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Con l’inizio dell’estate è uscito l’atteso rapporto biennale sulla Garanzia giovani (GG) prodotto dai ricercatori dell’Isfol. Il documento costituisce una fonte di informazione preziosa che può aiutare ad arricchire non solo la comprensione di un’iniziativa di policy che ha impegnato e continua ad impegnare numerosi operatori (in primis i centri per l’impiego), ma anche e soprattutto per alimentare le riflessioni sul destino e il lascito della Garanzia giovani in Italia.

Il comunicato stampa che accompagna il Rapporto mette in risalto la performance occupazionale del Programma che ha finora permesso a circa il 34% dei giovani a cui è stata offerta una delle attività previste dall’ampio menu di interventi della GG di trovare un’occupazione a un mese dalla conclusione del percorso. Percentuale che sale fino al 43% se si considerano i risultati rispetto a uno scenario di sei mesi.

Anche rispetto ai tirocini extra-curriculari, vale a dire la misura che con ha riscosso maggiore successo (64,4% del totale delle azioni avviate), emergono alcuni dati interessanti, soprattutto a fronte delle numerose e condivisibili preoccupazioni rispetto all’abuso di questi strumenti e ai problemi che ne hanno accompagnato l’implementazione. In particolare, il Rapporto evidenzia come, a fine aprile 2016, il tasso di inserimento lordo osservato sia di poco superiore al 36%. Se consideriamo l’inserimento lavorativo misurato a una certa distanza temporale, i tassi si aggirano intorno al 30% a un mese dalla conclusione di queste esperienze formative, al 36% a tre mesi, fino a toccare la punta del 41% a sei mesi.

In sintesi, stando alle analisi prodotte dall’Isfol, la Garanzia giovani non sembrerebbe quel quasi completo fallimento di cui molti hanno parlato. In realtà, la situazione è più complessa. Come spesso accade, non è oro tutto ciò che luccica e i margini di miglioramento sono amplissimi. Circa il 70% dei registrati disponibili a una presa in carico non ha ancora ricevuto una proposta concreta. Se guardiamo invece alle ricadute occupazionali dei giovani utenti che hanno concluso un intervento previsto dal Programma, il tasso di inserimento lordo del quasi 38% appare un risultato non trascurabile, soprattutto in un contesto difficile come quello del mercato del lavoro italiano. Le persone che hanno terminato un intervento alla fine di marzo del 2016 sono però meno di 200 mila; ciò significa un totale di 73 mila occupati a fronte di una spesa certificata di oltre 150 milioni di euro. Per quanto tutti si augurino che questi numeri e queste percentuali continuino a crescere, è chiaro che non appena li rapportiamo a un bacino potenziale di 1,7 milioni di utenti e 1,5 miliardi di Euro da utilizzare entro il 2018, la percezione del problema e dell’efficacia degli interventi messi in campo cambia radicalmente (si vedano a tal proposito i commenti severi di Di Vico sul Corriere della Sera o di Seghezzi di Adapt).

Ritorniamo dunque a un punto centrale, più volte ribadito in questo Focus: che cosa ci possiamo attendere dalla Garanzia giovani?

Se adottiamo come prisma di valutazione le performance occupazionali, una prima risposta è che quanto finora realizzato sia ancora troppo poco, nonostante gli sforzi apprezzabili. La Garanzia giovani non potrà fare molto se rimarrà un’iniziativa isolata ovvero scarsamente connessa e sinergica rispetto a una più ampia strategia occupazionale che dovrebbe mirare maggiormente al sostegno mirato della domanda di lavoro qualificato, nonché al rafforzamento delle politiche attive e di transizione scuola-lavoro (Vesan Lizzi 2016; Vesan 2016). Ciò che possiamo almeno sperare e dobbiamo pretendere è che le chance occupazionali di coloro che sono stati coinvolti in un percorso attivato dalla Garanzia giovani siano nettamente più elevate di coloro che non lo sono stati. Il Rapporto Isfol dà qualche rassicurazione in tal senso segnalando come il tasso di inserimento occupazionale di coloro che hanno concluso un intervento sia di quasi 16 punti percentuali superiore agli iscritti al Programma, ma che non hanno avviato e concluso un intervento. Ad ogni modo, sarebbe interessante proporre una più articolata analisi controfattuale per comprendere meglio l’impatto della Garanzia giovani a due anni dal suo avvio. Inoltre, sarebbe interessante comprendere se vi siano differenze significative tra i tassi di inserimento occupazionale di una misura rispetto a un’altra, rapportandoli ovviamente al profilo del candidato e alle condizioni del mercato del lavoro locale (anche se questo ultimo elemento è in parte ricompreso nella profilazione). Ad esempio, posto che i tirocini extracurriculari incentivati posso essere un utile strumento, in che misura lo sono rispetto ad altri, a quali condizioni e accompagnati da quali misure precauzionali per prevenire un loro utilizzo scorretto (a partire dal 2016 alcuni interventi in relazione ai possibili abusi al ricorso a questa misura sono stati adottati)?

