchetto di misure della Regione sono a questo punto chiari. La ricorrenza di alcuni termini e la parziale convergenza su alcuni obiettivi comunque importanti (come, per esempio, i percorsi di autonomia individuale per gli anziani e i disabili, e i progetti di inserimento lavorativo per i disoccupati di lunga durata) non colma il gap che resta nell’impostazione di fondo, non cogliendo il RdA-L l’opportunità di razionalizzare e integrare gli strumenti di contrasto alla povertà già in essere nel sistema regionale di welfare, e di strutturare una rete universalistica di protezione di ultima istanza. D’altro canto la fase di implementazione è ancora all’inizio, auspichiamo che il processo di definizione dell’impianto finale sia ancora aperto ad accogliere modifiche, mettendo a frutto la fase di consultazione con gli stakeholder attualmente in corso.

La lotta alla povertà è una questione “costituente” nel senso proprio del termine: una questione su cui “prende forma la società”, il suo sistema di welfare, il patto di cittadinanza che ne è a fondamento, e che obbliga a esplicitare come il diritto di ogni cittadino, anzi, di ogni persona, a una vita “degna e stimata” – direbbe T.H. Marshall – viene definito, tutelato e promosso. È una questione che richiede una decisa scelta di campo.


Riferimenti

Alleanza contro la Povertà, Reddito d’Inclusione Sociale (REIS).

Lodigiani R. e Riva E. (2011), Reddito di autonomia. Contrastare la povertà in una prospettiva di sussidiarietà attivante, Caritas Delegazione Regione Lombardia, Erikson, Trento.

Regione Lombardia, Gallera: rilanciamo con forza il Reddito di Autonomia

Revelli M. (2010), Poveri, noi, Einaudi, Torino.