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Il 12 ottobre si è tenuto l’annuale appuntamento dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, con la presentazione dei risultati della Ricerca 2016.

I lavori sono stati aperti dal senatore Maurizio Sacconi, che ha auspicato l’approvazione a breve della nuova legge, al vaglio del Parlamento nelle prossime settimane. Il testo porterà alcuni chiarimenti, innanzitutto riguardo agli elementi caratterizzanti la definizione di smart working che si differenzia dal concetto di lavoro a distanza, e prevede un’attività che si sviluppa per fasi e cicli, e quindi per risultati. Lo smart working inoltre andrà inteso come modalità di realizzazione della prestazione subordinata ma non come una nuova forma contrattuale; le misure verranno infatti definite nell’accordo individuale e soltanto la cornice sarà oggetto di contrattazione collettiva.

Mariano Corso e Fiorella Crespi dell’Osservatorio hanno poi presentato i dati della Ricerca. Il dato più rilevante dell’indagine svolta tra le grandi imprese è che il 30% di queste hanno attuato iniziative strutturate di smart working, contro il 17% dello scorso anno. Le aziende già attive hanno inoltre sviluppato attente analisi del fabbisogno estendendo le misure ad altri lavoratori.
La nota dolente riguarda le PMI (escluse le microimprese al di sotto dei 10 dipendenti e le start up). Tra di esse le iniziative strutturate sono passate dal 9% del 2015 al 13%, dato piuttosto irrilevante, ma è interessante notare come si sia drasticamente ridotto il numero delle PMI che, a priori, si dichiarano contrarie a misure di smart working (dal 48% al 27%). 

Tra le iniziative di smart working avviate, nell’ultimo anno sono stati rilevati il 25% di progetti a regime, il 40% in estensione e il 35% di progetti pilota.

Attualmente tra i 22 milioni di lavoratori in Italia, ci sono circa 5 milioni di potenziali smart worker, di cui 3,7 milioni in aziende private e 1,3 milioni nelle PA. Oggi si contano 250 mila smart worker (impiegati, quadri e dirigenti). Dal 2013 c’è stato un incremento del 40%, ed è interessante sottolineare che non sono numeri legati ai nuovi ingressi nel mondo del lavoro ma a trasformazioni di lavoratori esistenti, per un valore pari al 7% dei dipendenti. Di questi il 15% attua misure di smart working legate alla flessibilità spaziale, il 37% a quella temporale e il 28% all’utilizzo di device.

In conclusione nell’ultimo anno in Italia, più che in altri Paesi, è cresciuto l’interesse verso lo smart working, sia da parte dell’opinione pubblica che del Legislatore. È infatti in atto una presa di coscienza del forte divario tra la mentalità tradizionale di organizzazione del lavoro e le attuali esigenze. Il vero centro del cambiamento sarà dunque mettere mano sul modello organizzativo aziendale: la necessità è di strutturare progetti sistematici senza i quali non ci possono essere le basi per un vero cambiamento.