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Come abbiamo già raccontato, lo scorso 14 ottobre l’Alleanza contro la povertà in Italia ha avanzato la sua proposta per l’introduzione di un reddito di inclusione sociale (REIS). Questa proposta segue le altre che hanno già informato il dibattito: il Sostegno all’Inclusione Attiva (SIA) e la proposta presentata dalle Acli in collaborazione con la Caritas. A ciò si aggiunge la sperimentazione della Nuova Carta Acquisti.

Per sciogliere la complicata matassa delle proposte e delle sperimentazioni in essere e per capire meglio le caratteristiche del REIS, abbiamo intervistato Cristiano Gori, ideatore dell’Alleanza contro la povertà in Italia e coordinatore del suo gruppo scientifico, docente presso l’Università Cattolica di Milano. Con lui cercheremo di illustrare anche le caratteristiche dell’Alleanza contro la povertà, coordinata dalle Acli e che vede la partecipazione di un ampio insieme di associazioni, della Caritas, del Forum nazionale del terzo settore, dei sindacati e delle rappresentanze dei Comuni e delle Regioni.

 

Come si legge nel relativo documento, la proposta di REIS è stata avanzata dalla “Alleanza contro la Povertà in Italia”. Può spiegarci che cos’è e come è nata questa alleanza?

Per la prima volta in Italia si è costituito un cartello di soggetti che mette insieme associazioni, terzo settore, sindacati, comuni e regioni. L’idea maturava da tempo, molti di questi soggetti hanno infatti accresciuto la loro attenzione verso la povertà e il loro ruolo di promotori di migliori politiche pubbliche (advocacy). Ad esempio, la Caritas è sempre più attiva come soggetto di advocacy su questi argomenti e lo stesso vale per i sindacati. Il terzo settore, dal canto suo, ha maturato un intento crescente di fare advocacy su temi inerenti le politiche pubbliche. A questi si aggiungono poi attori “nuovi”, ad esempio “Action Aid” e “Save the Children”, che fino a pochi anni fa non avevano uffici in Italia, mentre oggi sono presenti perché la situazione sociale lo richiede. Direi quindi che c’è una spinta che proviene da più parti.

La povertà, anche se è sensibilmente aumentata nel contesto della crisi, non è certo una questione nuova per il nostro paese, perché l’alleanza nasce solo ora?

In Italia la lotta alla povertà non è mai stata un obiettivo praticato. Anche le due aree politiche tradizionalmente più interessate al welfare, che sono la sinistra e i cattolici, hanno fatto della lotta alla povertà un obiettivo solamente dichiarato. La sinistra ha infatti usato il suo peso politico per tutto quello che riguardava il lavoro (sia per chi ce l’ha che per chi lo ha perso), mentre i cattolici hanno usato il loro peso politico prioritariamente per fare pressione sui temi etici (come l’inizio e il fine vita). Se si guarda alla Seconda Repubblica, la lotta alla povertà è stata un obiettivo dichiarato da molti ma da nessuno agito (nel senso di spendere il proprio peso politico per ottenere migliori interventi). Adesso le cose stanno cambiando, la situazione non è più ferma e da più di parti c’è un crescente interesse verso questo tema. Secondo me, siamo all’inizio di una nuova fase che potrebbe portare delle risposte a una domanda sociale che, nel frattempo, è esplosa. Il fatto stesso che sia nata l’alleanza contro la povertà è un segno di questi cambiamenti.

Quando è stata costituita l’alleanza e quali sono le azioni previste per i prossimi mesi?

L’alleanza è stata costituita alla fine del 2013. In questa prima fase, il lavoro si è concentrato sulla messa a punto del REIS. Ora, con questo documento alla mano, si inizia il vero percorso che consisterà nella sensibilizzazione dei decisori politici. L’insieme delle iniziative sarà deciso nelle prossime settimane. Certamente saranno realizzati degli incontri in tutte le principali città italiane per portare l’alleanza e il REIS nei contesti locali. L’idea è quella di tenere insieme il livello nazionale e locale. Infatti, un programma come il REIS è deciso essenzialmente a livello nazionale ma deve essere utilizzato a livello locale. L’obiettivo è dunque quello di costruire un percorso dal basso.

Qual è il valore aggiunto che l’alleanza può offrire alla lotta alla povertà?

L’alleanza offre tre valori aggiunti. Il primo riguarda la costituzione, per la prima volta, di un soggetto unitario di advocacy su questo tema. Il secondo si lega al fatto che si tratta di un soggetto che da risposte puntuali a partire da dati concreti. Il terzo è che si tratta di un soggetto che mette insieme il sapere scientifico e quello pratico. L’alleanza si compone infatti di un comitato scientifico (che riunisce studiosi e consulenti) e di uno tecnico (costituito dai rappresentanti delle associazioni). Dietro a questo c’è la convinzione che questi due saperi devono andare di pari passo.

