A quasi un anno dall’adozione della Proclamazione inter-istituzionale sul Pilastro europeo dei diritti sociali (Vesan e Corti, 2018a) avvenuta a Göteborg, i passi compiuti in direzione del rilancio e modernizzazione del cosiddetto social acquis, ovvero della legislazione comunitaria in materia di politiche sociali e del lavoro, rimangono incerti. Da un lato, la situazione di “quasi inerzia” legislativa in quest’area di policy, che aveva caratterizzato le due precedenti Commissioni Barroso, sembra essere stata superata grazie al nuovo attivismo della Commissione Juncker. Dall’altro, la strada per l’adozione di qualche primo provvedimento concreto resta ancora impervia.

Non a caso, lo stesso Juncker, nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, non ha potuto che ribadire la necessità di uno slancio verso “una maggiore cura della dimensione sociale dell’Unione europea”. Al di là della retorica, a detta del Presidente della Commissione, tale slancio risponde a un imperativo politico: “chi ignora le aspettative giustificate dei lavoratori e delle piccole imprese fa correre un grosso rischio alla coesione delle nostre società. Trasformiamo gli intenti del vertice di Göteborg in norme di diritto”.

Nell’appello di Junker, gli intenti del vertice di Göteborg fanno riferimento ai venti “principi e diritti” del Pilastro europeo dei diritti sociali, sanciti lo scorso anno dai Presidenti del Parlamento, della Commissione, e del Consiglio di fronte ai capi di Stato e governo europei (tab. 1).


Tabella 1. I venti principi e diritti del Pilastro europeo dei dritti sociali

La strategia del Pilastro sociale non si è però fermata all’enunciazione di questi principi che, in larga parte, riprendono in un unico documento alcuni dei punti cardine della “costituzione sociale” dell’Unione. A partire dal marzo 2016, la Commissione europea ha infatti adottato tre differenti “pacchetti”, composti da provvedimenti legislativi e non: il pacchetto “mobilità per il lavoro” nel 2016; il pacchetto “Aprile 2017” ed infine il pacchetto “equità sociale” della primavera del 2018. La tabella 2 riporta alcuni dei contenuti di tali “pacchetti”, menzionando solo quegli interventi che potrebbero portare, o semplicemente favorire, l’adozione di provvedimenti giuridicamente vincolanti.
 

Tabella 2. Interventi dei "pacchetti" che potrebbero portare a provvedimenti vincolanti

Delle iniziative sopra elencate, al momento, solo la direttiva sui lavoratori distaccati ha concluso il suo iter, mentre la direttiva sul bilanciamento tra vita familiare e lavorativa è fra quelle che presentano uno stadio di sviluppo relativamente avanzato. È su quest’ultima che questo articolo si sofferma, anche per via delle evidenti connessioni al recente dibattito italiano sui congedi rivolti ai padri.

La direttiva sul bilanciamento tra vita familiare e lavorativa: la proposta della Commissione

Dopo il ritiro nel 2015 della proposta di direttiva sui congedi di maternità, la Commissione europea ha rilanciato il dibattito politico in materia adottando una nuova e più ampia iniziativa in materia di bilanciamento della vita familiare e lavorativa.

Il primo passo è stato quello di seguire la procedura di consultazione delle parti sociali prevista dall’art. 154 dei Trattati. Tuttavia, il dialogo sociale attivato non ha dato esito positivo. I sindacati (ETUC) premono infatti per un’iniziativa europea sottolineando l’apporto positivo che quest’ultima potrebbe avere soprattutto in direzione di una maggiore eguaglianza di opportunità e di genere. Le parti datoriali (BusinessEurope) invece si oppongono alla proposta di direttiva considerata come un costo eccessivo per le imprese. BusinessEurope sottolinea che l’Unione europea dovrebbe piuttosto favorire maggiori investimenti a livello nazionale nei servizi di cura. In realtà, gli investimenti nei servizi di cura non si pongono in alternativa a quelli sui congedi dal momento che perseguono solo in minima parte le medesime finalità e hanno chiaramente una diversa portata. Allo stesso tempo, BusinesseEurope sottolinea come le scelte di riconciliazione tra vita privata e familiare siano da ricondurre in capo alla famiglia stessa. Pur condividendo questa generica indicazione, non si capisce come la nuova proposta di disciplina sui congedi possa interferire con la libertà di scelta del singolo. Al contrario, la direttiva si muove verso il rafforzamento delle opportunità effettivamente disponibili ai genitori, definendo per l’appunto un diritto al congedo, mentre la “non trasferibilità” dei congedi stessi rappresenta chiaramente un’azione positiva di contrasto al fenomeno della discriminazione di genere, ampiamente accertato in materia.