In secondo luogo, l’interesse per i risultati dalla Garanzia giovani dovrebbe andare al di là della restituzione di qualche presunta, seppur importante, performance occupazionale. Come ben sottolineato da Stefano Sacchi nell’executive summary del Rapporto e da Daniele Fano su Percorsi di Secondo Welfare, l’occupazione dipendente è solo uno dei possibili esiti della Garanzia giovani. Il programma promuove infatti il rafforzamento dell’occupabilità che, in estrema sintesi, può e dovrebbe significare anche il ritorno a un percorso educativo (una seconda chance), la prevenzione della dispersione scolastica, il contrasto all’esclusione sociale, l’impegno nella cittadinanza attiva attraverso il servizio civile, fino all’avvio di un’attività di lavoro autonoma. Certamente, la necessità di “trovare un lavoro” rimane un imperativo e un’urgenza. Ma questi “altri” obiettivi e attività della GG non possono essere semplicemente derubricati a un piacevole ed eventuale aspetto di contorno o divertissement. Purtroppo, il Rapporto dell’Isfol si sofferma poco o punto su questi temi, più che altro per mancanza di dati disponibili (un capitolo è comunque dedicato ad illustrare i più recenti provvedimenti di politiche di transizione scuola-lavoro adottati dal governo Renzi). Si spera dunque in un futuro approfondimento volto a comprendere la capacità della Garanzia giovani di dare un impulso a percorsi differenziati di inclusione sociale, che possano favorire transizioni di qualità verso e all’interno del mercato del lavoro. In particolare, se passiamo dal considerare la Garanzia giovani come un programma specifico ed emergenziale a una strategia d’intervento che dovrebbe diventare permanente e di sistema (ovvero “la norma”), allora è importante capire come tale strategia possa legarsi sinergicamente ad altri interventi in materia ad esempio di alternanza scuola-lavoro, di apprendistato, di riforma del terzo settore e di politiche attive del lavoro.

Quest’ultima considerazione ci riporta a un terzo aspetto. Il Rapporto illustra i primi risultati della Garanzia giovani e mette in luce diversi aspetti positivi e non scontati. Se queste analisi, come abbiamo detto, risultano preziose, manca un esame puntuale sui numerosi punti di debolezza, anche e soprattutto in relazione alla dimensione processuale o di governance del Programma. Qualcuno potrebbe obiettare che sono già noti o che se ne è già parlato a sufficienza e dunque forse non occorre ritornarci. Chi scrive è invece convinto che uno dei valori aggiunti della Garanzia giovani sia rappresentato dal suo essere un primo laboratorio per un cambiamento nell’approccio delle politiche attive rivolte a uno specifico target della popolazione, ovvero i giovani Neet. Per non sprecare il patrimonio di conoscenze e di esperienze accumulate, occorrerebbe dunque esaminare con attenzione non solo le best practice, ma le stesse prassi negative e fallimentari. In altre parole, sarebbe importante accendere qualche riflettore in più su quegli ambiti di policy, quegli aspetti procedurali o ancora su quelle aree geografiche dove la Garanzia giovani non solo ha faticato, ma sembra non avere funzionato. I temi sarebbero moltissimi, si pensi ad esempio a come strutturare un sistema di profilazione più intelligente, a come esercitare un coordinamento forte e laddove necessario un potere sostitutivo, a come migliorare l’implementazione del sistema dei costi standard, a come rafforzare e perfezionare il sistema informativo ed integrarlo con quello relativo alle misure di contrasto alla povertà, a come potenziare e poi valutare le azioni rivolte ai giovani più distanti dal mercato del lavoro, a come valorizzare veramente il ruolo dei privati, dalle agenzie del lavoro ai fondi interprofessionali fino allo stesso Terzo settore.

È ovvio che lo spazio e lo scopo di un primo Rapporto sulla Garanzia giovani non consente di addentarsi in questi labirinti e, probabilmente, molte di queste riflessioni sono già in corso da parte degli stessi Autori. Ad ogni modo, la nostra speranza è che in futuro si delineino meglio i meccanismi che hanno promosso alcune esperienze di successo (perlomeno quelle non scontate), sia i vari punti deboli da affrontare di petto, tracciando possibili scenari o rotte future anche in termini di policy prescriptions. Ciò può risultare particolarmente utile non solo per il legislatore, ma anche per favorire una più ampia riflessione in grado di coinvolgere una pluralità di attori. Questo appare indispensabile sia in vista della costituenda rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro, sia alla luce dell’implicito ripensamento della stessa mission dell’Isfol, da poco tempo ribattezzato “Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche” (INAPP).

 

Riferimenti

Vesan, P. (2016), Il lavoro, dopo il Jobs act, il Mulino, 65(3), 468-476.

Vesan, P., Lizzi, R. (2016), La Garanzia giovani in Italia e l’approccio del new policy design: tra aspettative, speranze e delusioni, in "Rivista Italiana di Politiche Pubbliche", 11(1), 57-86.

Isfol (2016), Rapporto sulla Garanzia Giovani in Italia.