Negli ultimi due anni, diverse proposte e sperimentazioni si sono susseguite in materia di lotta alla povertà. Ci può aiutare a capire quali sono le differenze fra il REIS, il SIA e la Nuova Carta Acquisti?

Io differenzierei da un lato il SIA e il REIS e dall’altro la Nuova Carta Acquisti. Quest’ultima è una sperimentazione locale, il SIA e il REIS sono invece proposte di riforma per una politica nazionale di lotta alla povertà.

Però se si guarda agli ultimi dati del Ministero, la Nuova Carta Acquisti è considerata come parte di un processo che porterà a una politica nazionale, il SIA

La Nuova Carta Acquisti è parte del pacchetto predisposto dal precedente governo (in particolare dall’allora Ministro Giovannini e dall’allora Vice-ministro Guerra) e nelle loro intenzioni si trattava di una sperimentazione che avrebbero dovuto portare a una misura nazionale, il SIA. Però, di fatto, ci sono solo delle sperimentazioni e non c’è nessun tipo di percorso verso una misura nazionale. Direi che non è stata fatta alcuna scelta in proposito. Per questo, in un recente rapporto pubblicato dalla Caritas, abbiamo evidenziato un’analogia fra il procrastinare le decisioni politiche attraverso ripetute sperimentazioni, e l’esperienza del reddito minimo avviata all’epoca della Turco (1998). Si tratta di quello che abbiamo chiamato “Scenario Seconda Repubblica”, perché sembra ripetersi esattamente quello che era successo a quei tempi. Si continua con le sperimentazioni, per dare l’impressione di fare qualcosa contro la povertà; e, contemporaneamente, si nasconde la mancanza di una politica vera e propria. C’è insomma un uso strumentale della sperimentazione perché, ripeto, ad oggi nessun elemento concreto ci consente di dire che stiamo andando verso la definizione di una politica nazionale. Di fatto si stanno solo avviando (con ritardo di un anno) sperimentazioni decise in precedenza, non c’è nessuna nuova programmazione, si sta semplicemente andando a esaurimento della precedente.

Da un punto di vista strettamente tecnico, quali sono le differenze fra il SIA e il REIS?

Tenga conto che la commissione SIA ha avuto poco tempo a disposizione. È stata costituita in un momento in cui c’era la speranza che, nella legge di stabilità 2014, si potesse prevedere un impegno significativo in materia di lotta alla povertà. Cosa che, come sappiamo, non è avvenuta. La commissione ha lavorato in soli tre mesi e direi quindi che nel REIS ci sono degli approfondimenti che, per forza di cose, non potevano essere nel SIA.

Quali sono le peculiarità proprie del REIS?

Direi che ci sono quattro punti che caratterizzano il REIS. Il primo riguarda la soglia di accesso. Noi proponiamo di utilizzare una soglia che considera sia il reddito sia le spese per l’affitto. Il dibattito è diviso fra quanti ritengono giusto applicare una soglia uniforme su tutto il territorio e quanti, al contrario, ritengono giusto tener conto delle differenze territoriali. Il REIS propone una sintesi fra queste due posizioni perché ha una soglia unica e prevede, allo stesso tempo, delle differenziazioni tenendo conto della spesa per l’affitto che è chiaramente influenzata dalla collocazione nel territorio. Questa è la sintesi di un dibattito che abbiamo sviluppato all’interno dell’alleanza lavorando con i dati empirici ed elaborando delle simulazioni. Inoltre, questo metodo è di semplice applicazione e la semplicità degli strumenti è centrale se si vuole effettivamente lavorare sulla loro dimensione attuativa.

Un secondo elemento riguarda l’istituzione di un Piano nazionale di lotta alla povertà attraverso il quale assumere una serie di impegni lungo un arco di quattro anni. Questa idea era, almeno concettualmente, già nel SIA tuttavia non è stata fatta propria da nessun decisore perché, come ho già detto, le sperimentazioni sono state avviate ma non si è poi arrivati a definire una misura nazionale contro la povertà. Il Ministro Poletti ha raccolto l’idea del Piano ma su questo punto bisogna stare attenti: a livello nazionale c’è infatti una tradizione di Piani che sono generiche enunciazioni prive di ricadute attuative. Penso ad esempio al Piano di azione contro la disabilità e al Piano famiglia, per fare due esempi. Per noi “Piano” significa definire obiettivi concreti, misurabili e scanditi anno per anno, precisando sin dall’inizio il punto di arrivo, cioè l’introduzione del REIS a regime.