A fronte dell’impossibilità di pervenire a un accordo tra le parti sociali, la Commissione ha adottato nell’aprile 2017 la sua proposta per una direttiva sul bilanciamento tra vita familiare e lavorativa come parte di uno dei tre pacchetti di iniziative connesse Pilastro Sociale. Il tema oggetto di questa proposta, oltre a essere riconducile al principio n. 2 (parità di genere) e al principio n. 3 (parità di opportunità), è infatti esplicitamente richiamato dal principio n. 9 del Pilastro che sancisce:

“il diritto per i genitori e le persone con responsabilità̀ di assistenza a un congedo appropriato, modalità̀ di lavoro flessibili e accesso a servizi di assistenza. Gli uomini e le donne hanno pari accesso ai congedi speciali al fine di adempiere le loro responsabilità̀ di assistenza e sono incoraggiati a usufruirne in modo equilibrato”

La proposta di direttiva della Commissione si è articolata in quattro punti.

  • Il primo riguarda i congedi di paternità. Attualmente non esistono standard europei a riguardo e ogni Stato membro si regola autonomamente. La proposta della Commissione chiede che tutti i padri che lavorano devono essere in grado di prendere almeno 10 giorni di congedo al momento della nascita del bambino, o adozione. Questi giorni vanno retribuiti almeno a livello del congedo per malattia.
  • Il secondo punto riguarda invece i congedi parentali. Secondo la proposta della Commissione, la durata minima del congedo parentale dovrà essere di quattro mesi non trasferibili tra i genitori, con possibilità per i genitori di prendere congedi, sia part time sia full time, fino ai 12 anni del figlio. La Commissione prevede inoltre un livello del compenso del congedo pari almeno a quello definito a livello nazionale per il congedo di malattia.
  • Il terzo punto concerne i cosiddetti congedi per assistenza a parenti, per i quali non vi è ancora una legislazione europea specifica, né sulla durata né sulla remunerazione. La proposta della Commissione è di dare almeno 5 giorni di congedo all’anno per prendersi cura dei parenti non autosufficienti, che devono essere compensati al livello del congedo per malattia.
  • Infine l’ultimo punto riguarda il tema della flessibilità degli orari lavorativi per far fronte a necessità di cura di un bambino o di un parente non autosufficiente. Anche qui, a livello europeo è prevista solo una generale possibilità a richiedere condizioni flessibili nei tempi di lavoro. La proposta della Commissione consiste nel rendere esplicito il diritto per tutti i genitori con figli sotto i 12 anni e persone con parenti non autosufficienti a richiedere condizioni di lavoro flessibili, quali una riduzione delle ore lavorative, orari flessibili e flessibilità sul luogo di lavoro.


Il dibattito europeo in corso

L’adozione di questa proposta d’iniziativa legislativa ha dato il via alla procedura ordinaria di co-decisione in Parlamento e in Consiglio. Il primo ha votato la sua posizione in Commissione Affari Occupazionali e Sociali l’11 luglio e ha dato mandato negoziale al suo relatore di iniziare la negoziazione con il Consiglio. Rispetto alla posizione iniziale della Commissione, la competente commissione parlamentare ha deliberato di ridurre l’età massima del figlio entro la quale un genitore può chiedere un congedo da 12 a 10 anni, indicando che il livello del congedo parentale non sia inferiore al 78% della retribuzione lorda del lavoratore. Gli altri punti sono stati mantenuti nella formulazione originaria proposta dalla Commissione.

Sul fronte del Consiglio, il 21 giugno 2018 è stata adottata una prima posizione (approccio generale) sulla base della quale saranno condotte le negoziazione con il Parlamento europeo. Questo primo confronto tra i ministri competenti in materia ha portato alla richiesta di alcune modifiche significative rispetto al testo originario della Commissione. Innanzitutto, per quanto riguarda il congedo per i padri, a detta del Consiglio, la direttiva dovrebbe mantenere il nuovo standard minimo dei dieci giorni obbligatori alla nascita del figlio, che però dovrebbero essere compensati al livello stabilito da ogni singolo Stato membro e non sulla base di una regola comune a livello europeo. Anche per il congedo parentale viene confermata l’attuale disciplina dei quattro mesi. Inoltre, secondo il Consiglio, i mesi non trasferibili dovrebbero scendere a due, mentre l’obbligo di compensazione dovrebbe essere portato a una soglia minima di 1,5 mesi. La direttiva dovrebbe, infine, riconoscere, per la prima volta a livello europeo, il diritto individuale al congedo per le attività di cura (carer’s leave) ed estendere il diritto a un’organizzazione più flessibile del lavoro (dagli orari flessibili, al lavoro in remoto).

In sintesi, nonostante le resistenze di alcuni governi nazionali (in particolare la Francia, la Danimarca, la Polonia e i Paesi Bassi), la proposta di direttiva sul bilanciamento tra vita familiare e lavorativa sembra al momento aver mantenuto alcune caratteristiche innovative, sebbene fortemente ridimensionate rispetto all’ambizione originaria della Commissione europea. Le maggiori linee di resistenza che sono emerse nel confronto tra i rappresentanti dei governi nazionali riguardano il rischio di un “costo” eccessivo per le casse dello Stato e i datori di lavoro, nonché l’interferenza indebita della Commissione nel fissare le soglie relative all’ammontare dei congedi che, a detta di alcuni Stati membri (ad esempio la Polonia o i Paesi Bassi), dovrebbero essere lasciate al livello nazionale. Infine, un ultimo aspetto sollevato è che la direttiva finisca con il non rispettare la libertà delle scelte individuali nella pianificazione degli equilibri tra vita lavorativa e professionale.

Rispetto a quest’ultimo aspetto, abbiamo già sottolineato come un’eventuale direttiva europea possa semmai rafforzare l’opportunità per i singoli, senza vincolarne più di tanto il comportamento. In merito al mantenimento in capo ai singoli Stati membri della libertà di fissare gli importi, se da un lato, tale principio può apparire in linea con il rispetto delle possibili differenze nazionali, dall’altro la mancata individuazione di una soglia comune finisce con ignorare uno dei problemi di partenza, ovvero lo scarso take-up rate di tali congedi laddove questi non forniscano adeguate garanzie di copertura finanziaria. L’innalzamento dei “costi” per i datori di lavoro a livello europeo, e non solo di singolo stato membro, a fronte dei benefici in termini di accresciuta produttività, costituirebbe invece un passo condiviso da tutti nella direzione di una “convergenza sociale al rialzo”. L’accresciuto carico fiscale potrebbe infine essere valorizzato positivamente come una misura d’investimento sociale nell’ambito del Semestre europeo.

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Il caso della nuova proposta di direttiva sul bilanciamento tra vita lavorativa e professionale appare interessante sotto diversi profili. Per brevità, ne menzioniamo solo due relativi al dibattito europeo e a quello domestico.