Il terzo elemento riguarda l’attuazione della misura attraverso quella che abbiamo chiamato infrastruttura nazionale per il welfare locale. Dal dibattito degli ultimi venti anni abbiamo imparato che non può essere il centro a dare indicazioni precise ai territori su come organizzare i servizi. Non lo prevede il Titolo V della Costituzione e nella realtà è praticamente impossibile perché difficilmente si conoscono le peculiarità locali. Dare indicazioni troppo “fini” dal centro ha solo effetti perversi, anche perché si dà l’impressione di non riconoscere le comunità locali. Tuttavia, il centro può fare moltissimo. Con questa idea dell’infrastruttura infatti, il livello nazionale (lavorando insieme alle regioni) fornirebbe ai territori degli strumenti affinché si possano costruire al meglio gli interventi locali contro la povertà. L’idea è che, oltre a definire i diritti e a stanziare i finanziamenti necessari a garantirli, il livello centrale metta in piedi un sistema di accompagnamento dei territori, ad esempio attraverso la costruzione di momenti di confronto, incontri formativi o linee guida in grado di valorizzare le esperienze locali, e altro. In questo quadro, il REIS prevede un sistema di monitoraggio che mira, non solo a valutare le attività, ma anche a restituire conoscenze ai territori. Il centro deve quindi definire poche regole e fornire gli strumenti per mettere il livello locale in condizione di realizzare determinati interventi. Si dovrebbe prevedere, poi, un meccanismo di poteri sostitutivi che permetta di intervenire laddove la misura non sia attuata o vi siano gravi irregolarità.

Infine, abbiamo lavorato molto sul concetto di finanziabilità e siamo arrivati alla conclusione che la responsabilità di dire dove devono essere trovate le risorse per finanziare una politica non è dei suoi promotori, in questo caso l’Alleanza. Il tema del finanziamento è infatti strumentalizzato per mettere in difficoltà il nostro mondo e questo crea un corto circuito. Lo stesso Renzi ha dimostrato che l’argomento “non ci sono i soldi” non sta in piedi. Se si decide che una determinata questione è prioritaria, i soldi si trovano. Ciò è dimostrato dal caso degli ammortizzatori sociali. Noi riteniamo che chi, come noi, propone una politica deve solo dimostrare la compatibilità con il quadro macro-economico e con la situazione di finanza pubblica e questo infatti nella proposta c’è.

Nella nuova proposta si trova però un’indicazione specifica sul finanziamento. Si dice infatti che le risorse necessarie all’adozione della misura devono essere assicurate dallo Stato e che eventuali finanziamenti europei potrebbero essere utilizzati “parzialmente durante la fase di transizione”. Quali sono le principali ragioni che sono alla base di questa indicazione?

Alcuni sostengono che con i fondi europei si possano fare cose rilevanti in materia di lotta alla povertà, a noi sembrava importante sottolineare che non è così. Non lo è, non solo perché la dimensione dei fondi strutturali non è tale da sostenere (se non in minima parte) un eventuale REIS a regime, ma anche perché una politica nazionale come quella auspicata dal REIS non può che essere finanziata dallo Stato. Con i fondi europei si possono fare delle buone sperimentazioni e si può contribuire al Piano. Tuttavia non si può costruire una politica basata su un diritto esigibile fondandola sulla disponibilità dei fondi europei. Una politica di questo tipo deve basarsi sul fatto che lo Stato si assume la responsabilità del suo finanziamento. Ovviamente, se una parte dei finanziamenti europei nel periodo di transizione è destinata al REIS, questo può anche andar bene. Ma il punto cruciale è che bisogna realizzare una misura strutturale finanziata dallo Stato.

La recente bozza della Legge di Stabilità ha destinato risorse residuali alla lotta alla povertà. I maggiori interventi di politica sociale riguardano infatti gli ammortizzatori sociali e la famiglia. Di fatto quindi la lotta alla povertà non è stata assunta come priorità politica. Cosa può fare in questo contesto l’Alleanza contro la povertà?

È evidente che in questa legge di stabilità non c’è nulla per andare verso una misura nazionale di lotta alla povertà. Anche nell’ipotesi che si facessero degli aggiustamenti a margine, durante il percorso parlamentare, non ci sarebbe comunque lo spazio per pensare ad una misura come il REIS. L’obiettivo dell’Alleanza è allora quello di costruire un percorso a partire da oggi e fino alla prossima estate. Noi sapevamo che le cose sarebbero andate in questo modo e simbolicamente abbiamo voluto presentare il REIS prima dell’emanazione della legge di stabilità.

Quali sono a suo avviso le principali ragioni alla base di questa scelta?

Direi che, considerando l’eredità che l’esecutivo ha ricevuto, non è pensabile affrontare tutte le carenze nell’arco di un anno. In questa legge ci sono delle misure per le famiglie con figli, e gli ammortizzatori sociali, non si può quindi dire che manchi il welfare. È però evidente che le priorità percepite sono il lavoro e lo sviluppo e non la povertà. Nella “visione renziana” di welfare manca l’attenzione ai diritti sociali delle persone in condizione di fragilità. Il welfare investe sulle persone per dargli (oggi o domani) la possibilità di contribuire al sistema produttivo. Questa è una parte decisiva, ma manca l’altra, cioè quella del riconoscimento del diritto sociale a una vita dignitosa e a realizzare le proprie potenzialità anche quando non si può (per una condizione personale o di contesto) contribuire al mondo produttivo.

 

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