Per quanto concerne il confronto a livello sovranazionale, l’iter decisionale in corso mette in evidenza le tensioni e le contro-partite (trade-off) che spesso accompagnano il dibattito politico europeo in queste materie (Vesan e Corti, 2018b). Da un lato, troviamo la posizione della Commissione europea che sceglie questa direttiva tra i primi provvedimenti per dare “concretezza” all’idea ancora astratta di Pilastro sociale. In tal senso, la nuova proposta vuole dare un segnale in direzione del perseguimento di quell’obiettivo di “convergenza sociale al rialzo” che informa lo stesso Pilastro sociale europeo. Dall’altro, il tentativo della Commissione si scontra con l’argine posto da alcuni Stati membri, che percepiscono il rinnovato attivismo sovranazionale come un’indebita ingerenza. Queste forme di resistenza non costituiscono una novità dal momento che sono sempre esistite perlomeno da quando esiste una legislazione europea in materia di politiche sociali e del lavoro. Ciò nonostante, esse pongono sul tavolo alcuni interrogativi che riguardano i limiti e le modalità di esercizio dell’autorità politica condivisa, ovvero di un’Unione chiamata da più parti a “fare qualcosa” di fortemente visibile e tangibile a vantaggio dei propri cittadini, ma al contempo a “non far troppo”, se non addirittura a “fare il meno possibile” in materia di riconoscimento di diritti sociali condivisi.

Se, da un lato, è comprensibile che i governi nazionali vogliano difendere la loro autonomia decisionale in materia, dall’altra occorre considerare alcune buone ragioni, ovvero i vantaggi collettivi per l’Unione, che potrebbero derivare dall’adozione di una direttiva europea.

Come dimostrato in settori affini, quali ad esempi i congedi di maternità, una qualche legislazione nazionale tende a essere presente in tutti gli Stati membri solo quando esiste alle spalle una norma europea che ne impone l’adozione. Nel caso specifico di questa direttiva, al momento, sei Paesi europei non prevedono alcuna forma di congedo di paternità, mentre in sette Paesi esistono congedi parentali, ma non sono remunerati. In molti altri Paesi, invece, la disciplina sui congedi presenta forti variazioni che portano a livelli di tutele fortemente differenziati, penalizzando – tra l’altro – anche la concorrenza tra imprese nel mercato unico. Infine, l’adozione a livello sovranazionale di una norma comune in materia potrebbe consentire di contrastare la tendenza ad abbandonare alcuni percorsi virtuosi precedentemente avviati per ragioni di pura contingenza politica.

Quest’ultimo aspetto si riallaccia direttamente al caso italiano. Sul fronte del dibattito interno, come ribadito in alcuni articoli pubblicati da Secondo welfare, con la prossima legge di bilancio il governo italiano dovrà decidere se confermare o meno, e in quale direzione, il congedo per i padri esteso nel 2018. La conferma di questo provvedimento e la sua estensione permanente a dieci giorni, come anche richiesto da una recente petizione, permetterebbe al nostro Paese di allinearsi anzitempo con alcune delle indicazioni che, molto probabilmente, daranno forma alla futura direttiva europea in materia di bilanciamento della vita familiare e lavorativa.

In teoria, il governo italiano, stando alle indicazioni del ministro Di Maio, dovrebbe essere favorevole al mantenimento ed estensione dei congedi per i padri. Di Maio, prendendo parola in seno alla seduta del Consiglio dello scorso 21 giugno ha dedicato qualche veloce commento alla proposta di direttiva in esame, lamentando la scarsa ambizione in proposito e il rischio che si arrivi a una diminuzione complessiva delle tutele relative alla concessione dei congedi parentali. Le parole di Di Maio lasciano dunque presagire, a meno di incorrere in una chiara contraddizione tra quanto dichiarato in sede europea e quanto effettivamente deciso a livello nazionale, un rafforzamento nell’ambito dei congedi di cura previsti in Italia e non un ulteriore “passo indietro”. Non resta che attendere le prossime mosse per valutare quale sarà l’effettiva posizione del nostro governo.

Riferimenti

Vesan P. e Corti F. (2018a), Il Pilastro europeo dei diritti sociali e la “strategia sociale” di Juncker: un’agenda per la ricerca, in Politiche sociali/Social policies, n. 1, pp.125-142.

Vesan P. e Corti F. (2018b), New tensions over Social Europe? The European Pillar of Social Rights and the Debate within the European Parliament, Journal Common Market Studies, in corso di pubblicazione.